Qualche anno fa ho trovato una vecchia cartolina del Cabaret du Néant di Parigi:

L’immagine mostra due momenti di un’evocazione necromantica: durante il rituale officiato da un frate Cappuccino, il corpo di un uomo si trasforma in scheletro in piena luce. Allo spettacolo assiste un giorno Henry Ridgely Evans (1861-1949), che in The old and the new magic (1906) racconta così la macabra scena.


Mentre stavo cercando tra i libri della Bibliothèque Nationale di Parigi del materiale su Robertson e altri, nel quartiere di Montmartre era in voga un notevole spettacolo di fantasmi basato sull’illusione di Pepper. Proverò a descriverlo. Si tenne al Cabaret du Néant, o “Taverna dei morti”. “Qualsiasi cosa, pur di provocare una brivido di novità” è il motto del locale. La morte non è certo un tema su cui ridere, ma gli allegri parigini sono pronti a deridere anche l’oscura mietitrice – come dimostra lo spettacolo presso la Taverna dei Morti [...] in Rue Cujas, vicino a Rue Champollion. Sopra un oscuro portale dipinto di nero bruciava una fiamma di un blu cinereo misto a zolfo. Sembrava di entrare in un ossario. Il mio amico ha fatto strada lungo un passaggio cupo, attraverso una stanza decorata con panni funebri. Le bare erano usate come tavoli e su ciascuna era posto un lume acceso. Dal soffitto pendeva un lampadario dall’aspetto macabro, noto come “lampadario di Robert Macaire”: era formato da teschi e ossa. I crani ospitavano le luci.

Cartolina del Cabaret du Néant di Parigi.

I camerieri del cabaret erano vestiti come becchini. Con un tono sepolcrale nella voce, uno dei garçons dall’aspetto più cupo – a dire il vero, il più cadaverico tra i suoi confratelli – si avvicinò come un enorme corvo nero e grugnì: “Quale veleno volete che Vi serva, signori? Abbiamo distillati di vermi tossici, microrganismi mortali e batteri di qualsiasi malattia esista”. Qualunque cosa si ordinasse, si riceveva sempre la stessa cosa: birra di dubbia qualità. Dopo aver bevuto un bicchiere, scendemmo lungo una rampa di scale sporche in un altro locale decorato con un panno nero, ornato da lacrime bianche, a immagine delle decorazioni installate dalle pompe funebri francesi per i funerali solenni. Qui, una coppia di monaci (in apparenza Cappuccini) ci ha solennemente accolto dicendo: “Voilà des Machabées!”. Ci siamo seduti su una panchina di legno e abbiamo aspettato che iniziasse la seduta. Tra gli spettatori c’erano diversi studenti con le fidanzate, un soldato piuttosto magro e un signore grasso con baffi incerati e l’aspetto imperiale: poteva essere uno chef in borghese o un membro dell’Académie Française. Quando si aprì il sipario, apparve un palcoscenico che rappresentava una cripta ammuffita, al centro della quale si ergeva una bara vuota. Chiamato un volontario, il mio amico medico accettò di entrare nella cassa da morto. Un monaco avvolse intorno al corpo del giovane un ampio lenzuolo. Una forte luce fu quindi puntata su di lui. In quel momento, il rossore sulle guance fu gradualmente sostituito da un pallore mortale, e il viso assunse il colore lugubre della morte. Gli occhi si trasformarono in orbite cavernose; il naso scomparve e il volto si trasformò in un teschio ghignante. L’illusione fu perfetta. Durante l’orribile trasformazione, i monaci intonarono: “Voilà, Machabeus! Sta morendo! Si dissolve! Polvere alla polvere! L’oscura mietitrice vi attende tutti!” Una campana da chiesa suonò solennemente e si levarono gli accordi di un organo. La scena avrebbe deliziato il genio spietato di Hans Holbein, la cui danza della morte è in grado di raggelare il sangue. Mentre osservavamo la scena, lo scheletro nella bara svanì. “È salito al Cielo!” gridarono i Cappuccini.

In poco tempo la figura riapparve: il teschio senza carne sfumò nel viso del mio amico, che alla fine uscì dalla cassa, gettando da parte il sudario e salutandomi con una risata allegra. Diverse altre persone si offrirono volontarie per sottoporsi alla scena della morte. Alla fine dello spettacolo, uno dei Cappuccini fece girare per la stanza un teschio in cui raccogliere offerte per la performance e noi lasciammo il locale.

Ecco la spiegazione dell’illusione.

Il trucco della performance, che Henry Ridgely Evans descrive in Magic, Stage Illusions and Scientific Diversions (1897) a p. 58.

Una lastra di vetro è disposta obliquamente sul palco di fronte alla bara. Al lato di questo palcoscenico, nascosto dal proscenio, c’è un’altra bara contenente uno scheletro vestito di bianco. Quando le luci elettriche che circondano la prima bara vengono spente e la bara contenente lo scheletro è molto illuminata, gli spettatori vedono il riflesso di quest’ultima nel vetro e immaginano che sia la bara in cui è stato inserito il volontario. Per resuscitare l’uomo, le luci sono invertite. (1) 


La recensione di Henry Ridgely Evans è accessibile alle pp. 104-6 di questo libro:

Henry Ridgely Evans

The old and the new magic

Kegan Paul, Trench, Trubner, Chicago 1906.

L’illustrazione del trucco è accessibile a p. 58 di questo libro:

Albert Allis Hopkins e Henry Ridgely Evans

Magic, Stage Illusions and Scientific Diversions including Trick Photography

Sampson Low, Marston & Co., London 1897.

Fotografie del Cabaret du Néant (e in particolare del suo macabro lampadario di ossa) sono riportate nel post di Ivan Cenzi (Bizzarro Bazar) “Cafés maudits” (29.7.2012).


Note

1. Henry Ridgely Evans, The old and the new magic, Kegan Paul, Trench, Trubner, Chicago 1906.

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