Approfondimento

Chiavi contro la rabbia a Prascorsano, Candia Canavese e Rivalta

Nel 1826 Collin de Plancy riferisce (tra le pagine del Dictionnaire Infernal) di una chiave di San Pietro consegnata dal primo pontefice a Sant’Uberto e custodita nell’omonima chiesa delle Ardenne. La reliquia guariva dall’idrofobia, provocata dal morso dei cani rabbiosi:

La voce “Rabbia” non compariva nell’edizione 1818 del Dictionnaire. La pagina di Collin de Plancy verrà tradotta in italiano nel 1870 da Francesco Piquè:

Nel 1871 la chiave di Sant’Uberto è riprodotta in un libro sui tesori della collegiale di Saint Servais:

Incisione tratta da Le chiavi storiche in ferro lavorato, Di Baio Editore, Milano 2002.

Chiave di Prascorsano

A proposito della chiave di Prascorsano, nel 1873 Antonino Bertolotti scrive:

In questa chiesa conservossi la chiave della vetusta cappella di S. Stefano, ove era sotterrata l’Adelaide. Supertiziosamente si correva quivi dai morsicati da cani arrabbiati per essere tocchi dalla detta chiave, creduta miracolosa. L’ultimo venuto fu visto morire sul posto dal prevosto suddetto. L’arcivescovo Franzoni fece ritirare detta chiave, la quale dovrebbesi ritrovare negli archivi della Curia.

Nel 1889 Gaetano Di Giovanni torna sull’argomento, citando la chiesa cimiteriale della Madonna del Carmine di Prascorsano, dove era custodita la chiave di Santo Stefano. Di Giovanni allarga il campo, citando anche la “chiave di Santo Stefano” di Candia Canavese e quella di Rivalta.

Chiave di Candia

Nel 1999, in una tesi sulla Chiesa di Santo Stefano al Monte di Candia Canavese, Marco Zerbinatti scrive:

Risale infatti alle tradizioni preromane una delle più antiche pratiche che in questo luogo di culto veniva svolta: l’utilizzo della chiave guaritrice in contrasto alla rabbia. Alcune testimonianze asseriscono che fedeli, viandanti e abitanti della zona si recavano in questa Chiesa per curare le ferite inferte da cani rabbiosi: una chiave rovente, resa incandescente negli ambienti della cripta, veniva posta sui lembi di pelle infetti con lo scopo di avviare il processo la cicatrizzazione e guarigione. In riferimento a questa pratica si riporta un passo presente all’interno dell’opera di G. Cuffia: «E quando taluno viene morso da cane arrabbioso lo si vede peregrinare al Santuario a dimandare la grazia della guarigione, e si conserva tuttora la chiave, colla quale solevano i Monaci nei tempi di mezzo cauterizzare la piaga del morsicato arroventandone la punta alla fiamma accesa presso l’altare di Santo Stefano.» (Giacomo Cuffia)

Ne scrive anche G. Forneris, Candia Canavese. Due passi e cento ricordi, Tipografia Litografia D. Bolognino, Ivrea, 1999, p. 119.

Chiave di Rivalta

Nel 1851 ne scrive la Gazzetta del Popolo:

Nel 1853 la Gazzetta Medica Italiana. Stati Sardi cita il caso di un bambino di 12 anni proveniente da Piossasco e ricoverato il 10 dicembre 1853 presso l’Ospedale San Giovanni di Torino. Morsicato da un cane il 15 novembre 1853, il bambino era stato trattato a Rivalta con la chiave “detta di San Pietro”, efficace se applicata entro tre giorni dall’offesa.

Nel 1861 Il Lampione ironizza sulle superstizioni legate alle varie chiavi contro l’idrofobia:

Il 9 dicembre 1862 muore una giovane diciottenne nativa di Coazze, mandamento di Giaveno: era stata morsicata al mento un mese prima e i genitori l’avevano portata alla chiesa di San Pancrazio per farle applicare l’omonima chiave.

Il pepe buono la battezza “Chiave di San Pancrazio”, citando l’articolo della Gazzetta del Popolo:

Della Benedizione della Chiave di San Pietro si ha questa trascrizione (non datata) fatta da Don Luigi Caccia:

Havvi in questa veneranda Arcipretura un’antiqua benedizione fausto retaggio de li frati del convento di detto luogo di Ripalta già nomatissima et illustre Abbbadia Cistercense. Avvegnachè li terrazzani di detto luogo di Ripalta et eziandio le incola delle propinque terre di Orbassano, Villarbasse et Villar di mezzo (vide licet Roncaglia et Corbiglia) siano azzannati per le morsa de li cani rabidiet eziandio de le volpi et simili animali selvatici con numia fede et fiducia appropinqueno alla Chiesa di Rivalta il cui archipresbitero ha la facoltà della benedizione antirabbica. In apposito stipo della sacrestia invenitur clavis Sancti Petri Apostoli cum serico lemnisco, numisma clavium ferente atque stola rubra cum orationibus et deprecationibus congruentibus. (1) 

Come testimonia Gino Gallo in Storie rivaltesi (2015), il 9 maggio 2014 don Stefano Revello ritrova la chiave: è in ferro, lunga 17 cm e porta una medaglia legata da un nastrino rosso; su una faccia della medaglia si trova incisa una chiave, mentre dall’altra si legge la scritta “Divo Petro Signum A. G. B.”. La sigla potrebbe significare “Ad Gesta Bellarum”, contro i morsi delle bestie.

Fotografia di Giuseppe Ricci, 25 maggio 2014.

Giuseppe Ricci individua due ex voto ottocenteschi. Il primo testimonia un incidente occorso a tale Francesco Andreone, morsicato da un cane alla mano il 30 novembre 1888. In alto a destra c’è San Pietro con la chiave in mano.

Archivio Parrocchiale di Rivalta, plico 204/6. Fotografia di Giuseppe Ricci, 6 giugno 2014.

Il secondo l’incidente che coinvolse tale Candido Cerano il 2 settembre 1899: morso a una gamba da un cane, invocò Maria Ausiliatrice.

Archivio Parrocchiale di Rivalta, plico 204/6. Fotografia di Giuseppe Ricci, 6 giugno 2014.

Note

1. Franco Ferro Tessior, Rivalta di Torino. 1000 anni di storia, Alzani 1991, p. 127 e Gino Gallo, Storie rivaltesi, Alzani 2015, pp. 79-80.

Tutto il materiale di questo sito è distribuito con Licenza Creative Commons BY-NC-SA 4.0