Imbattersi nel nome della propria città su un best seller che parla del Santo Graal, della stirpe di Gesù e di segreti plurimillenari è un’esperienza che sorprende, e che invoglia ad approfondire: davvero una riunione del Priorato di Sion si tenne a Torino?!

Fu Dan Brown a rendere famosa nel mondo la fantomatica società segreta che custodisce il segreto della discendenza di Cristo e della Maddalena: nel suo Il Codice Da Vinci trascrisse la lista dei Gran Maestri che l’avrebbero retta dal XII secolo ad oggi; non si trattava di una lista originale: la stessa era già stata riportata su una serie di documenti chiamati Dossier Secrets, depositati presso la Biblioteca Nazionale di Parigi nel 1967. L’autore della lista era Pierre Plantard, l’uomo che si era accreditato come attuale reggente del Priorato.

Particolare di una pagina dei Dossier secrets, depositati alla BNF il 27.04.1967

Nel realizzarla, però, Plantard aveva commesso un errore: Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln si erano accorti che la lista riportava, per Ferrante di Gonzaga (1) , un periodo di reggenza del Priorato che andava dal 1527 al 1575; ciò sembrava incongruo, dal momento che Ferrante era morto a Bruxelles il 15 novembre 1557! Nel 1982 i tre autori commentavano:

Ferrante Gonzaga ci metteva di fronte all’unica notizia palesemente errata che avemmo modo di incontrare in tutti i «documenti del Priorato». Secondo l’elenco dei Gran maestri di Sion incluso nei Dossiers Secrets, Ferrante presiedette l’Ordine fino alla sua morte, nel 1575. Ma secondo fonti indipendenti sarebbe morto nei pressi di Bruxelles nel 1557. (2) 

Per spiegare questa incongruenza, i tre avevano ipotizzato che nel 1557 Ferrante non fosse morto ma si fosse dato alla clandestinità, o che forse la data di morte fosse sbagliata, coincidendo con quella del figlio Cesare: forse gli storici si erano sbagliati ed avevano attribuito al padre la data di morte del figlio. Ma poiché sembrava inconcepibile che il redattore dei Dossiers si fosse sbagliato, i tre concludevano: “Sembrava quasi che l’errore, confutando in modo clamoroso le notizie storiche accettate, fosse stato inserito per indicare qualcosa”.

Una prima spiegazione venne fornita nell’ambito di un romanzo pubblicato due anni... prima (!) di Holy Blood Holy Grail: si trattava del racconto di un’astrologa americana chiamata Liz Greene, intitolato The Dreamer of the Vine (Il sognatore del Vino, 1980). La Greene non era estranea agli autori de Holy Blood Holy Grail: aveva infatti potuto contare su fonti privilegiate per la costruzione del suo scenario romanzesco, essendo sia la sorella di Richard Leigh, sia la fidanzata di Michael Baigent; la vicenda da lei narrata aveva a che fare con una linea di sangue nascosta di Cristo, elemento che sarebbe apparso – in forma di saggio storico – solo due anni più tardi nel best seller Holy Blood Holy Grail.

L’astrologa doveva conoscere bene l’impianto narrativo del libro scritto dai tre, perché nelle pagine del suo romanzo “risolveva” il problema di Ferrante di Gonzaga, scrivendo che l’uomo sarebbe stato sostituito, dopo la sua morte, dal Cardinale Charles de Lorraine (1524-1574); il nome di quest’ultimo sarebbe poi sparito dalle liste del Priorato perché coinvolto nel Massacro di San Bartolomeo a Parigi nel 1572 ai danni dei Protestanti.

Lo scenario è sufficientemente intricato per chiedersi: chi influenzò chi? Furono forse Leigh e Baigent ad accorgersi della debolezza storica della lista e a suggerire all’astrologa di “correggere” l’informazione in un romanzo che sarebbe stato pubblicato due anni prima del loro libro? The Dreamer of the Vine verrà in effetti segnalato nell’appendice a Holy Blood Holy Grail (edizione 1996) con un’allusiva riflessione:

Forse Liz Greene aveva intuito correttamente? O forse era stato il Marchese de Chérisey a basarsi sul suo romanzo e, a posteriori, a trasformare una licenza poetica in un fatto storico accertato? All’epoca non potevamo saperlo; e il Marchese de Chérisey morì prima che avessimo l’opportunità di interrogarlo in merito.

Per conto suo, nel 1983 Pierre Plantard era corso ai ripari offrendo ai tre autori una versione aggiornata della lista, che verrà dunque pubblicata nella traduzione francese di Holy Blood Holy Grail (L’enigme sacrée) per le edizioni Pygmalion/Gérard Watelet. Senza fornire documenti a riprova delle sue affermazioni, Plantard aveva spiegato che Ferrante era stato sollevato dalla reggenza del Priorato un anno prima di morire, nel 1556. Tale “sospensione” era stata decisa durante una riunione del Priorato che si sarebbe tenuta a Torino.

Nell’ambito dello stesso incontro si era consumato uno scisma, e durante i successivi dieci anni aveva assunto il ruolo del Gran Maestro il profeta francese Michel de Nostredame (1503-1566), altrimenti noto come Nostradamus. Alla morte del profeta, avvenuta nel 1566, seguì un periodo di confusione, durante il quale si costituì un triumvirato composto da Léonor d’Orléans duca di Longueville (1540-1573), l’alchimista Nicolas Barnaud (1538-1604), anche noto come Nicolas de Crest e Nicolas Froumenteau, e da un terzo il cui nome ci è ignoto – e che secondo i tre ricercatori inglesi potrebbe essere il già citato Charles de Lorraine.

Nostradamus a Torino

Non si conoscono conferme indipendenti della riunione torinese del Priorato di Sion nel 1556, ma curiosamente la presenza di Nostradamus a Torino nella stessa data è stata più volte discussa in libri e articoli di giornali che non fanno alcun riferimento alle tesi di Plantard.

Un valido punto di partenza sulle tracce del profeta francese sotto la Mole è un articolo di Corrado Pagliani pubblicato nel 1934. (3)  Qui l’autore ricostruisce il possibile soggiorno torinese di Nostradamus, partendo da una lapide originariamente collocata su un androne di una cascina situata all’epoca (metà XVI sec.) alla periferia di Torino. Tale cascina, nota come cascina Morozzo (4) , resisterà sino agli anni Sessanta del Novecento, per essere poi abbattuta per far posto a più moderne costruzioni.

L’articolo in questione è un valido punto di riferimento, tanto da essere ripreso e riproposto numerose volte tra l’altro da Spagarino Viglongo (5) , da Tirsi Caffaratto (6) , da Bellagarda (7) , oltre a esser citato anche da altri autori senza alcuna credibilità storica, come Giuditta Dembech. (8) 

Nel suo articolo il Pagliani riporta la riproduzione di un dagherrotipo ottocentesco che si presumeva fosse l’esatta fotografia dell’originale (cosa che si rivelerà in seguito errata) comparso sulla rivista Le Courrier de Turin del 26 dicembre 1807, con tanto di testo che sarebbe stato dettato dallo stesso Nostradamus e che recita così:

1556
NOTRE DAMUS A LOGE ICI
ON IL HA LE PARADIS LENFER
LE PURGATOIRE IE MA PELLE
LA VICTOIRE QUI MHONORE
AVRALA GLOIRE QUI ME
MEPRISE OVRA LA
RUINE HNTIERE

la cui traduzione dovrebbe corrispondere a:

1556
NOSTRADAMUS ALLOGGIA QUI
DOV’È IL PARADISO, L’INFERNO,
IL PURGATORIO IO MI CHIAMO
LA VITTORIA CHI MI ONORA
AVRÀ LA GLORIA CHI MI
DISPREZZA AVRÀ LA
COMPLETA ROVINA

In realtà la prima testimonianza scritta circa un possibile soggiorno torinese di Nostradamus sarebbe ancora più antica, risalendo addirittura al 1786, pubblicata nel Nouveau Dictionnaire Historique(9) 

La seconda testimonianza in ordine di tempo e relativa alla lapide risale al già citato articolo del Courrier del 1807 (10)  in cui un certo H. Carena riporta anche le misure della stessa: 20 pollici (51 centimetri) di larghezza per 15 pollici (38 centimetri) di altezza.

Una terza citazione si può ritrovare in un articolo pubblicato sul quotidiano La Stampa del 3 giugno 1932 (11)  in cui tale C. O., in occasione degli imminenti lavori di ristrutturazione dell’intera area su cui sorgeva la cascina Morozzo, si sofferma sulla leggendaria figura di Nostradamus e sul suo possibile soggiorno torinese.

Ma ritorniamo all’articolo del Pagliani del 1934; in esso l’autore riporta la notizia che il Carena dopo il 1807 inviò a Le Courrier de Turin (27 gennaio 1808) una seconda lettera in cui riporta il parere di un anonimo lettore, tale H. B., che in seguito alla lettura della prima lettera uscita sullo stesso giornale nel dicembre 1807, precisa quanto segue: “Quantunque la storia di Provenza non menzioni il soggiorno a Torino del famoso medico, abbiamo nondimeno parecchi aneddoti che ci provano ch’egli vi si è trattenuto per qualche tempo, che fu ben accolto alla Corte dei Savoia e che passò qualche giorno alla casa di campagna oggi Morozzo, appartenente in altri tempi alla principessa Vittoria di Savoia. Son d’avviso che il nome della detta campagna (Vittoria), la posizione e la distribuzione delle terre sotto la denominazione (di regioni) del Paradiso, Purgatorio ed Inferno, han dato occasione a Nostradamus di comporre l’iscrizione”.

Il Pagliani precisa anche che una sua personale ricerca presso gli archivi del Comune circa l’esistenza di una Principessa Vittoria di Savoia risulterà vana, non trovando traccia di principesse con tale nome, contemporanee o anteriori alla data dell’iscrizione.

Comunque sia andata, l’autore precisa inoltre che le dimensioni della lapide (50 x 35 cm), rilevate da lui stesso nel 1934, risultano di poco inferiori a quelle riportate dal Carena nell’articolo su Le Courrier de Turin del 1807 e che pertanto era possibile pensare che nel frattempo la lapide fosse stata rimossa, riquadrata e collocata in un luogo diverso dal primitivo.

Ma ritorniamo ancora una volta al Pagliani; suo indubbio merito resta quello di aver fotografato la cascina Morozzo, prima della sua demolizione, da due diverse prospettive (dal lato di via Lessona e dal lato del parco della Pellerina), e la sua risulta, assieme a quella prodotta dal Bellagarda nel 1968, la sola documentazione fotografica esistente a ricordo del possibile passaggio torinese del celebre medico occultista. Della famosa lapide non si saprà più niente per una trentina d’anni (da molti fu data per dispersa, da altri se ne metteva in dubbio addirittura l’esistenza) finché, nel 1967, Giorgio Bellagarda non riuscì a rintracciarla nella casa dell’ultimo proprietario della Cascina, l’avvocato Momigliano, in via Don Minzoni. La lapide fu infine “riscoperta” e fotografata nel 1975, grazie alle ricerche di Renucio Boscolo, autodefinitosi l’interprete ufficiale di Nostradamus, e pubblicata da Giuditta Dembech nel suo libro del 1978. In conclusione, di citazioni relative al soggiorno torinese del Nostro (!) ce ne sono molte ma gira e rigira si tratta sempre degli stessi episodi che, in definitiva, fanno capo ad un solo elemento concreto ovvero l’esistenza della pluricitata lapide.

A sinistra: la lapide riprodotta da Corrado Pagliani (1934) • A destra: la lapide riprodotta da Giuditta Dembech (1978)

Vi sarebbero inoltre tre accenni indiretti, ma tutti e tre molto dubbi. Il primo è quello contenuto nel Nouveau Dictionnaire Historique citato dal Mattirolo, che però parla di una visita a Torino di Nostradamus per controllare la gravidanza di Margherita di Valois, consorte di Emanuele Filiberto, nel 1562 quando in realtà Emanuele Filiberto consultò effettivamente Nostradamus per la nascita del figlio, ma nel dicembre del 1561 e a Nizza, non a Torino – come risulta dalla monumentale opera del Guichenon del 1660. (12)  Un secondo accenno è quello che compare sul già citato Courrier de Turin del 1808 ad opera del Carena, ma anche in questo caso si tratta di un parere di un lettore (oltretutto anonimo) e nulla più; l’ultimo è quello riportato dalla Dembech la quale sostiene che il motivo della visita a Torino di Nostradamus nel 1556 era legato alle pratiche alchemiche del tempo (l’alchimia era effettivamente uno dei suoi grandi interessi), anche se il motivo ufficiale era una visita alla moglie di Emanuele Filiberto, la duchessa Margherita... c’è da chiedersi in questo caso come potesse trattarsi del motivo ufficiale, visto che Margherita di Francia sposerà Emanuele Filiberto soltanto tre anni dopo – esattamente il 10 luglio 1559!

Su quale fonte si basò dunque Plantard quando affermò la presenza torinese di Nostradamus nel 1556? Potrebbe trattarsi di uno dei documenti su citati o di una fonte a tutt’oggi sconosciuta? In mancanza di altre testimonianze comprovate, forse il punto interrogativo contenuto nel titolo di questo post non cade del tutto a sproposito. (13) 


Note

1. Figlio di Francesco II Gonzaga, Marchese di Mantova, e di Isabella d’Este, Vicerè di Sicilia e Governatore di Milano per conto di Carlo V Imperatore.

2. Michael Baigent, Richard Leigh, Henry Lincoln, Holy Blood Holy Grail, Johnatan Cape, 1982.

3. Corrado Pagliani, “Di Nostradamus e di una sua poco nota iscrizione liminare torinese” in Torino, vol.14, 1 (1934).

4. Della Cascina Morozzo sappiamo che faceva parte di un complesso di altre cascine quali il Giajone, il Negro, l’Anselmetti, tutte legate al nome della famiglia Martin. Elisa Gribaudi Rossi in Cascine e Ville della Pianura Torinese, Torino: Le Boquiniste (1970), fornisce un dettagliato rendiconto, riportando anche la testimonianza dell’architetto G.A. Grossi e della sua Guida alle Cascine, Ville e Vigne del Territorio di Torino, edita a Torino nel 1790-91. Situata al di fuori della cerchia antica della città, in una zona ricca di poderi agricoli e con signorili costruzioni abbellite da giardini e parchi, come ebbe a scrivere la Spagarino Viglongo nel suo piacevole articolo, rappresenta un luogo ideale per il soggiorno di un mago, astrologo, medico e scienziato che raccoglieva tra l’altro frutta per marmellate, erbe per creme ed unguenti, fiori per essenze e profumi. Questi ultimi fatti sono anche riportati in una serie di articoli comparsi su La Stampa nell’aprile del 1938 (Alberto Savinio Vita prodigiosa di Nostradamus. Serie di articoli su La Stampa del 3, 7, 8, 9 e 10.4.1938), a nome di Alberto Savinio (alias Andrea De Chirico) che definisce Nostradamus come il precursore di Cirio e della Helena Rubinstein! Al principio dell’Ottocento, continua la Spagarino Viglongo, la Villa fu trasformata in fattoria, con annesso allevamento dei bachi da seta (che all’epoca risultava una vera e propria attrazione turistica), dall’avvocato Colla, politico e giureconsulto ma noto soprattutto per essere un appassionato botanico, autore tra l’altro della poderosa opera Herbarium Pedemontanum. Ai tempi dell’articolo del Pagliani, la casa Morozzo (che si trovava in via Michele Lessona 68, e che diventerà via Michele Lessona 46 dopo la guerra), era invece di proprietà di un altro avvocato, tale Alessandro Momigliano. “Il Morozzo” fu in seguito abitato sino al 1967, per poi essere definitivamente abbattuto. Nelle pubblicazioni di Bellagarda e della Dembech vengono riportate delle eloquenti fotografie della cascina e dei pochi resti, un muro in particolare, che rimanevano prima della demolizione.

5. Giovanna Spagarino Viglongo, Nostradamus a Torino, Almanacco Piemontese 1999, Torino: Viglongo ed., 1999.

6. Mario Tirsi Caffaratto, “Parè, Rabelais, Nostradamus: tre medici francesi ospiti di Torino nel cinquecento” in Studi Piemontesi (1985) Vol. XIV, pp.336-343.

7. Giorgio Bellagarda, Un soggiorno torinese di Nostradamus, Minerva medica 59, 31, 1824-1834, 1968.

8. Giuditta Dembech, Torino città Magica, Torino: L’Ariete, 1978.

9. Oreste Mattirolo, L’opera del Duca Emanuele Filiberto in favore della botanica e dell’agricoltura, Torino: Villarboito, 1928 in cui si cita il Nouveau Dictionnaire Historique, Vol. IV, Caen 1786.

10. H. Carena, Le Courrier de Turin n. 251, p. 1177, 1807 e n. 260, p. 1209, 1808. Da notare che Alberto Viriglio, Voci e Cose del Vecchio Piemonte, Torino: Viglongo, 1970 in una nota a pagina 33 prenderà un abbaglio, attribuendo la descrizione della lapide anziché al Carena a Giuseppe Grassi.

11. C. O., “Una leggendaria misteriosa figura che risorge dalle rovine di una casa in demolizione” in La Stampa, 3.6.1932.

12. S. Guichenon, Histoire Généalogique de la Royale Maison de Savoie, Lion 1660, Torino 1780.

13. Post scritto con Giuseppe Ardito.

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