La bilocazione? Oggi è possibile. La sera di sabato 8 giugno ero al Teatro Verdi di Firenze, a vedere “Ferite a morte” di Serena Dandini, e al contempo a Palazzo Vecchio, ad assistere alla colta conversazione tra Umberto Eco e Stefano Bartezzaghi. Miracoli di Internet, che mi ha consentito di “partecipare” ai due eventi che si svolgevano contemporaneamente, grazie ai filmati messi a disposizione poche ore dopo l’evento sul sito de La Repubblica delle Idee.

Il resoconto di Katia Riccardi aveva alimentato in me grandi aspettative; nel raccontare il dialogo tra i due autori, intitolato “Da dove si comincia?”, la giornalista aveva scelto di cominciare dalla magia:

È stato guardare due giocolieri di parole fare magie e giochi di prestigio. (1) 

Ma nell’articolo, i giochi di prestigio avevano anche l’ultima parola:

Le parole sono rischiose. Possono cambiare il corso delle cose. O semplicemente essere belle da ascoltare, come lo sono state stasera, mentre danzavano tra le mani di due prestigiatori. (2) 

Wow! – mi sono detto: lo spirito di “un mago a La Repubblica delle Idee” ha toccato anche i giornalisti “laici”.

Esplorando svariati incipit letterari, Bartezzaghi si è soffermato su un frammento di Eco tratto dalle Postille a “Il nome della rosa”:

Da due anni evito di rispondere a questioni oziose. Del tipo: […] con quale dei tuoi personaggi ti identifichi? Dio mio, ma con chi si identifica un autore? Con gli avverbi, è ovvio. (3) 

L’enigmista ha fatto notare che la prima parola che compare ne Il nome della rosa è proprio un avverbio – “naturalmente” – e si è detto convinto che Eco non mentisse: lui si è davvero identificato con quella parola. Il romanziere alessandrino ha confermato divertito.

Il nome della rosa si apre con il titolo “Naturalmente, un manoscritto”. Per chi sa coglierla, si tratta di una citazione ironica. Fingere il ritrovamento di un manoscritto è un vecchio trucco, che Manzoni utilizzò ne I promessi sposi e dopo di lui innumerevoli altri. Ma se nell’Ottocento tale finzione era spendibile con spensieratezza, oggi c’è un solo modo per riproporla senza scadere nel kitsch: usare le virgolette, dichiarandone la cornice ironica e chiedendo al lettore di aderire al gioco in modo consapevole. Poiché l’intero romanzo di Eco trabocca di strizzate d’occhio complici, rivolte al lettore smaliziato, Bartezzaghi è giustificato nel riconoscere l’autore nella parola “naturalmente”: l’avverbio è il segnale attraverso cui – sin dall’apertura – Il nome della rosa rivela la propria natura e si rivolge a chi è in grado di assaporarne il gusto intertestuale.

Il rischio di cadere nel kitsch non si limita all’ambito letterario: l’artista che ignori ciò che l’ha preceduto e lo riproponga in maniera inconsapevole confina se stesso nell’alveo del dilettantismo. Nel mio ultimo libro Te lo leggo nella mente ho esplorato tale rischio nell’ambito del “mentalismo” – la branca della prestigiazione che riproduce a teatro i classici fenomeni paranormali legati ai poteri della mente.

Se un tempo i trucchi dei mentalisti erano “spesi” per millantare capacità sovrumane, oggi la stessa premessa sarebbe anacronistica. Riconoscendo agli spettatori un’intelligenza smaliziata, consapevole dei limiti della percezione umana, i grandi mentalisti contemporanei li coinvolgono in un esercizio dell’immaginazione: il gioco del “come se”. Se Eco usa un avverbio per strizzare l’occhio al lettore smaliziato, anche il mentalista invoca la complicità del pubblico attraverso un registro ironico, che invita ad accettare volontariamente la premessa che i fenomeni paranormali siano riproducibili a piacere. In coerenza con tali presupposti, le performance offrono una versione alternativa del mondo, “come se” lettura del pensiero, chiaroveggenza, precognizione, ecc. fossero realtà. Adottando un atteggiamento del genere, scrittori e mentalisti si relazionano con i propri estimatori trattandoli come individui consapevoli e disincantati, senza invocare una “fede ingenua” nella realtà di un manoscritto o di una dote paranormale. Ma se il “postmodernismo” ha attratto grandi scrittori come Umberto Eco, Thomas Pynchon e Orhan Pamuk, gli illusionisti scontano una certa difficoltà ad affrancarsi da schemi visti e rivisti. Bisogna guardare all’estero per trovare artisti in grado di padroneggiare le virgolette e gli avverbi: Max Maven e Derren Brown tra i mentalisti, Penn&Teller e Leo Bassi tra gli illusionisti a più ampio raggio.

Difficile attendersi un’adesione massiva a poetiche tanto consapevoli. L’ironia, infatti, è arma sofisticata. E come hanno commentato in un fulminante scambio i due autori,

Bartezzaghi: L’ironia è difficile.
Eco: …seleziona!


Note

1. Katia Riccardi, “Eco, Bartezzaghi e il mistero delle parole” in repubblica.it, 8.6.2013.

2. Ibidem.

3. Umberto Eco, Postille a “Il nome della rosa”, Bompiani, Milano 1984, p. 41.

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