Curioso avviso d’un professore della così detta Magia bianca, e descrizione d’un giuoco meraviglioso

Il Mondo sociale è sempre stato lo stesso, perché gl’individui che lo compongono, furono, sono e saranno sempre i medesimi. Estendasi pure la sfera delle cognizioni, facciano progressi le scienze, si moltiplichino le invenzioni dell’arti; vi saranno sempre pochi privilegiati geni che ne approfitteranno a benefizio proprio e comune, molti che sapranno farne destro uso per imporre a meno intelligenti, e infiniti sempre apparecchiati per fare le mille meraviglie, e per essere lo zimbello della propria credulità, e dell’altrui o astuzia o perizia.

Uno sguardo alla storia, e ad ogni pagina si troveranno prove di tale asserzione. Egli è come della musica: le note sono sempre le stesse, ma sta nella bravura del compositore di sceglierne la combinazione per adattarsi al gusto degli uditori, e al genio della sua età. Noi decantiamo la musica de’ Greci antichi perché non la conosciamo, e ci ridiamo di quella de’ nostri maggiori, perché c’è nota; forse, ed anche senza forse, i nostri nipoti si rideranno della musica conosciuta ed ignota, per essere ugualmente da pronipoti derisi. Ma ridasi, o piangasi, si lodi, o si biasimi, le orecchie ascoltanti saranno sempre a un modo organizzate, e il risultato della musica sarà sempre lo stesso.

Nell’ultima metà dello scorso secolo videsi in una città non incolta il seguente avviso, che per la sua singolarità merita d’essere conosciuto, tanto più che ci venne conservato da uno de’ più celebri conoscitori di tal materia, il signor Decremps nella sua opera intitolata: la Magia bianca. Ecco l’avviso.

Il signor N. N. Dottore in Pirotecnia, professore di Chiromanzia, venuto in questa città per condiscendere alle premure di molti ragguardevoli personaggi, avvisa il Pubblico, che dopo avere visitate tutte le accademie d’Europa per perfezionarsi nelle scienze volgari, cioè l’algebra, la mineralogia, la trigonometria, l’idrodinamica, e l’astronomia, ha viaggiato i due emisferi per farsi iniziare da’ Maghi del Mogol, dalle streghe Samojede, e da’ Bonzi dei Giappone in tutte le scienze occulte, mistiche e transcendenti, quali sono la Cabalistica, l’Alchimia, la Necromanzia, l’Astrologia giudiziaria, l’Arte divinatoria, l’interpretazione de’ sogni, e il gran segreto di calmare l’oceano il più burrascoso, e di salvarsi da un naufragio, camminando sulla superficie delle acque con due zoccoli elastici di sua composizione. Egli possiede de’ talismani, e degli specchi di costellazione per conoscere i ladri e prevedere l’avvenire senza il soccorso della mandragora, o della preghiera detta delle salamandre, siccome pretende il piccolo e grande Alberto. A un suo comando s’arresta il lupo mannaro, desistono li spiriti folletti, parlano le ombre, possiede l’elixir di vita del gran Dalalaima, la polvere di Cagliostro, e l’oro potabile: conosce il segreto della maga Candidia per rendersi a piacere invisibile, ed entrare anche in una bottiglia per quanto ne sia stretto il collo. Il circolo quadrato, il moto perpetuo, e la pietra filosofale sono per lui giuochi fanciulleschi che abbandona a fisici dell’undecimo grado. Infine egli guarisce l’odontalgia radicalmente, e in un modo del tutto nuovo, tagliando cioè la testa; e per provare che non è pericolosa una tale operazione, e che può farsi secondo i precetti dell’arte, il professore decapiterà molti animali che un momento dopo farà risuscitare a norma del principi della Palingenesia. Inoltre egli guarisce da tutte le malattie curabili ed incurabili con metodo affatto nuovo e sconosciuto. Vende gli anelli, ne’ quali è incassato un occhio sinistro di donnola maschio, rimedio infallibile per isciorre il maleficio dell’impotenza.”

L’effetto corrispose da ambe le parti all’aspettativa, vale a dire immenso, come doveva essere, fu il concorso, e l’uomo d’arte fece danaro alla sua scarsella, e prodigi agli occhi dell’incantata moltitudine. Avendo un giorno raccontato la sua prodigiosa fuga dalle carceri di Calcutta, ne fece la prova dinanzi agli spettatori, la sciandosi porre in ceppi, attaccati a due grosse catene ch’erano assicurate a un grossissimo palo.

Si coprì indi d’un lungo mantello, e in meno di quattro minuti si fece vedere in piena libertà.

Un Signore che si vantava per uomo di spirito, disse che l’artista nulla aveva fatto di sorprendente, giacché l’anello de’ ceppi era configurato come quelli che abbiamo in uso per attaccare le catenelle a nostri oriuoli. Il professore finse da principio di mostrarsi confuso, arrossì con quella modestia propria del suo mestiere, balbettò da principio una specie di disertazione apologetica , frammischiata di voci prese ad imprestito, da tutte le lingue, e non lingue, e quando fu certo del fatto suo finì con ardita e maschia eloquenza la sua parlata coll’osservare, che per tutto vi sono di quegli spiriti inquieti che pretendono spiegare i più reconditi arcani, benché privi delle necessarie istruzioni. Punto l’avversario da si ardita apostrofe, propose che venissero esaminati i ceppi; ma quale fu la sua sorpresa, allorché dopo il più scrupoloso esame furono riconosciuti per essere tutti intieri e massicci, quali soglionsi adoprare pe’ delinquenti, e pe’ furiosi! L’artista venne applaudito, e il povero critico osservatore fu sonoramente fischiato. Ma questo piccolo tratto di prontezza è un nulla in confronto del seguente aneddoto che servirà a provare fin dove giunga l’arte aiutata dal meccanismo, e da’ segreti della fisica.

Eravi in Olanda un famoso dilettante di giuochi, a cui faceva particolar guerra l’incredulità d’uno de’ suoi amici. A lui si propose il giuocolatore di fare una burla che lo vendicasse della poca fede che aveva della sua abilità, ed insieme servisse per convincerlo del contrario.

Avendo un giorno ragunata presso di lui una distinta comitiva in un suo luogo di campagna, presentò una matita all’incredulo con un portafoglio sopra il quale eravi un pezzetto di carta, dicendogli: Signor Op-zom (che tale era il nome del critico) compiacetevi di scrivere qui sopra quella qualunque richiesta che volete, e in una di queste quattro lingue che conosco, cioè inglese, latina, olandese e francese; vi lascio l’arbitrio d’impiegare caratteri arabi, greci, etruschi, teutonici, e se volete, anche con geroglifici. Nascondetevi bene, e non lasciate vedere il vostro scritto a chicchessia, onde non abbiate poi a dire d’essere stato tradito: io m’impegno di sapervi dire appuntino ciò che avrete scritto. Op-zom si ritirò in disparte, e scrisse in francese queste parole:

Vous melez vuos toujours d’un peu de diablerie?

vale a dire, v’impacciate voi sempre d’un po’ di stregoneria? Ciò fatto, mise il pezzetto di carta in tasca, e restituì il portafoglio al giocolatore, invitandolo a compiere la promessa. (1) 

Se non facessi che questo, amico caro, disse il dilettante, io non farei che una cosa triviale; ma io mi sono proposto di farne una che si levi dalle comuni. Abbiate la bontà di bruciare quello che avete scritto. Così fece Op-zom, e il dilettante allora trasse da un cassettino un’altro [sic] pezzetto di carta piegata in quarto, e gli disse: questa è la risposta alla domanda da voi scritta e abbruciata; io l’aveva già preveduta e apparecchiata fino da che mi proposi di farvi questo giuoco. No no, proseguì egli, ritirando la carta che l’amico voleva prendere; non è ancora tempo di leggerla. Compiacetevi per ora di limitarvi a sapere da me, che la vostra domanda è composta d’otto parole, la prima delle quali è monosillaba. Ora fate qui fuori la vostra firma, o qualunque altro segno, onde la riconosciate. Eccovi tre chiavi: questa è del padiglione in fondo del parco, e quest’altra è dell’armadio che conoscete: là aprendo con questa più piccola la cassettina che v’è rinchiusa, troverete questa medesima carta che contiene la mia risposta. L’amico pose la sua firma con una cifra sopra il rovescio piegato della carta che lasciò al dilettante, prese le tre chiavi, e volle partire: un momento, disse questi; io vi lascio in libertà di mettermi quante sentinelle volete per assicurarvi che non mi moverò da questa camera, giacché io non ne ho di bisogno: a quest’ora la carta è già nella cassetta.

Per altro se vi piacesse d’averla altrove, e scritta con caratteri di vostro genio, comandate, ho al mio servizio de’ corrieri che si spicciano presto delle commissioni. Op-zom stette alquanto sopra pensiere [sic], e credendosi d’avere trovato il modo d’imbarazzare l’operatore, disse che voleva, che la risposta fosse scritta in caratteri alternativamente rossi e violetti, e che si trovasse dentro la cassetta. «E per l’appunto così è scritta», rispose il dilettante; io già sapeva, che tale sarebbe la vostra scelta, e ciò vi provi che so in anticipazione quello che dovete ancora pensare. Il nostro incredulo, facendo una risata, parte allora precipitosamente, corre in fondo del parco, apre il padiglione e l’armadio, indi la cassettina, nella quale non ritrova che una elegante pallottola: l’esamina, vede che a mezzo è a vite, l’apre, e con somma sua meraviglia vi ritrova la carta da lui testé segnata col suo nome; la dispiega, e in caratteri rossi e violetti vi legge questi due versi:

Pourquoi m’accusez vous d’un peu de diablerie;
Puisque vous ne croyez qu’à la blanche Magie?

Nello stesso momento odonsi tre gran colpi alla porta ch’erasi chiusa: egli corre ad aprirla e non trova nessuno. Persuaso che sia qualcheduno che voglia fargli paura, rapidamente fa il giro del padiglione, e non trova anima vivente. Rientra, e qual è il suo stupore, quando vede i muri, che prima erano bianchi di latte, cangiati in tanti diversi quadri rappresentanti belve feroci, draghi vomitanti fuoco, teste di medusa, e diavoletti a centinaja sotto le più strane e spaventevoli forme. Egli si disponeva già a ridere di questa metamorfosi, quando risuonano altri tre colpi più gagliardamente, e con istrepito si chiudono colla porta le due finestre. Rimasto avvolto nel più profondo bujo vede balenare una piccola luce, che quasi subito si dileguò, sente lo scoppio di due armi da fuoco, e gli si presenta l’idea che possano esservi nascosti degli assassini, quindi gli si comincia a turbare la mente, e a paventare della vita.

Diffondesi intorno a lui un odore sulfureo, e rimbombagli all’orecchio un frastuono il più spaventevole: ora sono ululati di lupi, ruggiti di lioni e abbajamenti di cani; ora sembragli sentire gatti che miagolano, tori che mugghiano, o serpi che sibilano. In mezzo a sì orrendo fracasso egli distingue umane strida gemebonde, che esprimono il dolore e la disperazione. In fine succede un cupo silenzio, che viene interrotto da una voce rimbombante a guisa di tuono che fa tremare le invetriate, pronunziando questi accenti:

Insensè, qui ne crois qu’à la blanche Magie;
Tremble: voici l’enfer avec sa diablerie.

Appena ciò detto, sente due o tre scosse di terremoto, accompagnato da un sotterraneo muggito; nel medesimo tempo in mezzo a orrendo tuono e a non interrotti lampi, vede comparirsi innanzi tre scheletri, che se gli aggirano intorno, facendo scrosciare le aride loro ossa, e scuotendo lugubri faci che addoppiano il terrore di quella scena. Già stava il povero incredulo per cadere in deliquio per lo spavento, allorché una voce esclama: rincorati, il prestigio è finito. A un tratto tutto sparisce, porta e finestre riapronsi, e rientra la luce del giorno a rianimarlo. Egli gira attonito lo sguardo, e tutte le cose rivede com’erano al momento del suo arrivo. Vorrebbe persuadersi che tutto fu illusione, ma nella destra ritrovasi la risposta fatta a una domanda da lui non comunicata a nessuno; la voce minaccevole gli rintuona ancora nell’orecchio, e teme di vedere a ricominciarsi l’orrido spettacolo. Ecco adunque l’incredulo, lo spirito forte divenuto a guisa di volgar donnicciuola che crede agli indovini, alle streghe, ed alle ombre. Ritorna alla comitiva, qui raddoppiasi la sua meraviglia, mentre gli si affollano tutti intorno, e senza dargli campo di parlare, l’accertano da prima, che né l’amico giocolatore, né alcuno di loro sonosi mossi dall’interno di quelle pareti; poi ad uno ad uno gli dicono i passi, i gesti, e quanto ha fatto nel padiglione, come se fossero stati testimoni oculari. Da questo momento allo sguardo d’Op zom è divenuto l’operatore un ente prodigioso, e finisce col credere a quanto di stravagante viene in capo a questo di dargli ad intendere. In fine dopo che il dilettante si fu ben divertito a di lui spese, gli disse: amico, troppo facilmente passate da un eccesso all’altro; convenite adunque, che un fatto che a molti si presenta come un prodigio, non è sovente che il puro effetto della ignoranza da una parte, e dell’astuzia ingannevole dall’altra; il meraviglioso sparisce tosto che si conoscono le cause che lo producono. Per distinguere un prodigio da quello che non è tale, fa d’uopo conoscere le leggi della natura, e i prestigi dell’arte. Per punirvi potrei lasciarvi nell’errore; ma io amo di sorprendere, e non d’ingannare.

Quanto avete veduto, quanto v’è sembrato magico effetto del malefizi e del sortilegi, non lo è stato che per la combinazione studiata di cento cause fisiche e meccaniche. Confessate, che l’uomo più accorto può rimanere gabbato dall’apparenza, quando questa giunge a illudere i sensi, e a sopraffare la ragione. Ogni età ha avuto i suoi ciurmatori, e i suoi creduli, e sembra che le venture non saranno dissimili dalle passate a dispetto della luce rischiaratrice della filosofia.

Dar si potrebbe la spiegazione di questo curiosissimo giuoco, se non si credesse di far torto alla giudiziosa penetrazione de’ leggitori. (2) 


Tratto da Il messaggere tirolese, nn. 40 (18.5.1819) e 42 (25.5.1819)(3) 

Note

1. Qui finisce la prima parte, pubblicata in Il messaggere tirolese, n. 40, 18.5.1819, pp. 3-4.
2. Qui finisce la seconda e ultima parte, pubblicata in Il messaggere tirolese, n. 42, 25.5.1819, pp. 3-4.
3. Trascrizione a cura di Roberto Revello e Riccardo Rampini.

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