È un ritratto pieno di malinconia quello offerto da Giuseppe Brunetto sulle pagine de La Stampa nel 1973: il protagonista si chiama Ranieri Bustelli (1898-1974) ed è il più grande illusionista italiano della prima metà del Novecento.

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Firenze, 16 maggio [1973].

Ha 75 anni: un tempo fabbricava chimere, girava il mondo. Ora sta a Firenze, in un pensionato di suore, sfoglia gli album dei ricordi. È Ranieri Bustelli, mago dei maghi. Agli incantesimi ha detto addio, neppure uno ne ha conservato, piccino, in fondo al baule: tutti venduti, regalati. Dice:

Non mi servono attrezzi, sono in pensione.

Poi aggiunge:

Però mi piacerebbe non essere dimenticato.

I maghi di casa nostra non sono ingrati, si son ricordati del Maestro, hanno fatto incidere il suo profilo sulla targa d’oro, che domenica sera ha premiato a Saint-Vincent l’illusionista più bravo. Bustelli ha saputo, ha fatto festa, in un trepido coro di monacali felicitazioni.

I maghi novelli vanno incoraggiati. Promette bene, questo “Alexander” di Torino. Quattro anni per realizzare un gioco. C’è serietà, c’è impegno. Mai riposare sugli allori, ma studiare, modellare, provare. La magia è arte.

Bustelli. Lo chiamavano il mago in frac. Cilindro, mantello, marsina, bastone. Come un viveur, ma di buoni costumi. Aveva questo motto: «L’allegria fa buon sangue, dà salute». Diceva che lo spettacolo deve essere un

godimento dello spirito e del corpo: l’ora felice e rara del riposo che ricrea e che diverte.

Diceva che il prestigiatore deve accompagnare

ogni giuoco, non con ciarlatanismo, bensì con parlare sobrio ed elastico, a seconda dei casi, e basato su frasi spiritose.

Igiene e buona educazione. La magia è un buio mistero, ma odoroso di virginale lavanda. Nel pensionato fiorentino che lo ospita, Bustelli ha con sé la moglie, Jolanda Paffi, 70 anni, che conobbe nel ’26 quand’era maestrina e ora è sua compagna nei nostalgici viaggi attraverso la memoria. Il mago dei maghi sfoglia ora i molti album che narrano la sua carriera d’evocatore di miraggi: scruta le foto ingiallite, i ritagli di giornale che testimoniano i suoi applauditi vagabondaggi nei teatri. Prometteva cose mirabili: «100 attrazioni, 100 sensazioni, fantasie comiche, illusioni ottiche, sparizioni, trasformazioni, originalità».

Fummo felici, in quel tempo, spargevamo incantamenti. Ci trascinavamo dietro un bagaglio d’un centinaio di quintali. Scenari, attrezzi, congegni: un luna park. Eravamo affiatati: una ventina. Conquistavamo la gente con giochi assurdi, con inganni maliosi, che mettevano tregua all’assalto dei crucci quotidiani.

Il mondo di Bustelli è ora stretto: tinello, camera, cucinotto, servizi. Un mini-alloggio nel pensionato. Lui e la moglie conducono i giorni in questo avaro spazio, tra cose che parlano di altri luoghi, di altre stagioni. Sono le patetiche masserizie della vita. Un quadretto con un cagnolino. La moglie del mago dei maghi spiega:

È Baby era una barboncina, ci aiutava nei giochi.

Una foto di donna, con boa.

Sono io, giovane. Appena sposa. Divenni presto maga.

Bustelli conferma:

Aveva predisposizione. Imparò in fretta.

Un portacenere, ha la forma d’una tuba.

Un regalo, d’un allievo che non ho più visto.

Bustelli faceva il mago, il pubblico guardava.

Era teatro. Però non raccontavo vicende, cose dell’uomo: narravo l’assurdo. Uno show dell’incredibile, che aveva successo, perché c’è bellezza in ciò che non s’adegua al senso comune, in ciò che si ribella alla logica, in ciò che sovverte ogni giudiziosa attesa.

Bustelli presentava spettacoli folli e gai: «Cinesi che zampillano acqua dalle dita, donne che si mutano in ragni, fanciulle segate in due, uomini che mangiano spade, teste senza corpo che parlano, bambini che nascono nei cappelli, auto che svaniscono in corsa, piccioni che si rivelano conigli, equilibristi senza sostegno, bottiglie inesauribili». Dice:

Veniva molta gente a vedermi, si stava assieme, si rideva. Era bello, allora.

Bustelli ha tempo per raccontare (la moglie l’ascolta, aggiunge particolari). Dice come divenne mago:

Un mio amico mangiava stoppa accesa, faceva sparire fazzoletti. E le ragazze lo stavano a guardare. Decisi che era un bel mestiere, che faceva per me. Misi su compagnia dopo la Grande Guerra, nel ’19. Mi attrezzai. Tavolini, palloni, bauli, fiori artificiali, valigie a doppio fondo, rotoli di carta colorata, fazzoletti di seta, sigari finti. Il successo è venuto.

Bustelli dice che per fare il mago occorre imparare a far sparire una moneta: poi si può far la stessa cosa con un elefante, o una casa. Il sistema è sempre quello.

Ho lavorato molto, ma molto ho guadagnato. Un milione a sera. Anche cinque. Una montagna di denaro. Qualcosa è rimasto, ci posso vivere.

Bustelli è stato il mago più bravo. È sempre andato a dormire con negli orecchi l’eco degli applausi: ora lo cullano oranti suorine. Fu nomade: ma ora è dolce sostare. Il mago dei maghi riposa, ricorda. Forse pensa a Madrid, dove nel ’55 diede l’ultimo spettacolo; forse a Zagamo lo jugoslavo, che portò lontano sul camion i pazzi congegni che generano menzogne; forse al bel frac che smise con dolore, che regalò. Il vecchio mago dei maghi non sa più inventare illusioni. Sta nella sua stanza, non aspetta nessuno, di quanti allora andarono con lui per il mondo.

È passato molto tempo, nessuno verrà.

Tratto da “Bustelli (a 75 anni) svela la sua magia”, La Stampa, 17.5.1973

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