Nell’ultima scena di Amore e Guerra (1) , Sonja/Diane Keaton chiede all’ormai defunto Boris/Woody Allen che effetto faccia la morte.

Hai presente il pollo al ristorante Tresky? Beh, è peggio!

In mancanza di qualcuno che torni a raccontarci com’è (e se c’è) la vita di là, siamo costretti a fare ipotesi. Un aiuto laico e creativamente straordinario ce lo offre David Eagleman nel suo Sum (“Nella vita di là”).

Al neuroscienziato statunitense non interessa influenzare la coscienza religiosa del lettore: egli afferma di non credere alla realtà di nessuna delle quaranta proposte che offre tra le sue pagine. I suoi esperimenti mentali sull’aldilà, ognuno più provocatorio e inaspettato del precedente, portano piuttosto a riflettere sulla condizione umana nell’al-di-qua, offrendo punti di vista sorprendenti e controintuitivi.

Il libro ha incontrato il favore di atei e credenti in egual misura, ricevendo un endorsement entusiasta da parte di due noti umanisti – Stephen Fry e Brian Eno – ma anche essendo incluso nella lista dei migliori libri di spiritualità del 2009.

Eagleman si definisce un Possibilista: a differenza di un agnostico, egli ritiene che la mancanza di dati sul trascendente non costringa alla sospensione del giudizio, bensì incoraggi l’attiva elaborazione di ipotesi logicamente coerenti e l’esplorazione creativa di molteplici scenari al contempo. Come ha scritto Kevin Kelly,

L’agnosticismo si ferma per la mancanza di una risposta. Il possibilismo prende l’avvio dalla mancanza di una risposta. (2) 

Sum è oggi considerato la bibbia del Possibilismo.

È di pochi giorni fa l’annuncio di LivesOn, una app che consente di twittare anche dopo la morte. Il sistema rielabora ciò che si è condiviso sui social network mentre si era vivi, cercando di cogliere lo stile di un utente e producendo nuovi contenuti – anche scrivendo email private ad amici e conoscenti.

Eagleman aveva anticipato l’idea in uno dei suoi racconti – “Death Switch”:

Costruire un death switch per fingere di non essere morti è diventata una vera e propria arte: […] i più sofisticati riescono a ricordare avventure condivise, si rammentano reciprocamente certe simpatiche scappatelle di gioventù, si scambiano battute che solo loro capiscono, si vantano di imprese passate, citano esperienze di una vita intera. In questo modo i death switch si sono trasformati in una risata cosmica sulla mortalità. (3) 

All’idea, Charlie Brooker ha dedicato una puntata di Black Mirror, una delle più intelligenti miniserie mai realizzate (qui il crudele trailer della stagione 2).

“Be Right Back (2×01)” esplora il tema dell’elaborazione del lutto in una società in cui esistono sofisticati death switch, interrogandosi sull’ipotesi che i social network possano guadagnarci l’immortalità.

Se Brooker si concentra sulle conseguenze di tale tecnologia su chi è vivo (in una puntata che – come le altre della serie – mette i brividi), Eagleman sposta l’attenzione sull’aldilà:

La maggior parte della gente è morta e noi siamo tra i pochi rimasti. Quando saremo morti anche noi e si saranno avviati i nostri death switch, non ci sarà altro che un sofisticato network di transazioni, senza che nessuno le legga: una società di email che rimbalzano avanti e indietro sotto silenziosi satelliti in orbita attorno a un pianeta muto. (4) 

A sopravvivere sarà, dunque, la fitta rete dei nostri rapporti. E chiedersi se esista l’aldilà o meno sarà domanda mal posta:

Per noi [infatti] non esiste vita di là in quanto tale; esiste invece un aldilà per ciò che esiste tra noi. (5) 


Note

1. Il titolo originale è Amore e Morte.

2. Kevin Kelly, “Possibilians vs Agnostics” in Technium Blog, 18.2.2011.

3. David Eagleman, Nella vita di là, Mondadori, Milano 2012, pp. 82-83.

4. Eagleman, op. cit., p. 83.

5. Eagleman, op. cit., pp. 83-84.

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