Lo scorso settembre ho dedicato due lunghi articoli a Mesmer, vol. 2. Il libro uscirà con il titolo “La zona del crepuscolo” e approfondirà l’affascinante confine su cui si giocò la storia del mentalismo dal 1784 ai primi decenni dell’Ottocento, interrogandosi su enigmi – ancora oggi irrisolti – che coinvolgono direttamente la coscienza, la creatività, la regione sfumata tra sonno e veglia e l’accesso a dimensioni “altre”.

Se oggi il mentalismo è quel che è, lo si deve a un fatto cruciale, individuabile con precisione nel tempo e nello spazio: il 24 maggio 1784, nello sperduto villaggio di Buzancy, il giovane contadino Victor Race cade in stato ipnotico su impulso di un ufficiale di artiglieria – il Marchese di Puységur. Come scrive Ruggero Eugeni, quel minuscolo evento diventa

il punto di riferimento per tutti i dibattiti seguenti su magnetismo e ipnosi, fino agli ultimi due decenni circa dell’Ottocento. (1) 

Da quell’istante-zero la storia del mentalismo

è di fatto un lungo ruminare, ripensare, rimodellare questa scena di base; tanto che, come osservato da diversi studiosi, questa storia offre l’irresistibile impressione di un eterno ritorno, di un’ossessiva ripetizione dei medesimi fenomeni, personaggi, avvenimenti, spiegazioni ogni volta avvertiti come nuovi. (2) 

Prima di visitare la zona del crepuscolo, ero convinto che tutto si basasse sull’inganno: la simulazione del sonno spiegava tutte le imprese degli “ipnotizzati” di cui leggevo. Come me la pensavano un’infinità di critici. Lavorando al secondo volume di Mesmer, sono stato costretto ad assumere una posizione più aperta alla complessità – e non solo per aver sperimentato in prima persona l’esperienza ipnotica. Assistere alle dimostrazioni pubbliche di Diego Allegri, talentuoso ipnotista novarese, mi ha suggerito una maggiore prudenza nell’affrontare il tema.

Da tempo apprezzavo le sue doti cartomagiche, senza sapere che – proprio come me – era sempre stato radicalmente scettico nei confronti dell’ipnosi; iniziando a sperimentare in quell’ambito, Diego aveva sviluppato – a due secoli di distanza – gli stessi sentimenti di sorpresa e curiosità del marchese. Le sue dimostrazioni – e la possibilità di interrogare i “Victor contemporanei” che interagivano con lui – hanno scalfito in profondità la mia incredulità, costringendomi a rivedere le mie posizioni. Oggi ritengo che, per interpretare due secoli di dimostrazioni ipnotiche, l’inganno non sia l’unica opzione da valutare; in ogni occasione, infatti, la persona ipnotizzata è libera di decidere se accedere allo stato ipnotico o simularne i fenomeni.

Sull’argomento ho conversato insieme a Diego Allegri, Med Markson e Gian Battista Gualdi nell’ambito del progetto Talking Magic, raccontando alcuni retroscena del mio lavoro. Anche se il sito propone materiale video on demand, i miei interventi sono tutti liberamente accessibili e raccolti in questo video.

Buona visione!


Note

1. Ruggero Eugeni, La relazione d’incanto. Studi su cinema e ipnosi, Vita e pensiero, Milano 2002, p. 84.

2. Ibidem.

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