Un elemento viene sistematicamente rimosso dalle imprese più spettacolari di Gustavo Rol: il buio. L’abitudine di spegnere la luce nei momenti più “caldi” degli esperimenti è talmente sospetto da esser stato completamente dimenticato – quando non addirittura negato, come fece Paola Giovetti:

I suoi straordinari esperimenti venivano eseguiti con una levità, un’eleganza, un’allegria che lasciavano stupiti e ammirati: niente buio, ma luce ben accesa. (1) 

Renzo Allegri confermò:

Rol ama compiere i suoi esperimenti in piena luce. (2) 

Giorgio Di Simone ammise con imbarazzo che molti esperimenti di Rol avvenivano al buio, aggiungendo, però:

So bene che la necessità tecnica dell’oscurità per ottenere certi fenomeni può insospettire i profani o gli scettici ad oltranza [...] ma in migliaia di sedute è stata confermata questa necessità [...] di una forte penombra, come minimo, per certi fenomeni paranormali. (3) 

Rol non era d’accordo con questa interpretazione; secondo lui, l’oscurità non era condizione necessaria ma “solo ripiego prudente”: secondo le parole di Nicola Riccardi, egli non voleva “far correre dei rischi alle persone della sua cerchia abituale: rischi di contraccolpi psichici violenti”. (4) 

Anche secondo Maria Luisa Giordano il buio era solo una precauzione per evitare nei presenti “traumi psichici”. (5) 

Le giustificazioni avanzate da altri furono diverse; Lugli spiegò che secondo i testi di parapsicologia, le radiazioni della luce elettrica o solare interferirebbero tecnicamente con “l’estrinsecazione della forza medianica”; secondo Di Simone, invece, l’oscurità era necessaria perché i fattori psicocinetici non si sarebbero potuti realizzare sotto lo sguardo dei presenti perché costoro avrebbero potuto neutralizzarli. In altra sede il parapsicologo napoletano spiegò che “per i fenomeni a base animica [...], l’estrinsecazione dell’agente PN necessita dell’annullamento di alcuni tipi di radiazioni”. (6) 

Pur di salvaguardare l’autenticità dei fenomeni di Rol, i suoi sostenitori furono pronti ad avanzare ipotesi che coinvolgevano improbabili “traumi psichici”, “luci interferenti forze medianiche”, “fattori psicocinetici neutralizzanti” e “estrinsecazioni di agenti PN”. E se, invece, la luce fosse stata spenta per la ragione più ovvia? Ce lo fa pensare il Mago Forest quando ammette candido: “Per questo esperimento vorrei chiedervi di abbassare le luci per creare un po’ di atmosfera, ma soprattutto perché l’ho provato pochissimo...”

Vanni Bossi scrisse, a proposito del buio:

Presentandomi come prestigiatore non potrei mostrare un fazzoletto rosso, chiedere di spegnere la luce quindi farla riaccendere e mostrare che il fazzoletto ha cambiato colore ed è ora bianco. Mi troverei facile bersaglio delle sedie sulle quali gli spettatori sono seduti. Se voglio presentare questo gioco sono costretto a farlo in piena luce. [...] Presentandomi come medium non avrei problemi, o meglio ne avrei molti di meno. [...] La cosa incredibile è la facilità con la quale i “credenti” accettano (acriticamente come già detto) queste condizioni senza problemi. (7) 

Ma quante volte si fece buio durante le sedute di Rol?

Luci spente: il grande rimosso

Le occasioni in cui Rol fece abbassare – quando non spegnere completamente! – le luci furono innumerevoli.

In un’occasione due statue che si trovavano nel suo salotto sembrarono animarsi; le luci, però, erano praticamente spente, al punto che neppure Rol riusciva a vedere bene, tanto che “desiderava che non fossero abbassate troppo le luci”. (8)  Le due statue erano forse degli automi? Per coprire l’eventuale rumore degli ingranaggi Rol voleva che ci fosse della musica in sottofondo – e l’uso della musica durante le esibizioni dei prestigiatori serve spesso a mascherare rumori “indesiderati” prodotti dagli oggetti truccati.

Le materializzazioni di messaggi su fogli di carta avvenivano a luce spenta; Maria Luisa Giordano scrisse che talvolta Rol

si rivolgeva a un misterioso interlocutore che noi non potevamo vedere né sentire. [...] Alla fine si ricomponeva, salutava con deferenza l’entità e poi ci invitava ad accendere la luce centrale.

Solo a questo punto si constatava la presenza, sul tavolo, di un messaggio scritto dal personaggio che si era presentato. È lecito chiedersi se, per caso, il buio non servisse a coprire i movimenti che avrebbero “aiutato” la materializzazione.

Talvolta si parla di “penombra”, altre si cita esplicitamente il “buio più profondo”, come ad esempio durante la materializzazione della scritta “Je suis ici avec vous F.A. Ravier” avvenuta in presenza del parapsicologo Nicola Riccardi. Quante sostituzioni e manipolazioni avrebbero potuto avvenire all’insaputa di tutti quando, a notte inoltrata, le luci erano completamente spente?

Qualche volta le sedute vennero esplicitamente definite “al buio”, come quella avvenuta a Varese nella casa del marchese Gian Felice Ponti negli anni Cinquanta, durante la quale sarebbero apparsi su un foglio i versi di una poesia firmata “Li Po”.

In un’altra occasione

Rol fa spegnere la luce, nomina, ansando un po’, Ravier [...] Richiede di tanto in tanto un po’ di luce, teme di prendere il colore sbagliato. [...] Quando tutto sembra terminato, Rol chiede di accendere la luce, si avvicina esultante, prende il dipinto e lo getta sul tappeto al centro del salone. Una esecuzione molto accurata e delicata.

Perché far accendere la luce ogni tanto? Forse per evitare che gli occhi dei presenti si abituassero al buio e potessero scorgere qualche “manovra” che doveva restare nascosta? Qualche sporadico lampo di luce poteva essere un ottimo abbaglio, che impediva a chiunque di vedere con chiarezza quanto avveniva. Remo Lugli ricordò un’occasione del genere:

[Rol] fa spegnere la luce, però vuole che di tanto in tanto Remo accenda per un istante la piccola lampada da tavolo, «perché» dice, «non voglio addormentarmi.» Un attimo di silenzio, nel buio, poi Rol incomincia a parlare. [...] Questo racconto dura circa cinque o sei minuti. C’è da precisare che Remo, sentendo Rol parlare con tanta chiarezza, quindi non addormentato, sul principio non accende saltuariamente la luce come invece gli era stato chiesto e Rol intercala al suo racconto un avvertimento: «Remo, ti avevo detto di accendere la luce, perché non fai come ti dico?» Da questo momento, ogni quindici-venti secondi, Remo accende brevissimamente la luce. (9) 

Una volta il compito di dar luce all’ambiente fu affidato a Nicola Riccardi:

Nel buio ripetiamo la visione del verde, le chiamate a Ravier [...] oltre a una solenne invocazione di Rol a Dio per evitare ogni conseguenza perniciosa. Io siedo proprio in vicinanza del cavalletto, e continua a essere il mio compito dar luce all’ambiente. [...] Di tempo in tempo egli chiedeva uno sprazzo di luce ed io, non potendo sbirciare la tela, gettavo sguardi attenti alla sua figura. (10) 

Da questa descrizione risulta evidente che non solo gli esperimenti avvenivano al buio: se anche qualcuno avesse voluto osservare la tela nel corso della materializzazione, non avrebbe potuto farlo, per la posizione in cui Rol predisponeva le cose; ricordando, in questa cura, le attenzioni che i prestigiatori hanno per le angolature dalle quali gli spettatori assisteranno alle loro esibizioni, studiate nei minimi particolari.

Il buio? Con il tempo sparisce

Il “buio” durante le sedute è uno dei primi elementi che vanno perduti nel raccontare gli esperimenti di Rol; perdita che – ovviamente – conferisce un senso di mistero a fenomeni che, altrimenti, potrebbero essere spiegati in modo molto più semplice. Alfredo Gaito, ad esempio, raccontò così un episodio a lui accaduto:

Durante una delle tante serate che ho avuto la fortuna di trascorrere accanto al dottor Rol venne lo “spirito intelligente” di un mio antenato che disse di essere stato medico nel 1500. [...] Lo “spirito intelligente” di questo mio antenato parlò a lungo e mi diede anche preziosi consigli per la mia salute. Al termine dell’incontro, disse di volermi regalare un libro di medicina che gli era appartenuto. Improvvisamente, sul tavolo comparve un libricino di piccole dimensioni, intitolato Animalium proprietates e datato 1552. Nella pagina interna del libricino era scritto a mano: “Hic liber mihi attinet. A. Gaito med.” (11) 

Inutile sforzarsi di trovare un trucco: la descrizione che ne dà il protagonista è così straordinaria che sembra riferirsi ad un fantasma che è apparso, ha parlato, ha dato dei precisi consigli e ha fatto apparire dal nulla, sotto gli occhi di tutti, un libro antico. Come si fa a ottenere un fenomeno del genere con mezzi naturali? Questa versione è tratta da Rol il mistero, il libro “riveduto e corretto” da Rol stesso, ed evoca immagini ben lontane da quanto avvenne realmente: solo una descrizione più accurata dell’esperimento potrebbe portare alla soluzione del mistero. Fortunatamente abbiamo una descrizione dello stesso fatto, riportata da Remo Lugli, che aggiunge qualche elemento determinante:

Rol parla come se fosse un antenato di Gaito, anche quello medico, che gli annuncia che gli regalerà un libro. [...] A un tratto Rol dice ad Alfredo Gaito: «Prendilo, è caduto davanti a te.» Ma non fa ancora accendere la luce grande perché sta scrivendo in scrittura automatica. Alla fine si leggerà sul foglio: “Sono lieto di aver potuto salutare il pronipote diletto e onesto e la sua cara ed amabile sposa. Tu fosti labile ora sei abile. Non ti riempir di cibi così smodatamente. Sii continente a tavola che il tuo sangue preme assai forte, se eccedi avrai morte. Da tempo ti veggo e proteggo. A. Gaito med.”. (12) 

Improvvisamente i conti tornano: lo spirito che “venne” e “disse” parlava per bocca di Rol; i “preziosi consigli” sulla salute furono vergati a mano da Rol stesso in scrittura automatica e sono abbastanza generici; l’apparizione “improvvisa” si poté constatare solo dopo aver acceso le luci, che erano accuratamente spente. Ecco come lo stesso fatto – spiegabilissimo se letto nella versione data da Remo Lugli – può essere “riveduto e corretto”, trasformandosi in un vero e proprio miracolo.


Note

1. Remo Lugli, Rol una vita di prodigi, Edizioni Mediterranee, Roma 1995, p. 11.

2. Renzo Allegri, Rol il mistero, Musumeci Editore, Quart 1993, p. 48.

3. Giorgio Di Simone, Oltre l’umano Gustavo Adolfo Rol, Reverdito, Trento 1996, pp. 90-91.121.

4. Giorgio Di Simone, Oltre l’umano Gustavo Adolfo Rol, Reverdito, Trento 1996, p. 92.

5. Maria Luisa Giordano, Rol e l’altra dimensione, Sonzogno, Milano 2000, p. 273.

6. Giorgio Di Simone, “Tre serate di esperimenti con Gustavo A. Rol”, Informazioni di parapsicologia, n. 2 (1973), p. 19.

7. Vanni Bossi, Parapsicologia, un po’ di verità e tante truffe, Edizioni Landoni, Legnano 1979, pp. 32-33.

8. Maria Luisa Giordano, Rol e l’altra dimensione, Sonzogno, Milano 2000, p. 58 e Maria Luisa Giordano, Rol Oltre il prodigio, Gribaudo Editore, Torino 1995, p. 45.

9. Remo Lugli, Rol una vita di prodigi, Edizioni Mediterranee, Roma 1995, pp. 108-109.

10. Riccardi et al., “Dibattito sui fenomeni provocati dal Dr. Rol”, Metapsichica, gennaio-giugno 1970, p. 22.

11. Renzo Allegri, Rol il mistero, Musumeci Editore, Quart (AO) 1993, pp. 54-55.

12. Remo Lugli, Rol una vita di prodigi, Edizioni Mediterranee, Roma 1995, p. 150.

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