Donne, illusionismo, emancipazione

Rosella Simonari

Quando penso ai numeri di magia, penso a un uomo, un mago. Se penso ai numeri che potrebbe fare, penso alla sparizione di una colomba, a un gioco con le carte o a una donna tagliata in due. Già. Una donna tagliata in due.

Nel film Cercasi Susan disperatamente (1985), la protagonista Roberta vive una serie di avventure che la portano ad allontanarsi dalla sua vita borghese per trovare l’amore e risolvere un caso di furto internazionale. Si tratta di una commedia romantica dove Roberta diviene pian piano sempre più consapevole di se stessa e di ciò che vuole. C’è però una scena in cui impersona l’assistente passiva di un mago. Ad un certo punto viene messa in una cassa e segata a metà. Questo il topos dei numeri di magia, questo un rito maschile che va avanti dal 1921, quando cioè l’illusionista Percy Selbit lo eseguì per la prima volta. Secondo Mariano Tomatis, storico della magia, illusionista e molto altro, evidenzia un “immaginario sessista”, poiché è pressoché sempre la donna ad essere segata in due. Se quindi durante il film Roberta da sottomessa casalinga diviene bohémien avventurosa, in quella scena è soltanto un oggetto per intrattenere il pubblico.

Nel 2013 Tomatis ha curato il documentario Donne a metà, che verte proprio su questo topos. Consultabile online, il documentario mostra come l’atto di segare una donna in due sia una questione politica di violenza gratuita sulle donne e non semplicemente un trucco magico. Ecco che quindi parlare di magia e illusionismo può significare anche parlare di emancipazione.

Questo l’intento di Tomatis nel suo ultimo libro, Incantagioni – Storie di veggenti, sibille, sonnambule e altre fantasmagoriche liberazioni (2022), dove effettua un’operazione culturale diversa rispetto a quella fatta per il documentario. Ossia sceglie sei donne che grazie all’illusionismo sono state protagoniste attive della loro vita, soggetti ben consapevoli del loro valore, non assistenti, non oggetti da mostrare. Il lasso temporale si muove fra Settecento e Ottocento e i luoghi variano da Torino a Parigi, Lione e diverse altre località.

Incantagioni è la storia epica e gaglioffa di sei donne che hanno rifiutato di finire sotto la sega del mago, hanno ribaltato il tavolo e usato il potere della magia nell’ottica di un originale femminismo psichico.

Dalla prosa avvincente e impeccabile di Tomatis prendono vita sei donne straordinarie realmente esistite: Rosalie Lefevre (questo uno dei suoi nomi), la sibilla moderna che incanta il pubblico con le sue visioni in stato di sonnambulismo; Carlotta Bongioanni, la necromante che comunica con lo spirito della venerabile Maria Clotilde di Borbone ed è così convincente da attirare l’attenzione di re Carlo Alberto di Savoia; Jeanne Rochette che, anche lei in stato di sonnambulismo, vede l’aldilà che descrive con una complessità narrativa degna di Sherazade; la piccola Léonide Pigeaire, una bambina che legge da dietro una benda e il cui nome diviene sinonimo di “maga”; Prudence Bernard, la sonnambula i cui trucchi vengono ripetutamente svelati senza che questo la fermi nelle sue sedute; e l’ultima, Hersilie Rouy, donna invisibile perché ingiustamente internata in sei manicomi con l’accusa di essersi dedicata “allo studio dei misteri del sonnambulismo e del magnetismo animale”.

Accanto alle protagoniste ci sono figure interessantissime, come Étienne-Gaspard Robertson e le sue fantasmagorie, “immagini luminose generate da una lanterna magica”. O il dottor Frapart, strenuo sostenitore dei prodigi delle sonnambule e volto per questo a convincere il maggior numero di persone possibili a credere ai loro sortilegi attraverso la pubblicazione di lettere di centinaia di pagine.

Ad avallare queste storie ci sono poi miriadi di fonti: giornali del tempo, dossier giudiziari, diari segreti, quaderni proibiti che Tomatis inserisce nel contesto e nella trama narrativa rendendo il racconto ancora più avvincente.

Tomatis avrebbe potuto presentare le sei donne come delle truffatrici alla Wanna Marchi poiché spacciavano per reali i loro poteri da illusioniste. Ma non è questo il punto, e tra parentesi, anche una persona come Wanna Marchi può essere letta seguendo un filone più empatico, perché si può e si deve pure riflettere “sui fattori socio-culturali che spingono milioni di persone a rivolgersi a veggenti e sibille moderne” senza sempre condannare “ogni fuga nelle esperienze magiche”. Il punto, come ha sottolineato Tomatis stesso nell’intervista che ha rilasciato a Loredana Lipperini su Fahrenheit, è l’impatto che queste donne hanno avuto “sulla società, sul dibattito pubblico, sulle loro vite”.

Così l’autore intraprende una scrittura diversa che ridà voce a donne che hanno fatto la storia dell’illusionismo ma il cui nome è stato cancellato. Un hashtag di Twitter fa riferimento a questo, #ReclaimHerName, reclama il suo nome, un progetto della Women’s Prize for Fiction che intende ripubblicare con il loro vero nome venticinque libri scritti da donne i quali furono inizialmente pubblicati sotto falso nome maschile. Tomatis critica l’operazione come “fuorviante” ma la celebra anche come “fertile”, perché se da un lato rischia di semplificare e appiattire il concetto di identità di genere di queste scrittrici che dopo tutto scelsero il loro nome maschile, dall’altro riporta al centro del discorso proprio il nome delle donne cancellate dalla storia. E il lavoro di Tomatis non è affatto semplicistico, bensì complesso e stratificato dove per ogni donna viene analizzato l’aspetto che la libera dai giochi di potere maschile, sia che si tratti del carattere forte della piccola Léonide o dell’invenzione narrativa di Jeanne Rochette.

D’ora in avanti, quando penserò ai numeri di magia, penserò a queste sei illusioniste e alla loro capacità di sovvertire l’ordine costituito.

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