Incantatrici, sibille, veggenti. Il lato politico dell’occulto nell’esoterismo femminile

Nadia Terranova

Il saggio di Tomatis racconta la magia e l’illusionismo come alternativa al potere e al predominio maschile.

Ogni libro ha in sé una spinta lucente che coincide con l’origine dell’idea e con la sua conclusione, con la sua motivazione intrinseca; qualche volta quell’idea viene dichiarata, qualche volta no, capita che finisca nel prologo o nell’epilogo oppure da nessuna parte, resta come una pagina mai scritta nella testa dell’autore e di quel libro, per lui, costituirà la sintesi. Nel caso di Incantagioni. Storie di veggenti, sibille, sonnambule e altre fantasmagoriche liberazioni (NERO edition) di Mariano Tomatis, quella pagina coincide con la prima. L’incipit è un aneddoto e ha per protagonisti un maiale parlante, una contadina e un illusionista. Al mercato, una donna vestita di stracci si trascina al guinzaglio un vecchio maiale malridotto, l’uomo è attratto da quella scena e chiede quanto costa il maiale, insiste per comprarlo, è chiaramente una provocazione cui la donna non cede, finché, tartassata dalle domande, spara una cifra altissima. Il maiale, allora, inizia a parlare, dice di non valere quel prezzo e di appartenere a una taccagna; la gente del mercato si anima, insulta e malmena la donna dandole della strega, picchia anche il maiale credendolo indemoniato, l’uomo se la ride di gusto. Di questo aneddoto conosciamo solo il nome di lui: Louis Comte, uno dei più celebri maghi dell’ottocento. La donna e il maiale si perdono nell’ombra, mentre l’autore di Incantagioni, nel riportare l’aneddoto, rivela un certo disagio nel riconoscere oggi, in quella scena, classismo, misoginia e anche una stupida derisione del mondo animale. C’è un uomo ricco e di successo che sente il bisogno di bullizzare una donna e una bestia, c’è una certa compiacenza anche nell’uomo che riporta l’episodio per iscritto, nessuno vede il problema. Del resto la magia porta in scena maschi che torturano, segano in due e fanno scomparire donne sotto gli occhi di un pubblico entusiasta, no?

Mariano Tomatis è uno dei più noti illusionisti italiani, è un mago e un incantatore. La sua stessa scrittura è incanto, è storia, è divulgazione ed è, soprattutto, critica: abile nello smontare tutto ciò che crediamo di sapere e nel mostrarci l’illusione da una prospettiva che sconosciamo anche come semplici spettatori, Tomatis si occupa stavolta di una delle più riuscite magie di tutti i tempi: far sparire il nome delle donne dalla storia. E quella magia la ribalta, raccontandocene alcune che hanno osato sottrarsi all’appropriazione del loro mondo e prendersi la scena tutta per loro, almeno finché hanno potuto: una sibilla moderna, una necromante, una psiconauta, una chiaroveggente, una sonnambula. Tutte hanno un nome. E tutte hanno una storia che sono cento storie nelle voci degli uomini che le hanno raccontate e nell’unica che sono riuscite ad avere per sé, con fatica. Sono sommerse da nascondimenti e pettegolezzi, sono sparite dietro la narrazione prevalente, perché una donna coinvolta in uno spettacolo di illusionismo non può che essere «svestita e taciturna, mentre sorride alle torture di un uomo che la trafigge con le spade e la fa sparire». Almeno fino al 17 gennaio 1921, quando il mago Percy Selbit chiama in causa, con toni provocatori, la femminista Sylvia Pankhurst.

Eppure, leggendo con sapienza tra le righe, Tomatis vede molto oltre questa narrazione. Anche la sua è una magia: far riapparire fantasmi cui la storia ha tolto un nome, riconoscere poteri e qualità, riconnettere alla memoria figure note, temute fino a essere umiliate. Il libro di Mariano Tomatis è certo anche un testo militante, ma questo aspetto politico nulla toglie all’incanto delle sue storie. Racconta di esibizioni leggendarie ed eventi prodigiosi e gioca con la sospensione d’incredulità in un modo nuovo, mostrando il lato politico dell’occulto e, viceversa, il pozzo nero dei sistemi istituzionali e degli equilibri di potere. Non si accontenta di ricalcare vecchie storielle ma le smonta, anche sotto il profilo linguistico. Indica gli abusi e le credulonerie, che non stanno mai dove pensavamo che fossero. E conclude:

«Penso alle veggenti del mio viaggio e mi appaiono come controfatture, esorcismi queer, incantesimi di liberazione, esercizi di demonologia rivoluzionaria, passi di un cammino della Mano Sinistra. Alla magia mainstream, capace solo di celebrare il predominio machista, queste illusioniste contrappongono pratiche che mettono in discussione l’idea stessa di potere: chi ha detto che non se ne possa fare a meno? Che aspetto avrebbe il mondo se le relazioni non fossero plasmate su dinamiche di dominio?».

Tomatis parla di transfemminismo magico come di una via di fuga creativa. Forse non sappiamo nemmeno che cos’è, ma non è questa l’essenza dell’illusione? Scombinare tutto, trovare la crepa nella realtà più fragile, farla saltare e vedere di nascosto l’effetto che fa.

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