Riproduco qui di seguito la lettera che Teller indirizzò all’aspirante prestigiatore Brian Brushwood perché grondante di perfida saggezza. Qui l’originale.

Mio caro figlio bastardo, fermati per un secondo. Voglio ricordarti un po’ di cose.

Ho 47 anni. Ho lavorato nello show business per vent’anni. Faccio magia da quando ne avevo cinque, per un totale di 42 anni di attività. E ho avuto la fortuna di (a) incontrare Penn e (b) arrivare al successo nei teatri off-Broadway al momento giusto.

Quando abbiamo iniziato a lavorare non avevamo ALCUN stile, né consapevolezza di quello che stavamo facendo. Eravamo guidati da sensazioni, piuttosto vaghe, e da alcune cose che ci piacevano, forse, ma certamente non con un punto di vista uniforme, né un modo preciso di esprimere il nostro rapporto personale. Discutevamo di continuo e ci aspettavamo di separarci ogni settimana. Ma qualcosa siamo riusciti a concluderla, cose che ti potrebbe utile sapere.

Ci piaceva quello che facevamo. Più di ogni altra cosa. Più del sesso. Assolutamente.

Abbiamo vissuto ogni spettacolo come la cosa più importante del mondo – seppure, in caso di errori, saremmo comunque sopravvissuti.

Non abbiamo iniziato il nostro rapporto da amici, ma da persone che si rispettavano e si ammiravano vicendevolmente. È un aspetto cruciale, assolutamente cruciale per un rapporto personale.

Appena abbiamo potuto permettercelo, abbiamo smesso di condividere le camere d’albergo. È assolutamente cruciale.

Ci siamo solennemente impegnati a non accettare alcuna attività al di fuori del mondo dello spettacolo. Chiedevamo prestiti ad amici e parenti, pur di non accettare quei mortali impieghi da camerieri. Questo ci ha costretti ad accettare qualsiasi spettacolo ci venisse offerto. Qualsiasi. Una volta abbiamo fatto uno spettacolo al Benjamin Franklin Parkway di Philadelphia nell’ambito di una sfilata di moda in una calda notte di luglio, mentre tutto intorno al palco era in corso una violenta sommossa. Ecco fino a che punto era solenne il nostro impegno.

Sali sul palco. Ogni volta che puoi. Sperimenta. Metti in campo le tue armi migliori e continua ad affinarle. Se quello che vuoi tirar fuori ce l’hai nel cuore, troverà il modo di uscire. In alternativa ti potrai sempre arrendere, e vivere una vita più tranquilla facendo qualcos’altro.

Penn la pensa diversamente, ma per come la vedo io, le cose che abbiamo creato insieme non sono nate all’interno della nostra testa, ma le abbiamo semplicemente portate alla luce, come se fossero da sempre dentro di noi, in attesa di essere rivelate, come la figura di Mercurio che si nasconde in un pezzo di marmo grezzo.

Cerca dei miti al di fuori della magia. I miei sono Hitchcock, Poe, Sofocle, Shakespeare e Bach. Puoi anche prenderli a prestito da me, ma devi imparare ad amarli per ragioni che siano le tue. Solo così consentirai loro di guidarti nella direzione giusta.

Ora ti rivelo un segreto della creatività. Dirai che è troppo ovvio e semplice. Penserai: «Quest’uomo pensa di fottermi.» Non è così. Si tratta di uno dei concetti più importanti alla base della concezione di un film, eppure i maghi non ne sanno praticamente nulla. Sei pronto?

Sorprendimi.

Tutto qui. Mettimi davanti agli occhi 2 e 2, ma fammi credere di vederne 5. Poi svelami la verità: fammi notare che sono 4 e sorprendimi!

No, non prendere sotto gamba quello che ti scrivo, come fanno tutti gli altri maghi del mondo. Non illuderti che io non abbia mai visto un set di anelli cinesi prima d’ora, e che sarò sorpreso perché sei in grado di intrecciarli. Stronzate.

Ecco come funziona la sorpresa. Devi guadagnarti poco alla volta la mia attenzione, tenendomi nascosti gli aspetti fondamentali di ciò che sta avvenendo. Svelameli poco alla volta. Mettimi nelle condizioni di provare a capire cosa sta succedendo. Guidami verso una qualche direzione, e fammi finire in un vicolo cieco. Poi capovolgi tutto e lasciami sbalestrato.

Ecco come presento il vecchio trucco degli aghi. Chiamo una persona del pubblico e le chiedo di esaminare gli aghi. Li inghiotto. Lei li cerca nella mia bocca. Sono scomparsi. La congedo, e lei lascia il palco. Il pubblico pensa che l’effetto sia concluso. Poi tiro fuori un filo. «Ah ah, il filo interdentale!» commenta tra sé e sé il pubblico. Mangio il filo. A questo punto, quelli più svegli iniziano a dire: «No, non lo usa come filo interdentale. Ago... filo... Ago e filo... Oh mio Dio, sta infilando il filo negli a...» E a quel punto gli aghi sono già fuori dalla mia bocca, scintillando alla luce del sole.

Leggi Roald Dahl. Guarda i vecchi film di Alfred Hitchcock. Sorprendi. Tieni all’oscuro su ciò che stai facendo. Falli commentare: «Ma che diavolo sta facendo? Dove vuole arrivare?» e non concedere nessun indizio su ciò che sta accadendo. E quando ci sei finalmente arrivato, atterra. Il finale.

Ho impiegato otto anni – hai letto bene: OTTO ANNI – per trovare un modo di presentare il Sogno dell’Avaro che fosse sorprendente e che avesse un FINALE.

Apprezza qualcosa che sia al di fuori della magia, che appartenga al mondo delle arti. Fatti ispirare da un poeta, da un regista, da uno scultore o da un compositore. Non sarai mai il primo [metti qui il tuo nome] della magia se il tuo obiettivo è diventare il nuovo “Penn & Teller”. Ma se vuoi diventare, supponi, il Salvador Dali della magia – beh, è già un inizio.

Io avrei dovuto lavorare al montaggio dei film. Invece faccio il mago. E se sono bravo, è perché avrei dovuto fare il montatore. Bach avrebbe dovuto scrivere opere o commedie. Invece lavorò sui contrappunti del XVIII secolo. Ecco perché i suoi contrappunti hanno molti più punti di quelli di altri autori. Perché grondano passione e presentano una trama. A sua volta, Shakespeare avrebbe dovuto fare il musicista e scrivere contrappunti. Ecco perché le sue commedie si stagliano sopra le altre grazie alla musicalità delle loro trame.

Ora sono stanco. Mio caro figlio bastardo, ho potuto dedicarti soltanto tre quarti d’ora del mio tempo perché, stanotte, mi tornano alla mente i ricordi del mio primo incontro con tua madre a Rio, durante il carnevale... Ah, quanto ci siamo amati!

Paternamente tuo, Teller.

18 ottobre 1995

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