Qualche giorno fa recensivo il kit di Tony Binarelli I messaggi dalla quinta dimensione. La scatola conteneva una cartolina da spedire a una casella postale di Bologna entro il 31 gennaio 1979:

Il fortunato estratto avrebbe avuto la possibilità di trascorrere una serata in compagnia di Tony Binarelli e dei suoi esperimenti parapsicologici. Come andò a finire il concorso? Il mentalista di Roma mi ha concesso una breve intervista sullo spettacolo offerto in quel finire degli Anni Settanta.

Allora Tony: ci racconti come andò la serata?

Fu una serata molto particolare! Vinse una famiglia di Zola Predosa, nella periferia di Bologna, che organizzò una cena nella loro casa – una villetta con giardino. A giudicare dal numero delle persone coinvolte, credo avessero invitato tutto il vicinato e addirittura alcuni parenti provenienti da fuori Bologna.

Cosa ricordi delle sensazioni provate in quell’occasione?

Credo di essere stato, almeno all’inizio, abbastanza imbarazzato. Il “divismo” non si addice al mio carattere. Nonostante questo, la proverbiale comunicativa dei bolognesi e l’aiuto di un po’ di lambrusco hanno sciolto il ghiaccio: dopo la cena, ho iniziato a fare giochi a non finire – e credo d’aver fatto le 4 del mattino. Abbiamo fatto non so più quante foto, tra le osservazioni di sorpresa degli astanti che – come di consueto – non potevano credere di vedere dal vivo quello che si vedeva in TV – e che, ieri come oggi, fa pensare a trucchi televisivi.

Un’atmosfera un po’ diversa da quella artefatta di tanti video magici odierni…

Infatti, ma io sono nato con la magia dal vivo ed in diretta. Chissà come sarebbe andata a tanti maghi di oggi, abituati a compari e riprese concordate da pubblicare su Youtube…

Qual è l’effetto magico più potente che ricordi di quell’occasione?

Per il padrone di casa l’effetto più forte fu quello di ritrovare, dietro la foto del bisnonno (gran giocatore, a suo dire), i tre quarti anneriti di una carta da gioco strappata e bruciata. La stessa carta risultò mancante da un vecchio mazzo di carte, appartenuto al nonno e gelosamente custodito in un cassetto di una vecchia scrivania. Tutto ciò senza essere Rol e senza avere la grondaia… io avevo la Quinta Dimensione!

Ogni mentalista elabora una narrativa personale come sfondo dei propri poteri. Se Rol parlava di “spiriti intelligenti”, tu coinvolgevi la “Quinta Dimensione”. Puoi raccontarci qualcosa in più, a proposito di questa scelta stilistica?

All’epoca la parola “mentalismo” era solo una parola legata al gergo tecnico dei prestigiatori. Proposi, dunque, la “Quinta Dimensione”. La formula ebbe successo, scatenando la contestazione di molti colleghi, mentre altri tentarono di cavalcare la stessa onda. Credo che il mentalismo abbia successo perché restituisce magia alla magia. Anche se il pubblico – consciamente o inconsciamente – sa che esiste un “mezzo”, il mentalismo da all’uomo la sensazione di possedere quei poteri che tutti sognano, e che lo “straordinario” che accade non abbia natura soltanto materiale, ma vi sia qualcosa in più. Su questa linea, il mio spettacolo è diviso e presentato in due parti: “magia delle mani” e “magia della mente”.

Com’è cambiato il mentalismo in trent’anni?

Il successo del mentalismo contemporaneo nasce da almeno due eventi. Primo, l’apparizione sul mercato di Derren Brown; anche Copperfield, all’epoca, scatenò la mania per le grandi illusioni. Secondo, la nascita di serie TV come The Mentalist. L’attuale tendenza dei mentalisti moderni è quella di “spiegare” al pubblico i propri effetti in chiave psicologica e con la lettura dei segnali del corpo. Personalmente non la capisco. Mi sembra quasi frutto di un rimorso di coscienza. Oggi manca il coraggio di parlare di “poteri”, ovvero di proporre quell’aura magica che crea la suggestione dello spettacolo. A mio modo di vedere, il pubblico cerca l’inesplicabile, il “magico”, il personaggio-spettacolo, sia esso cantante, attore, mago, ecc. Il mentalista deve avere – o far presumere di avere – delle capacità superiori a quelle del comune spettatore, per stimolare nel pubblico quei sentimenti di amore/odio che caratterizzano il rapporto performer/pubblico. Qualunque pseudo-spiegazione in termini di psicologia e reazioni muscolari diminuisce la forza dello spettacolo. Da un certo momento dello spettacolo in poi, quando si è acquisito il metodo psicologico offerto, c’è una caduta d’interesse da parte del pubblico, e lo spettatore ragiona tra sé e sé: «Ormai so come si fa, e potrei farlo pure io!» L’altro problema è di natura creativa. Imitare personaggi come Marc Salem e Derren Brown ostacola la creazione di uno stile proprio e segnatamente italiano. Alla lunga, questo condurrà al disinteresse del pubblico verso questa formula di spettacolo, un po’ come avvenuto per la “produzione” delle tortore, per la quale ormai il pubblico sa quando e come ogni volatile apparirà. Quando finisce il momento magico, al più può essere apprezzata la capacità tecnica.

Trent’anni dopo cosa vuol dire per te “rinnovarsi”?

Secondo me rinnovarsi non è soltanto proporre gli effetti magici appena pubblicati o seguire le mode (ho visto, recentemente, molti “scatolari” passare al mentalismo) ma far evolvere il proprio personaggio, elaborando immagine e testi, seguendo il progresso della società, e talvolta addirittura anticipandolo – sia a livello culturale che sociale. Bisogna, cioè, mantenere una personalità di fondo, parlando però lo stesso linguaggio del pubblico, rendendo credibile ciò che si fa e si dice. In termini semplici, se ieri si poteva parlare di “poteri (in qualche modo) dati dall’alto”, oggi è assolutamente più credibile “parlare di ricerca e approfondimento delle capacità umane”: la mente può essere allenata come il corpo. Nel mio piccolo, ho appena rinnovato il mio sito web. Vi invito a visitarlo (CLICCANDO QUI): troverete molte cose di me e di questi trent’anni!

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