Perché i maghi hanno cattivo gusto? - Mariano Tomatis


Gillo Dorfles, 15 settembre 2014

Perché i maghi hanno cattivo gusto?

Più d’una volta mi sono chiesto come si può spiegare che molte situazioni legate a fenomeni soprasensibili (o vogliamo definirli: metapsichici, paranormali, occulti?) abbiano spesso un’indefinibile connotazione Kitsch. Le poche volte che ho avuto l’occasione di avvicinare qualche ambiente frequentato da maghi, veggenti, pseudo-iniziati, astrologhi, cartomanti, ho notato che l’atmosfera in cui s’aggiravano era immancabilmente intrisa d’una patina leggermente desueta e d’un cattivo gusto fin de siècle che dava ad ogni loro discorso una vernice di stampo equivoco. D’un equivoco estetico più che etico.

Sia ben chiaro che queste mie osservazioni non vogliono suonare né condanna per pratiche spesso degne d’interesse, né spregio circa le possibilità di affrontare simili obiettivi. Quanto dico non ha dunque nulla a che vedere con la eventuale serietà di autentiche indagini occulte, né tanto meno con la solennità di tradizioni iniziatiche, di leggende e saghe millenarie.

Quello che mi preme di indicare è soltanto il carattere di polverosa non-aggiornatezza, di curiosa assenza di sensibilità estetica, da parte di molti di questi personaggi. Come se gli stessi fossero appena usciti dalla naftalina d’un vecchio guardaroba ottocentesco brulicante di tarli e di tarme.

Questo coincidere di antiche e venerande simbologie occulte con certi schemi fuor di moda non può non stupire e deve avere una sua precisa motivazione, che vorrei riuscire a chiarire.

Il fatto più curioso è che, ad analizzarlo più da presso, lo “stile” di queste manifestazioni rimane legato a un preciso periodo dell’arte moderna, a quel periodo che, grosso modo, va dalla fine dell’Ottocento al secondo decennio del nostro secolo: quel periodo dunque che vide, in un primo tempo, l’esplosione del “simbolismo” belga-franco-inglese, e, in seguito, quella del primo astrattismo russo-tedesco-olandese. I nomi, tanto nel territorio delle arti figurative che in quello della letteratura, sono ben noti: troviamo qui letterati illustri come Huysmans, Péladan, Maeterlinck e pittori come Khnopff, Rholf, ma anche Kandinskij, Ciurlionis (il misterioso astrattista estone, precursore dello stesso Kandinskij), nonché musicisti come Skrjabin.

È un dato di fatto, cioè, che tanto il torbido mondo simbolista e pre-surrealista belga e francese (si pensi al grande Odilon Redon e a Gustave Moreau) quanto quello astrattista (ripeto i nomi di Kandinskij e Mondrian: i due padri d’ogni futura pittura astratta) siano stati ampiamente influenzati dalle correnti e dagli studi occulti che in quel lungo periodo erano particolarmente intensi ed attivi. Non si dimentichino i legami esistenti tra Kandinskij e Rudolf Steiner, quelli tra Mondrian e la teosofia, nonché quelli tra Ciurlionis e lo spiritismo, tra Péladan e i Rosacrociani.

Una cosa è certa: i cultori di scienze occulte e in genere tutti coloro che in quel periodo s’interessarono ai problemi del soprasensibile vennero a intimo contatto con le forme più avanzate delle arti figurative coeve o ne furono addirittura protagonisti (come è il caso di Rudolf Steiner e della sua originale realizzazione architettonica, il Goetheanum di Dornach). Oppure possiamo rovesciare l’affermazione dicendo che molti dei più significativi pittori, scultori, illustratori dell’epoca furono attivamente interessati e influenzati dai pensatori legati a ricerche di carattere magico e occulto.

Basta allora questa affermazione per comprendere come e perché il bagaglio decorativo e stilistico di molte manifestazioni magiche e iniziatiche della fine del secolo scorso e delle prime decadi del nostro sia spesso infarcito di moduli e schemi simbolisti e secessionisti come quelli che affiorano nelle pitture d’un Moreau, d’un Delville, del rosacrociano Khnopff, o dello stesso Redon.

Ma la mia intenzione tuttavia non era, qui, quella di riandare ad un periodo storico-artistico ben noto, e di cui negli ultimi anni si sono ampiamente precisate le dimensioni (che in parte s’identificano e in parte sconfinano nelle più vaste e frastagliate diramazioni dell’Art Nouveau) ma invece quella di riuscire finalmente a giustificare il perché del persistere di questa patina secessionista e “decadente”, rasentante addirittura il cattivo gusto anche in epoca molto più tarda, addirittura ai nostri giorni. Ecco il vero punto dolente del problema: come mai molti di coloro che, al giorno d’oggi, s’interessano a fenomeni “occulti” non sanno abbandonare quel gusto che fu attuale e giustificato all’inizio del secolo mentre oggi appare decisamente rancido e desueto?

Sembrerebbe quasi che l’apparecchiatura, iconografica e simbologica, alla quale si rifanno i detentori (o presunti tali) di capacità “ultrafaniche” (il termine è più in coincidenza col tipo di linguaggio usato nell’epoca cui mi riferisco) ci riporti immediatamente a un passato prossimo ma ormai “declassato”: non dunque al miglior Art Nouveau, o al miglior Liberty ma a quel tipo di decorativismo che accompagnò i primi drammi di Ibsen, le prime tragedie di Maeterlinck o addirittura le decorazioni di certi romanzi e poemi dannunziani. Erano di questa, d’altronde, i paludamenti stessi con i quali allora si presentavano certi celebri “spettri”: gli ectoplasmi della medium Eusapia Paladino, ad esempio, che ancora possiamo ammirare illustrati in qualche vecchio testo di spiritismo. Ma è anche vero che in quell’epoca lo “stile” delle apparizioni o materializzazioni ectoplasmatiche era quello stesso del periodo in cui le pitonesse, le spiritiste vivevano. Meno comprensibile invece che a questo stile si rifacciano, dal più al meno, anche oggi molte delle persone che sono interessate a queste esperienze.

Dobbiamo allora dedurne che tra spiritismo e Kitsch, tra magia e Kitsch esiste un nesso indissolubile o necessario? O dobbiamo forse arguire che l’arte d’oggi, lo stile della nostra epoca, non “piace” alle forze occulte che ci circondano?

Forse la spiegazione è situata a metà strada: la cultura, l’arte d’oggi, si sono disinteressate troppo di certi fenomeni che pure costituirono la base di grandi opere d’altri tempi. D’altro canto, anche coloro che s’appassionano oggi ai fenomeni occulti spesso si rifanno a testi e a documenti assai datati: penso ad esempio alle abominevoli copertine istoriate dei Grandi Iniziati di Schuré nelle edizioni Bocca, o a certe illustrazioni edulcorate nei libri della Besant o della Blawatski.

Ma non si esaurisce qui la ragione profonda di quanto ho cercato di precisare: se nei casi di cui sopra si tratta d’un ritorno a moduli culturali antiquati dal punto di vista estrinseco (grafico, editoriale), ma non perciò meno degni di interesse, quello che invece non saprei come giustificare è l’indubbia atmosfera equivoca che circonda molto spesso gli ambienti dove agiscono oggi i tantissimi maghi, astrologhi, “veggenti” ai quali si rivolgono quotidianamente i cittadini in cerca di lumi amorosi, politici, economici.

Questi maghi hanno una caratteristica in comune: quella di essere dei veri e propri ricettacoli di cattivo gusto.

Come c’è il Kitsch del grasso borghese, del pedante filologo, del generale a riposo, del concertista famoso, c’è dunque il Kitsch delle fattucchiere, dei sensitivi, dei mediconi.

Il che non toglie che le eccezioni confermino la regola, anzi, quando un gusto non stantio primeggia tra i cultori di scienze occulte, quando queste si convertono davvero — come già sta accadendo altrove in Germania, in Inghilterra — in autentica Geisleswissenschaft, in seria ricerca scientifica, è logico che, accanto ad una maggior serietà delle ricerche, si verifichi anche una maggior aggiornatezza del gusto e dell’interesse artistico di chi le pratica.

Gillo Dorfles, I fatti loro: dal costume alle arti e
viceversa
, Feltrinelli, Milano 1983, pp. 87-90.

Grazie a La Luna per la segnalazione.

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