«Un eroe imperfetto.» Così Aldo Grasso definiva Antonio Casanova, il prestigiatore di Ravenna diventato famoso per i ripetuti errori commessi durante gli show. Spiegandone il successo come Umberto Eco aveva fatto con Mike Bongiorno (1) , il critico del Corriere argomentava:

Poco importa se le sue prestazioni professionali avvengano all’insegna dello smacco, dell’insuccesso flagrante. Anzi. Casanova, come molti altri protagonisti del piccolo schermo, incarna quella figura dell’“eroe imperfetto” già descritta sul finire degli anni Cinquanta dallo scrittore Luciano Bianciardi: in TV il più mediocre rischia di apparire come il più bravo perché riassume tutti i nostri difetti e le nostre manchevolezze. Il mago Casanova è appunto un mito d’oggi, l’icona dell’every-man pasticcione, la figura retorica della “maldestrezza”. Ha successo perché rappresenta magicamente il riscatto del maldestro che abita in noi. (2) 

Condivido l’amarezza ma l’avverbio sottolineato evoca un’immagine tossica di “magia” – un bieco (ancorché efficace) strumento con cui rivendicare con orgoglio l’inettitudine. Nella stessa pagina, un’icona di impeccabilità come Silvan tentava di raddrizzare la rotta, affermando contrariato:

Nel nostro mestiere gli errori, quelli riconoscibili che disvelano il trucco, non sono proprio ammessi. Ho detto mestiere, ma questa io la considero un’arte. (3) 

Ma non è sufficiente. Anche dell’espressione “eroe imperfetto” ci si può (e deve) reimpadronire. Se fino a Bianciardi e Grasso l’etichetta si applicava a personaggi patetici, nel suo L’eroe imperfetto (Bompiani 2010) Wu Ming 4 ne capovolge con efficacia i riverberi semantici.

La raccolta di saggi incarna uno dei capisaldi del collettivo bolognese: il mito si mette in crisi con un altro mito, intervenendo sulla sua trama.

L’eroe di Wu Ming 4 è una figura problematica che nulla ha a che vedere con la sciatteria. Una storia per tutte. Durante la battaglia di Maldon, il giovane Werferth si sottrae a una missione suicida. Teme di essere bollato come vigliacco dai posteri, ma il padre Aidan lo incarica di una missione altrettanto cruciale: raccontare la battaglia, tramandarla ai posteri, trasformarsi da guerriero in poeta.

Aidan […] sa che la narrazione è una prosecuzione della lotta con altri mezzi, e la letteratura un’arte marziale della massima importanza. La letteratura storica, di conseguenza, è un campo di battaglia, speculare alla piana dove si scontrano gli eserciti. (4) 

Nell’azione poetica di Werferth – un “eroismo imperfetto” così distante dalla negligenza del mago Casanova (5)  – c’è il dischiudersi di un potere più sottile di quello della spada: il potere magico della parola.

In quest’ottica Maldon diventa quasi un luogo simbolico, un paradigma di come lo scontro sul campo si trasforma in scontro di narrazioni, di parole. Le parole diventano frecce, lance, scudi. E perfino leve, argani capaci di scardinare intere visioni del mondo. (6) 

Avevo in mente questo quando Mark Savage e Lucy Ash, i due giornalisti della BBC che mi hanno intervistato lo scorso 9 gennaio, mi hanno chiesto cosa amassi nell’opera dei Wu Ming; riferendomi alla magia evocata dalla loro scrittura (e al netto di un certo hype californiano) ho citato il sacerdote della controcultura psichedelica Terence McKenna, secondo cui

il segreto fondamentale della magia è che il mondo è fatto di parole, e se conosci le parole giuste puoi far succedere quello che vuoi. (7) 


Note

1. Umberto Eco, “Fenomenologia di Mike Bongiorno” (1961) in Diario minimo, Mondadori, Milano 1963.

2. Aldo Grasso, “Antonio Casanova riscatta il maldestro che è in noi”, Corriere della sera, 7.2.1999, p. 30.

3. Lazzaro Claudio, “Silvan: questo mestiere è un’arte, gli errori non sono ammessi”, Corriere della sera, 7.2.1999, p. 30.

4. Wu Ming 4, L’eroe imperfetto, Bompiani, Milano 2010, p. 59.

5. La vignetta su cui ho fatto hacking è tratta da “Paperinik e i magici furti”, Topolino, n. 2723, p. 41.

6. Wu Ming 4, op. cit., pp. 59-60.

7. Terence McKenna, “Alien Dreamtime”, Transmission Theater, San Francisco, 27.2.1993.

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