Mariano Tomatis

Il Santo Graal a Torre Canavese

Torino 2019

Tra i boschi di Torre Canavese (TO) si nasconde un curioso pilone votivo. L’affresco che lo decora ritrae il calice della Passione di Cristo. A reggerlo tra le mani è San Giovanni Evangelista, titolare della locale chiesa parrocchiale. Parte di un gigantesco enigma a chiave, l’immagine cela un messaggio sconcertante: il Santo Graal è sepolto da qualche parte in paese. I dati storici che lo confermano sono numerosi e circostanziati.

In queste pagine – pubblicate per la prima volta nel 1996 – Mariano Tomatis conduce un’appassionante caccia al tesoro attraverso gli assolati deserti palestinesi, le ruvide commanderie templari, le verdi colline del Piemonte e le polverose sacrestie canavesane. Il suo obiettivo? Riempire d’incanto i luoghi della sua infanzia, raccontandoli con gli strumenti dell’illusionismo.

Mariano Tomatis, Il Santo Graal a Torre Canavese, Torino 2019, 144 pp., B/N (11,5×16 cm).

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Presentazione della nuova edizione

Nel 1996 Il Santo Graal in Piemonte segna il mio esordio letterario. Nei giorni della sua scrittura frequento l’ultimo anno del Liceo Scientifico e cerco di risolvere gli enigmi di un videogioco: l’avventura grafica tratta dal film Indiana Jones e l’ultima crociata (1989). Scopo del gioco è di guidare l’archeologo alla ricerca del Santo Graal, accompagnandolo nella stessa impresa raccontata al cinema da George Lucas e Steven Spielberg. Del lungometraggio mi aveva colpito la solidità storiografica. Pur trattandosi di un’opera di fantasia, ricostruiva gli spostamenti della coppa di Cristo – dalla Palestina alla città turca di Iskenderun – lungo un percorso del tutto plausibile. Come ogni buona opera di finzione dovrebbe fare, il terzo episodio della saga di Indiana Jones favoriva la sospensione dell’incredulità.

Il videogioco è pensato per prolungare il piacere dell’esperienza cinematografica: il suo lancio pubblicitario recita: “Cosa faresti tu, nei panni di Indy?” Impersonando l’archeologo, posso muovermi attraverso gli ambienti del film, esplorando le conseguenze di scelte diverse da quelle raccontate al cinema.

Come nel primo capitolo della saga, Indiana Jones è sulle tracce di un oggetto noto anche fuori dall’universo filmico: una reliquia su cui – dall’epoca dei romanzi arturiani a oggi – sono state spese milioni di parole. Accanto ai testi di area letteraria e filologica, di solito seri e accurati, esiste un filone archeologico più approssimativo e sgangherato; gli autori di questa corrente si dicono orgogliosi di sporcarsi le suole per fare “ricerca sul campo” e spesso rispondono in modo preciso all’interrogativo cruciale “Dove si trova il Santo Graal?”. Le ipotesi avanzate sono le più diverse. La coppa di Cristo è nascosta da qualche parte a Glastonbury. O forse no, è esposta alla venerazione dei fedeli come “Santo Cáliz” a Valencia.

E chi può escludere che si tratti del minuscolo calice in alabastro, oggi custodito nello Shropshire inglese, o della coppa di legno nota come Nanteos Cup? E se fossimo tutti vittima di un malinteso? La reliquia che raccoglie il sangue di Cristo potrebbe essere, in realtà, la Sindone che ne ha avvolto il cadavere o addirittura il nome dietro cui si nasconde l’Arca dell’Alleanza (gelosamente custodita in una chiesa etiope).

Oltre i confini del videogioco, insomma, esistono Indiana Jones in carne e ossa: studiose e studiosi che cercano (e spesso individuano) il Santo Graal nel mondo reale; in alcuni casi, direttamente sul mio pianerottolo. Le teorie di Noel Currer-Briggs (1919-2004) – che identificano Graal e Sindone di Torino – mi portano la reliquia in casa: saldando il destino dei due oggetti, l’autore inglese traccia un percorso ideale tra la Terrasanta e il capoluogo piemontese; è grande la suggestione che provo nel leggerne le pagine e scoprire di vivere a chilometri-zero dalla Reliquia suprema.

A mettere un freno alla fantasia più sfrenata ci pensa Umberto Eco: l’estate precedente ho scoperto il suo romanzo Il pendolo di Foucault (1988), una raffinata parabola sui rischi che si corrono quando si perde di vista la bussola della verifica storica. Il Graal ritorna più volte tra le sue pagine, simbolo di un pensiero che può far perdere la ragione. Il libro mi turba e appassiona al contempo: è la storia di una tragica caccia al tesoro, dove quella che sembra una spensierata “ricerca del Graal” spalanca, poco alla volta, scenari di paranoia e incubo.

L’eccitazione mentale prodotta dalla costellazione di stimoli mi riporta alla mente un affresco sperduto tra le campagne di Torre Canavese: un’immagine impressa nella memoria sin da quando ero molto piccolo. Sembra ritrarre una Deposizione. I pochi frammenti ancora visibili mostrano, in primo piano, una coppa. Protetto da una fitta grata arrugginita, l’affresco decora un vecchio pilone votivo. In alto si leggono a fatica alcuni numeri – forse l’anno di realizzazione: si intuisce un “1896”. La firma, invece, è perfettamente leggibile: Peller.

Il pilone di Caraver (20 agosto 2010).

A Torre è nato il mio nonno materno. Appollaiato sulle verdi colline del Canavese, il villaggio è da sempre meta delle mie vacanze estive. Lo zio Giacô, che vi abita dal 1910, si ricorda dell’autore del dipinto. Celerino Peller arrivava da Nomaglio e lavorava come pittore itinerante. In Canavese lo conoscevano come “il pittore delle 12 p” – un nome che gli veniva dalla poesiola con cui si annunciava: “Peller, povero pittore, pinge per poco prezzo. Pregasi pagare più presto possibile”.

Quello che avevo ribattezzato “il pilone del Graal” sorgeva in regione Caraver, a circa cinque minuti dal centro abitato. Per raggiungerlo bisognava inoltrarsi nella boscaglia e da bambini ci era vietato avventurarci da soli per quei sentieri; perdersi, ci dicevano, era un attimo. La superficie del dipinto – in buona parte scrostata – solleticava la mia immaginazione: cosa rappresentava un tempo? Quali figure erano andate perdute? Sbagliandomi, pensavo che in origine ritraesse la Madonna che regge il corpo morto di Cristo. Chiamandolo “pilone dei set dolor (sette dolori)”, i Torresi avevano tramandato per via orale l’immagine perduta: sull’affresco originario, la madre di Gesù sedeva con sette piccole spade che le trafiggevano il cuore. Ai due lati comparivano rispettivamente San Giovanni Evangelista (a sinistra) e Sant’Antonio Abate (a destra). Il calice, che tanto accendeva la mia immaginazione, era in mano all’apostolo che Gesù amava. In basso a destra, Giuseppe d’Arimatea era ritratto accanto ai chiodi staccati dalla croce e alla coppa con gli aromi con cui profumare il cadavere di Cristo.

Particolare dell’affresco sul pilone di Caraver (20 agosto 2010).

Alla fine degli Anni Ottanta, con una cinepresa Super 8, mio padre aveva ripreso me, mia sorella e mio fratello mentre raggiungevamo il posto. La sua idea era di mettere in scena una piccola caccia al tesoro nei boschi di Torre. La breve pellicola mi mostra alle prese con il kit del piccolo esploratore, composto da una bussola, una mappa dei luoghi e un gilet pieno di tasche. Il pilone del Graal si intravede appena, ma testimonia che l’associazione tra quel luogo e l’idea di un tesoro nascosto risale a quando facevo le scuole elementari. Alcune di quelle immagini sono ora su YouTube, parte del cortometraggio “Il Santo Graal in Piemonte” (1) .

Dieci anni dopo, la mia ricerca “videoludica” del Graal si svolge soprattutto la sera, perché i pomeriggi sono dedicati allo studio. L’abituale ritrovo con i compagni di scuola è la Biblioteca Civica di Grugliasco, sui cui scaffali i libri sono liberamente accessibili. Facendo scorrere l’occhio sui titoli della sezione “storia locale”, mi imbatto in un’antologia di testi accademici sul Piemonte medievale (Einaudi 1985). Mentre la sfoglio distrattamente, un capitolo curato da Mario Gallina triangola in modo singolare con il videogioco, il romanzo di Eco e i ricordi d’infanzia. Lo studioso documenta i viaggi compiuti da alcuni nobili piemontesi tra la Terrasanta e il Monferrato all’epoca delle Crociate. Così facendo, e senza volerlo, mi fornisce su un piatto d’argento il “ponte” attraverso cui portare il Graal nella mia regione. Con il verbo “portare” mi riferisco a un’operazione puramente narrativa e finzionale: lo studio di Gallina mi mette a disposizione lo sfondo storico ideale su cui ambientare un racconto di fantasia che lega la reliquia della Passione e il villaggio d’origine del ramo materno della mia famiglia.

La croce rossa indica il sito in cui sorge il pilone di Caraver.

Quel giorno mi viene l’idea di costruire e descrivere, nel modo più verosimile possibile, il percorso compiuto dal Santo Graal dal Golgota alle colline di Torre Canavese. L’elemento chiave della narrazione – mi dico – sarà il pilone di Caraver: intorno al suo affresco costruirò una cornice di eventi che lo identificherà con l’indizio supremo, la x sulla mappa geografica, il messaggio in codice che conduce al nascondiglio della sacra coppa. Non ho in mente un romanzo, ma un saggio storico sulla falsariga di quelli che ben conosco sull’argomento. Ma poiché trovo irritanti i libri che si vantano di annunciare la verità ultima sull’ubicazione del Graal, rivelandosi poi quasi sempre poco rigorosi e molto inclini ai salti logici affrettati, mi diverte l’idea di realizzare un libro parodia: impiegherò le stesse retoriche, ma senza nascondere l’intento ironico dell’operazione.

Conservo ancora diverse pagine di appunti dell’epoca, scritti a stampatello con la penna stilografica. La scrittura è un gioco di incastri: si tratta di accostare eventi, isolarne alcuni, suggerire una direzione, evocare sospetti, alludere a una vicenda sotterranea che sto portando a galla per la prima volta, con sorpresa ed entusiasmo. Non ho una penna fine: per dichiarare che è tutto un trucco, non trovo di meglio che citare verbatim le pagine di Umberto Eco. La postfazione del libro saccheggia interi brani da Il pendolo di Foucault, chiudendosi con un tono epico la cui solennità – a distanza di anni – trovo un po’ imbarazzante.

Il Santo Graal in Piemonte esce nell’aprile 1996 in un’edizione fatta in casa. Le limitate finanze mi consentono di stamparne un singolo esemplare da cui ricavo sei fotocopie, poi rilegate con una certa cura. Pochi giorni dopo ne realizzo una seconda tiratura di diciotto copie. Una terza edizione in quindici copie esce nel febbraio 1997. Nessun esemplare è in vendita: mi limito a parlarne in giro e regalare le singole copie a chi se ne dice interessato.

Una finisce nella canonica di Torre Canavese, e il parroco don Leandro Cima si mostra particolarmente colpito. Nel marzo 1997 ne propone un’affettuosa recensione (2)  e più volte cita la teoria del libro durante le omelie – tra cui quella del 25 luglio 1998; predicata dal pulpito della cappella di San Giacô, viene documentata sul bollettino parrocchiale L’amico (3) . Dalle parole del sacerdote sparisce il mio intento ironico: in quanto simbolo della Passione di Cristo, il Graal in Canavese diventa – nelle riflessioni di don Cima – un invito a riflettere sul piano della Salvezza.

Nel dicembre 1997 cambio il titolo del libro in Il Santo Graal a Torre Canavese e ne realizzo una quarta ristampa. Una copia, finita sulla scrivania del sindaco Elio Guglielmetti, diventa un incentivo ad avviare un progetto turistico e culturale ispirato al tema del saggio. Il primo appuntamento si tiene l’11 ottobre 1998 presso il castello di Torre: il convegno “Alla ricerca del Graal” (4)  coinvolge membri dell’associazione ultra-tradizionalista Alleanza Cattolica insieme a Franco Cardini e Massimo Introvigne, autori con Marina Montesano del libro Il Santo Graal (Giunti 1998). Non riesco a essere fiero dell’iniziativa. Il sacro calice, che Giovanni Cantoni descrive come simbolo dell’Occidente bianco minacciato dall’invasione islamista, sembra uscire dalle pagine più oscure de Il pendolo di Foucault; a riemergere dalle fogne è il Graal della mistica nazista e di Julius Evola, lo stesso che, annualmente dal 15 settembre 1996, si incarna tra le mani di Umberto Bossi nell’ampolla con l’acqua del Po.

Una seconda iniziativa prevede la pubblicazione del mio libro nella collana dei Quaderni del Comune di Torre Canavese. Qualche anno più tardi farò un cenno al progetto in un libro di Massimo Polidoro (5) . Più volte rimandata, l’operazione editoriale si arenerà definitivamente nel 2009 con la morte di Elio Guglielmetti.

Il 12 novembre 1999 la vicenda esce dall’ambito locale con un articolo di Sara Peirone, pubblicato su un quotidiano della periferia torinese (6) . La giornalista dà conto di due altri miei libri: Le orme del tempio (1997) e Sulle tracce d’Atlantide (1998, poi Di Fraia 2002). Cinque anni più tardi, è la rivista a diffusione nazionale Celtica a raccontare la mia teoria – anche in questo caso, senza segnalare che si tratta di una parodia (7) .

Il 16 aprile 2004, a otto anni dalla pubblicazione del libro, ricostruisco i retroscena della vicenda durante una conferenza organizzata dall’associazione culturale Terra Mia. Il tema torna a occupare le pagine dei giornali del Canavese (8) .

Ilaria Dotta, “Tra storia e finzione. Il sacro calice è nascosto nel Canavese”, Il Giornale del Piemonte, 15.4.2004.

Nel frattempo ho scoperto la vicenda di Rennes-le-Château, dove sono stato in visita nell’agosto 2003 e nel gennaio 2004. Individuo molti paralleli tra la genesi delle leggende più inverosimili sul paesino francese e la vicenda del Graal a Torre Canavese. La conferenza è per me l’occasione di integrare la storia raccontata nel 1996 con ulteriori dettagli ispirati alla mitologia di Rennes-le-Château.

Una delle tecniche di indagine più usate dagli appassionati di “archeologia misteriosa” è la ricerca di geometrie insolite sul territorio e nei quadri, interpretate come indicazioni per ritrovare il tesoro. La meridiana da poco restaurata sulla chiesa parrocchiale di Torre Canavese è piena di linee e frecce: è l’indizio perfetto per aggiungere un tassello alla mia parodia.

Il 6 novembre 2004 do conto del nuovo scenario “aumentato” durante una relazione presentata al convegno sulle leggende metropolitane Contaminazioni! (9) . Nell’occasione spiego, per la prima volta, che il calice in mano a San Giovanni Evangelista non è il Graal. Secondo la tradizione, una coppa di vino avvelenato era stata offerta all’apostolo mentre si trovava a Efeso. Prima di berne, il santo aveva fatto il segno della croce sul calice e da questo era uscito il veleno, nella forma di un serpente.

Il Graal a Torre Canavese è di nuovo oggetto di interesse alla fine del 2004 (10) , in vista di una mia conferenza a Biella (13 gennaio 2005). L’incontro riprende i contenuti proposti a Castellamonte per l’associazione Terra Mia.

Nell’agosto 2005 la vicenda si guadagna una propria indipendenza: raccontandola su La Voce del Canavese, Tommaso Pimpinella non avverte la necessità di segnalare che si tratta di uno scherzo, né di citarmi come autore (11) .

Nel 2006 la scrittrice canavesana Barbara Romano pubblica una biografia dell’autore dell’affresco sul pilone di Caraver: il libro Peller. Storia di un pittore e un’arte popolare propone, tra l’altro, una ricca raccolta di fotografie a colori dei lavori del pittore di Nomaglio.

L’anno successivo, quattro studenti del “Master universitario in editing e scrittura di prodotti audiovisivi” propongono il progetto per un documentario sull’argomento. Ylenia Cafaro, Gianni Caldararo, Giulia Colica e Gianni La Corte stilano un documento intitolato “Il Santo Graal a Torre Canavese. Un piccolo paese alla ribalta tra verità e leggenda”. Nella sinossi del lavoro, i quattro scrivono:

Torre Canavese è un piccolo paese collinare del Piemonte, conosciuto a pochi. Improvvisamente giornali, tv e siti internet lo portano alla ribalta, a causa di una voce secondo cui nel paese sarebbe nascosto il Sacro Graal. Dietro questa storia, un uomo, Mariano Tomatis, che alcuni anni fa, per una sorta di gioco, ha costruito un falso storico con l’intento di sbeffeggiare gli pseudo-ricercatori che sul Santo Graal hanno inventato mille storie diverse, spacciandole per vere. Ma quando la sua reputazione e il nome del suo paese rischiano di essere offuscati a causa di questo gioco, Tomatis tenta in ogni modo di smentire. Il suo compito non è facile: è più semplice diffondere un’affascinante leggenda, piuttosto che distruggerla. Il suo viaggio in macchina verso un convegno in cui smentire con precisione ogni punto della teoria rappresenta il percorso di crescita di Tomatis e del suo amato paese d’infanzia: la sua idea giovanile ha dato inizio a un’attività di ricerca più ampia e appagante e il suo paese resterà avvolto da un’atmosfera poetica e magica. Un cammino che accomuna Torre Canavese e un uomo che in esso ha le sue radici.

Il progetto è ambizioso. Gli autori ritengono che

il prodotto potrebbe essere venduto ed esportato, per la sua particolarità e per il tema trattato, anche in molti altri paesi del mondo; è legittimo pensare a una co-produzione con possibili partner europei. A tal proposito si è pensato di poter coinvolgere grossi collaboratori, quali la bbc, il duplice canale zdf/arte e Discovery Channel, il quale potrebbe trasmettere il prodotto sulla propria rete History.

L’iniziativa trova eco sui giornali (12) .

Nel 2012 va in scena l’ultimo capitolo della storia recente del pilone di Caraver: la proprietaria Barbara Ponte ne affida il restauro ricostruttivo a Cristian Galan. L’intera struttura viene consolidata e la griglia rimossa. L’affresco mostra ora quella che, presumibilmente, era l’immagine dipinta da Celerino Peller nel 1896.

Il pilone di Caraver (11 agosto 2012).

Annalisa Thielke ricostruisce la vicenda su La Voce del Canavese (13) .

Nel 2019, con l’obiettivo di mettere ordine nell’ormai ampio dossier sul caso, raccolgo quello che è stato pubblicato sul tema negli ultimi vent’anni e lo rilego in un solo volume: è la quinta edizione del libro (14) . Nessuna operazione nostalgia, al contrario: un invito a risemantizzare la beffa.

Se dal 1996 a oggi è cresciuto il consenso intorno alle formazioni politiche che fanno del Graal un simbolo di nazionalismo gretto e razzista, la parodia può (e deve) riaffermarsi come strumento di Resistenza; sulla scia di Fruttero e Lucentini, che nello sberleffo riconoscevano

un modo ideale, forse l’unico, per distaccarsi da quel pattume [ed] espellerlo dal proprio sistema (15) .

Note

1. Episodio 102 della serie Mesmer in pillole, 12.2.2019.
2. Don Leandro Cima, L’amico – Lungo la via, marzo 1997, p. 4.
3. Don Leandro Cima, L’amico – Lungo la via, settembre 1998, p. 2.
4. “I misteri del Sacro Graal discussi durante un convegno al castello di Torre”, La Sentinella del Canavese, 26.10.1998.
5. Mariano Tomatis, “Un ‘piccolo’ scherzo...” in Massimo Polidoro, Gli enigmi della storia, Piemme, Casale Monferrato 2003, pp. 168-72.
6. Sara Peirone, “Studiando il Santo Graal. Mariano Tomatis insegue la mitica coppa”, Il Corriere di Rivoli, Collegno e Grugliasco, 12.11.1999, p. 19.
7. Mary Tiussi, “Re Artù e il Graal in Italia”, Celtica, gennaio/febbraio 2004, p. 17.
8. Ilaria Dotta, “Tra storia e finzione. Il sacro calice è nascosto nel Canavese”, Il Giornale del Piemonte, 15.4.2004, p. 6; “Una conferenza sul ‘Santo Graal’”, Sentinella del Canavese, 15.4.2004, p. 27; Il Canavese, 16.4.2004, p. 18; “Sulle tracce del Santo Graal. Un foltissimo pubblico ha assistito alla serata organizzata da Terra Mia”, Il Canavese, 23.4.2004, p. 21; “Straordinario successo di Mariano Tomatis nella conferenza organizzata da Terra Mia”, Terra mia, n. 2, maggio 2004, p. 3; Luigi Benedetto, “L’uomo che ha inventato la presenza del Santo Graal a Torre Canavese. L’autore del clamoroso falso è l’informatico e illusionista Mariano Tomatis. Il suo libro ha tratto in inganno anche autorevoli studiosi della materia. Tanto da entrare nella storia”, Il Canavese, 29.10.2004, p. 19.
9. Mariano Tomatis, “Creare leggende storiche: come il Santo Graal arrivò in Piemonte”, 6.11.2004 in Stefano Bagnasco e Paolo Toselli, Le nuove leggende metropolitane, Avverbi, Roma 2005, pp. 121-30.
10. Valerio Grosso, “Il Santo Graal è a Torre Canavese. Mariano Tomatis, studioso di leggende urbane sulla reliquia di Cristo, ne ha creata una lui, così documentata da sembrare vera”, Torino Cronaca, 30.12.2004, p. 10; “Il Graal nel Canavese: tra il mito e la storia, vince la burla contro le mistificazioni”, La nuova Provincia di Biella, 12.1.2005, p. 7.
11. Tommaso Pimpinella, “Santo Graal a Torre Canavese?”, La Voce (a nord di Torino), 1.8.2005, p. 15.
12. Stefano Bongi, “Il Santo Graal è a Torre Canavese? Uno degli scherzi più riusciti della storia. Decine di novelli Indiana Jones cercarono il sacro calice armati di pala e piccone”, La Voce del Canavese, 28.4.2008, p. 39.
13. Annalisa Thielke, “Il restauro scopre la mappa del Graal. Nuovi indizi per il ritrovamento emergono dal lavoro eseguito sul ‘pilone dei sette dolori’”, La Voce del Canavese, 27.8.2012, p. 35.
14. Dopo Il Santo Graal in Piemonte I ed. aprile 1996, II ed. maggio 1996, III ed. febbraio 1997; Il Santo Graal a Torre Canavese IV ed. dicembre 1997.
15. Carlo Fruttero e Franco Lucentini, “La parodia dell’obbligo”, La Stampa, 17.10.1984.

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