Sei incantevoli sovversive.
Incantagioni di Mariano Tomatis

Gaia Tarini

Quando i dottori tradizionali espressero le loro perplessità mediche, mia madre consultò un altro tipo di dottore. Un ginecologo-ostetrico che praticava approcci alternativi alla salute […] noto soprattutto per il suo lavoro di ipnosi sui pazienti che gli comunicavano con le dita le cause subconsce delle loro malattie fisiche ed emotive.

scrive Lidia Youknavitch nella Cronologia dell’acqua. Sono richiami simili a traghettare la mia mente verso le Incantagioni di Mariano Tomatis (Nero, 2022), evocazione letteraria di un’«armata di sonnambule», necromanti, psiconaute e chiaroveggenti che chiedono, o meglio pretendono di essere sottratte all’oblio innocente del tempo, e ai più colpevoli tentativi di occultamento da parte di una società patriarcale e iper-scientista come quella dell’Ottocento post-illuminista, fortemente ostile al pensiero magico. Sei protagoniste per un racconto sovversivo che si snoda da Torino a Parigi, da Lione a Tolosa, da Orléans a Montpellier, che non è un semplice trattato di magia e di illusionismo, ma anche uno squisito esempio di ingegno e resistenza femminile: Rosalie Lefèvre, Carlotta Cerrino, Jeanne Rochette, Léonide Pigeaire, Prudence Bernard e Hersilie Rouy. Bisogna scrivere e ricordare i loro nomi — spesso mistificati o cancellati nei documenti ufficiali — per comprendere il ruolo cruciale che hanno svolto per la collettività: non solo illusioniste, chiromanti o affabulatrici, ma portatrici e protettrici di un sapere altro, basato su forme di assistenza alternativa, che attraverso la pratica magica mirava a proporre nuove e possibili forme di guarigione. E così, dietro la donna ipnotizzata o sensitiva che strabiliava coi suoi giochi di prestigio, che dimostrava di saper leggere bendata o che indovinava malumori, guariva malanni e prometteva rimedi contro mariti infedeli e intercessioni con antichi antenati, spesso si celavano psicoterapeute in fieri, dotate di empatia, capacità di ascolto e di una volontà che intendeva non tanto contrastare quanto integrare quel «monopolio della cura della psiche» che per secoli sarebbe stato esclusivamente ad appannaggio della psicologia, creando non poche fratture e tensioni tra cultori della magia e della medicina.

Come testimonia la lingua incantata e incantevole di Tomatis, era durante quegli spettacoli strabilianti a base di magnetismo, fluidi e trucchi pirotecnici — sempre sottoposti al giudizio e al controllo degli ordini scientifici — che le donne potevano tentare di sovvertire l’ordine costituito — condizione in cui tra l’altro, per una fortunata eccezione, gli uomini che le affiancavano ricoprivano i ruoli ancillari di assistenti o segretari; era proprio in quelle condizioni “alterate” che le moderne streghe di Incantagioni potevano sperare di rubare la scena ai loro mariti, ai loro padroni e carnefici, nonché occupare uno spazio fisico, esprimere le proprie idee e intraprendere battaglie cruciali sul piano civile e politico. L’eterna battaglia tra il mondo razionale ed esoterico — tuttora sostenuta da chi non vuole né riesce a intuire il profondo legame esistente tra saperi né opposti né distanti — è ciò che fa da sfondo alle vicende di queste rivoluzionarie ed erotiche fattucchiere, in un mirabile caos a base di

strategie illusionistiche, contro-fatture, esorcismi queer, incantesimi di liberazione [ed] esercizi di demonologia rivoluzionaria

pratiche che già allora, in un moderno proto-femminismo, miravano a sovvertire le vigenti dinamiche di potere.

Pensando a Hersilie Rouy, musicista nubile e perciò invisa alla società (nonché figlia di un illusionista e sonnambula dall’adolescenza) non si potrà infatti ignorare, ad esempio, il legame tra il tema dell’invisibilità femminile come pratica coercitiva di quel mondo patriarcale tanto contrario all’occulto e il dibattito sulla visibilità pubblica delle donne. Mentre infuriava la battaglia tra scienza e magia, Hersilie venne confinata nei peggiori istituti carcerari di Francia, da cui riuscì a uscire indenne grazie a un complicato sistema di alleanze basato su affabulazione e inventiva, nonché sulla scrittura come forma di auto-terapia. Ma ben lontana dal pensare soltanto a salvarsi, fingendosi erede al trono e discendente dei Borboni contrastando i tentativi del fratellastro di distruggere la sua vera identità per questioni di denaro, Hersilie fu anche in grado di attirare l’attenzione dell’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, che avrebbe in seguito rivisto la legge sui manicomi e indagato sugli abusi subìti dalle detenute francesi. A Lione, Jeanne Rochette, magnetizzata per la prima volta a ventisei anni a causa di disturbi all’utero, avrebbe trovato il modo di parlare di politica e religione — ancorché in stato di alterazione — e di strabiliare i presenti (tutti maschi) parlando perfino dell’allora neonato concetto di purgatorio. Non meno esilarante è stata la vita di Rosalie Lefèvre, che sotto il nome di sibilla moderna sarebbe riuscita a sfuggire alla giustizia tanto spesso da cambiare marito, identità e domicilio un numero incalcolabile di volte; o quella di Carlotta Cerrino, che da umile cuoca sarebbe stata ricevuta da Carlo Alberto in persona poiché in grado di evocare lo spirito di Maria Clotilde di Borbone.

Sono queste e molte altre suggestioni a rendere il libro di Tomatis uno squisito trattato sull’incanto e sulla lotta, in cui la scrittura labirintica e misteriosa allestisce un palcoscenico a base di lanterne magiche, trucchi e rivelazioni secondo le affascinanti inclinazioni di chi scrive. Ma se è attraverso la lente dell’esoterismo e del mistero che vengono raccontate, queste storie mettono in luce l’epica materiale, concretissima, di donne consapevoli di vivere e pensare in un’epoca in bilico tra ordine e caos, tra razionalità e meraviglia, e fanno affiorare un urgentissimo tentativo di legittimare quel «movimento antiabolizionista e positivo nei confronti della veggenza [che] deve ancora nascere».

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