This Book Needs No Title (1980) è una raccolta di riflessioni paradossali del filosofo statunitense Raymond Smullyan. Una di queste dà conto delle opposte sensazioni che possono scuotere l’animo umano:

Immaginate un uomo che dica: «Oddio, sono un nulla! Sono un nulla! Sono soltanto un insignificante granello nell’immensità dell’universo. Non sono altro che un nulla!» Questo stesso uomo dice anche: «Sono umano, e gli esseri umani sono certamente superiori agli animali (perché Dio ci ha privilegiati donandoci il libero arbitrio), e gli animali sono certamente a un livello più alto delle piante. Ora, i fiori sono piante. Ma la bellezza di un fiore… che cosa può esserci di più bello e perfetto di un fiore? A un fiore non manca proprio nulla! Un fiore è quanto di più bello e perfetto possa esistere. È il culmine della creazione di Dio. Non può esserci nulla di più bello.» Ricapitolando: io sono migliore di un fiore, il fiore è assolutamente perfetto… e nonostante ciò io sono un miserabile nulla. Non è una cosa sorprendente? (1) 

Al misterioso abisso che separa l’infinitamente grande e l’insignificante nulla Ernest Kurtz e Katherine Ketcham hanno dedicato il libro La spiritualità dell’imperfezione (1993). L’antologia offre pensieri che rifuggono dalla ricerca di una realtà superiore o di idoli algidi e lontani, incoraggiando piuttosto la capacità di convivere con la propria natura di esseri limitati e fragili. Come scrivono:

Non siamo né immensi né insignificanti. Esiste uno spazio per la spiritualità tra i due estremi di questo paradosso, ed è il luogo dove affrontiamo la nostra impotenza, la nostra finitezza e le nostre ferite. Nella ricerca di un significato per i nostri limiti non cerchiamo soltanto un sollievo al nostro dolore, ma una comprensione più piena di ciò che significano sofferenza e guarigione. La spiritualità nasce dall’accettazione del nostro essere frammentati, delle nostre imperfezioni. (2) 

Una filosofia in linea con l’idea di “capacità negativa” espressa da John Keats (1795-1821) – il saper stare nelle incertezze, nei misteri, nei dubbi, senza essere impaziente di pervenire a fatti e a ragioni; nella condizione che William James chiamava – con una parola intraducibile – Zerrissenheit, lo stato di chi si sente frammentato.

Una spiritualità più interessata alle domande che alle risposte, più un viaggio verso l’umiltà che non una strenua ricerca della perfezione. La spiritualità dell’imperfezione inizia dal momento in cui si riconosce che cercare di essere perfetti è il più tragico errore che possa fare l’essere umano. (3) 

Recensendo il libro di Kurtz e Ketcham, Maria Popova commenta:

Accettare il mistero e l’ignoto è il cuore di un’esistenza poetica, ma anche la più ragionevole delle attività intellettuali.


Note

1. Raymond Smullyan, This Book Needs No Title, Prentice-Hall, Englewood Cliffs (NJ) 1980.

2. Ernest Kurtz e Katherine Ketcham, The Spirituality of Imperfection: Storytelling and the Search for Meaning, Bantam 1993 (tr.it. La spiritualità dell’imperfezione, Lyra Libri, 1999).

3. Ibidem.

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