Oracolo Nuovissimo ossia ilLibro dei destini dell’Imperatore Napoleone I°


Oracolo Nuovissimo ossia il
Libro dei destini dell’Imperatore Napoleone I°

Prologo del traduttore

La presente opera l’ho tradotta da un manoscritto tedesco che si trovò nell’equipaggio di campagna dell’imperatore dei Francesi nella sua ritirata di Leipzig, dopo la disfatta del suo esercito nell’anno 1813. Essendo caduto in mano d’un ufficiale prussiano che non conosceva il suo grande valore, lo vendette per alcuni napoleoni a un generale francese allora prigioniero guerra nella fortezza di Köninsburg. Cosciente questo della sua grande importanza, e vedendo lo stemma di Napoleone inciso in esso, tosto conobbe che era suppellettile dell’uso privato del suo imperatore, per lo che decise portarlo nelle Tuileries quando avesse fatto ritorno in Francia, però… ah! gli mancò la vita per adempiere il suo proponimento perché, quantunque i medici che lo assistevano gli avessero dato grandi speranze che si sarebbe ristabilito delle sue ferite, furono vani tutti i suoi sforzi per curarle e mori poco dopo per l’esito dell’amputazione che gli fecero al braccio destro.

Con il testamento che questo generale fece lì per lì, dispose che gli effetti del suo uso fossero mandati alla sua famiglia con incarico a un parente che approfittasse della prima occasione per consegnare in mani proprie dell’imperatore il manoscritto in questione, però le molteplici occupazioni di Napoleone rendevano ogni giorno più difficile l’accesso alla sua persona, e avvenne la sua caduta senza che si fosse potuto effettuare la consegna. Ai principii dell’ostracismo di Napoleone in Sant’Elena, si trovarono mezzi per far giungere il manoscritto in mano dell’imperatrice, la quale per disgrazia non poté riuscire a mandarla a suo marito quantunque ne cercò l’occasione col maggior impegno: per cui, dopo la morte di quel grand’uomo, la sua angusta sposa concesse al traduttore il permesso per pubblicarlo.

È giusto informare il lettore sulle mire di Napoleone nel far uso di quest’opera privatamente; però prima sarà più conveniente spiegare in che modo si appropriò di essa.

È noto che molti artisti e letterati francesi accompagnarono il generale Bonaparte nella sua spedizione d’Egitto, con l’intento di esplorare le antichità di quel celebre paese donde in altro tempo fiorirono le arti e le scienze in maggior perfezione che in nessuna altra parte del mondo, senza eccettuare le più illustri nazioni dell’Europa al presente.

A capo della commissione d’Arte stava M. Sonnini, i cui viaggi hanno tanto chiamato in seguito l’attenzione generale. Avendo questo signore potuto aprirsi un passo fino alla camera interna di una delle reali tombe del Monte Libico, presso Tebe, incontrò, in essa un sarcofago in cui si trovava una mummia di straordinaria bellezza ed in eccellente stato di conservazione; esaminandola minutamente, scoperse attaccato al petto sinistro con una qualità di gomma particolare, un rotolo di papiro lungo il quale, essendosi svolto eccitò molto la sua curiosità a causa dei geroglifici che in esso si vedevano meravigliosamente pitturati.

La descrizione che dà M. Sonnini di queste tombe di prodigiosa struttura, è la seguente:

«Tutto il Monte Libico, che comincia a mezza lega a ponente del Memnomio e finisce in faccia di Medinet-Abou, è traforato dalla sua base fino alle tre quarte parti della sua elevazione e pieno di grotte sepolcrali. Quelle che stanno più vicine alla superficie della terra sono le più spaziose come le meglio adornate; quelle situate nella parte più elevata del monte sono modellate e costrutte più goffamente, mentre quelle di mezzo hanno più proporzione in spazio ed ornamento. Quelle che appartengono alla gente povera sono le più interessanti, poiché sempre si riscontra in esse qualche rappresentazione delle arti che fiorirono o degli uffici che si esercitavano nell’epoca. Il piano seguito nella costruzione di queste grotte è in gran parte lo stesso in tutte. Una porta aperta ad oriente scopre una galleria lunga venti piedi, che talvolta è in linea retta e altre volte corre dall’entrata ad angolo retto: questa è sostenuta da pilastri o colonne, il cui numero varia da quattro a dodici. All’estremità della galleria vi sono pozzi che conducono alle catacombe ove sono depositate le mummie. La profondità di questi pozzi varia da quaranta a sessanta piedi e comunicano fra di loro con lunghi passaggi sotterranei aperti rozzamente nel vivo sasso, i quali terminano in una camera di trenta piedi quadrati sostenuti al di dietro da pilastri, e contengono molti resti di mummie. Nella galleria alta si vedono scolpiti in bassorilievo o pitturati a fresco infiniti simboli appartenenti alle cerimonie funebri. Lì si trovano i quadri più interessanti, e che rappresentano una quantità di costumi relativi agli antichi abitanti del paese. Lì si vedono rappresentate le loro occupazioni; che erano la caccia e la pesca; da essi si possono rilevare i progressi della civiltà nei mestieri di sellaio, carrettiere, pentolaio e contadino nonché gli obblighi e le punizioni della milizia. Ogni grotta ha il soffitto raso e pitturato, rappresentante varie fantasie, il cui disegno è lo stesso di quello che si usava in Francia trent’anni fa. Le tombe dei re stanno a circa seimila quattrocento passi dal fiume, costrutte in una valle stretta, nel centro del monte Libico. L’antico cammino per andarvi fu smarrito e ora si va in quel luogo per un passaggio artificiale. Questi sepolcri occupano una gran gola fiancheggiata dalla sorgente di un torrente. Sarà sufficiente spiegare il piano di una di queste tombe per conoscere la disposizione della maggior parte di esse. Ogni grotta comunica colla valle per mezzo d’una gran porta che dà adito ad una galleria a erta nel macigno che ha generalmente circa dodici piedi d’altezza e altrettanti di larghezza; di lunghezza ha circa venti passi fino alla seconda porta che conduce ad un’altra galleria della stessa larghezza e altezza e di circa ventiquattro passi di lunghezza. A destra e a sinistra di questa galleria vi sono camere di cinque piedi di larghezza e dieci di lunghezza. Li si vedono dipinti di armi, come asce, pugnali, scimitarre, spade, lance, clavi, archi, frecce, turcassi, corazze, scudi, vasi di tutti i generi e si vede rappresentato anche il modo per preparare gli alimenti.

Tosto segue la terza galleria delle stesse dimensioni delle anteriori la quale conduce ad un appartamento più alto degli altri diciotto metri quadrati. Da questa camera si entra in un altra galleria lunga trentaquattro passi, dopo la quale ve n’è un’altra di ventotto e all’estremità di essa v’è un corridoio di sessanta passi che va ad una camera di undici passi quadrati, la quale è unita ad un’altra della stessa grandezza da una galleria di sei passi. Tosto segue un salone quadrato di venti passi di lunghezza per altrettanti di larghezza sostenuto da otto pilastri. Qui si trova il sarcofago che conteneva la mummia del re. I romani fecero alcuni tentativi per togliere questo sarcofago dalla grotta dove è deposta e prima cercarono di appianare il suolo per facilitare il loro intento: però tosto desistettero giudicando l’impresa impraticabile.

Al salone del sarcofago segue un’altra camera di venticinque passi di larghezza e quaranta di lunghezza. L’altezza della tomba è di sette piedi, la sua lunghezza otto, e sei la larghezza, essendo la lunghezza totale della galleria di duecentoventicinque passi. Le tombe dei re sono coperte in tutta la loro estensione da pitture e geroglifici; però la maggior parte sono dipinte a fresco, e rappresentano gli assunti più stravaganti che si possono concepire. Da qui i romani presero l’idea dello stile grottesco che formò l’elemento principale delle loro composizioni nel secondo e terzo secolo dell’impero. Una delle più interessanti di queste grotte contiene un sarcofago che tuttora è intatto e al suo proprio posto: ha sedici piedi di lunghezza, dodici di altezza e sei larghezza e ancora conserva il coperchio adorno dell’effige del re, che è di un solo pezzo di granito. L’impressione che si prova pensando che fu trasportata questa massa enorme fino all’estremo di un corridoio sotterraneo di duecento passi di larghezza eccede ogni immaginazione, essendo da credersi che l’opera fu eseguita nel sito dove ora si trova. Quante difficoltà si saranno dovute superare per trasportare un peso di tante migliaia di quintali per cammini tanto impraticabili come sono quelli di quel monte! È qui dove incontrammo la famosa mummia e il rotolo di papiro. Comunemente si trovano rappresentati sacrifizi umani, come pure una gran varietà di curiose figure geroglifiche, una delle quali rappresenta Iside passeggiando sulla terra e facendo germogliare fiori sotto i suoi piedi.

Dal tempo di Strabonio si contavano diciasette tombe di re, e tutt’ora incontrammo il medesimo numero, se comprendiamo in esso una superba grotta, il cui piano è tanto grande e sontuoso come quello dei sepolcri dei sovrani di Tebe. Questa grotta sta a mezza lega al nord del Memnomio, formato in un scavo sotterraneo fatto alla falda di una montagna, il cui interno contiene molte altre tombe; alcune di queste hanno l’entrata chiusa quantunque le più siano state profanate. Pare che gli antichi egiziani, che perseverarono fedeli al loro culto, procurarono, per una specie di rispetto alla memoria dei loro principi, di tener occulti i loro sepolcri, tanto dai conquistatori come da quelli che professavano altra religione. Gli antichi egiziani, dal re al più umile dei sudditi, erano sommamente scrupolosi in quanto alla costruzione dei loro cimiteri, perché avevano la ferma credenza che dopo alcune migliaia d’anni l’anima ritornerebbe ad abitare il corpo, se in tutto quel tempo questo restasse intatto. Da qui venne il costume d’imbalsamare, e di fare i sepolcri in siti inaccessibili alle inondazioni del fiume. Nelle vicinanze del Memnomio, e fra le grotte di particolari, si trovano molte di esse tutt’ora piene di frammenti di mummie. Quando gli arabi che consideravano le grotte come proprietà d’ogni famiglia temevano qualche invasione di stranieri davan fuoco alle mummie che contenevano, per distrarre il curioso dalle sue investigazioni. Tuttavia si conservano intatte alcune di queste caverne che il perseverante viaggiatore non ha potuto scoprire. I sepolcri dei ricchi sono esausti. Nessuna delle mummie che vendono la gente del paese sono vestite colla tunica con cui era dipinta la figura della Morte e solo son rimasti alcuni resti di questa tunica. È in verità molto raro che eccetto che nel caso presente non abbia incontrato nessun viaggiatore i manoscritti di papiro che mai lasciavano di possedere le mummie di persone distinte. Questi manoscritti sono certamente i più antichi che si siano conservati e sembrano contenere orazioni pei defunti, come eziandio i libri misteriosi dei sacerdoti. Essi sono scritti in geroglifici o in caratteri e adorni di disegni che assomigliano ai dipinti di cui son piene le pareti dei sepolcri. Molte mummie hanno le unghie delle mani e dei piedi dorate. Alcune volte si trovano in una mummia due rotoli di papiro, che sogliono tenere sotto l’ascella quantunque si trovano anche collocati fra le cosce e intorno agli organi della generazione.»

M. Sonnini si dette tutta la premura a comunicare la scoperta del rotolo di papiro al generale Bonaparte, il quale contentissimo al vedere il tesoro geroglifico mandò a cercare un saggio Copto, il quale, dopo un’attenta lettura scoperse una chiave colla quale poté decifrare i caratteri. Dopo molti lavori e ansie concluse il suo compito e dettò il contenuto del rotolo al Segretario di Napoleone, che per tenerla cosa in segreto lo tradusse e scrisse in tedesco.

Avendo Bonaparte consultata la traduzione tedesca del rotolo rispetto ad alcuni avvenimenti della sua vita, si stupì vedendo che le risposte date corrispondevano esattamente con ciò che gli era successo. Per conseguenza rinchiuse i manoscritti, originale e tradotto, nella sua cassetta segreta, e a essi sempre si consigliava fino al fatale giorno di Leipzig, testé mentovato. Li custodiva come un sacro tesoro, e si dice che più d’una volta lo stimolarono a intraprendere grandi cose, sapendosi bene che li consultava in ogni occasione. Prima di entrare in campagna e nella vigilia di tutte le battaglie, Napoleone consultava il suo oracolo favorito. Il dolore che provò per aver perduto questo compagno delle sue ore private, fu eccessivo e si dice che a Leipsik si espose a essere fatto prigioniero per l’ansia e l’impegno che adoperò nel salvare il portafoglio in cui conservava questa gioia.

In una lista scritta da Napoleone di proprio pugno, in un foglio bianco del manoscritto tradotto, si vedono varie domande fatte all’oracolo colle corrispondenti risposte ricevute da quell’uomo illustre. Fra esse ho scoperto le seguenti, e le ho poste qui per la grande analogia, o meglio, per l’identità che esiste fra esse e alcune delle più importanti azioni della sua vita.

Domanda 15. Qual è la situazione del momento, e che cambiamenti politici si avranno probabilmente?
Risposta. (Geroglifico dei pesci). Un conquistatore di nobile pensiero e di grande potenza uscirà dallo stato umile; egli romperà le catene degli oppressi e darà libertà alle nazioni.

Domanda 12. Il mio nome sarà immortalato e applaudito dalla posterità?
Risposta. (Geroglifico del capricorno). Il tuo nome sarà trasmesso col ricordo delle tue azioni fino alla più remota posterità.

Domanda 8. Sarò io eminente e avrò la preferenza nelle mie imprese?
Risposta. (Geroglifico del capricorno). Troverai molti ostacoli; però alla fine giungerai al più alto potere ed onore della terra.

Domanda 12. Il mio nome sarà immortalato, e applaudito dalla posterità?
Risposta. (Geroglifico della Casa Fortificata). Non abusare del potere che ti da Iddio e il tuo nome sarà acclamato con giubilo nei secoli, futuri.

Domanda 30. Ho io alcuno o molti nemici?
Risposta. (Geroglifico del pugnale). Tu hai nemici, che non frenati delle leggi, ti pianteranno un pugnale in cuore.

Domanda 15. Qual è la situazione del momento, e che cambiamenti politici si avranno probabilmente?
Risposta. (Geroglifico della Casa Forticata). Le ali dell’aquila del Nord saranno tagliate e accorciate le sue unghie.

Per il mio proposito basteranno le suddette citazioni, tanto più che le altre consulte annotate nel foglio suddetto si riferiscono a argomenti di poca entità o a cose di famiglia. In quanto all’essere molto appropriate ed alludenti all’imperatore Napoleone, le risposte suddette (eccetto l’ultima di cui ora parlerò) non v’ha nessun dubbio: questo è troppo ovvio per ammettere discussione e mi si informò, da persona degna di fede, che nel tempo in cui aveva già poste le sue mire al trono, consultò il libro e divenne pazzo di gioia e di stupore nel leggere le parole contenute nella risposta ottava che dice: Troverai molti ostacoli però alla fine giungerai al più alto potere ed onore della terra.

Nella seconda risposta alla domanda 15, l’ultima da noi citata, il lettore saprà che è allusiva all’autocrate delle Russie; però non è tanto facile indovinare se queste parole si riferiscono a ciò che avvenne prima del trattato di Tilsit, o se si riferiscono ad altri rovesci posteriori o futuri che ha sofferto o può soffrire l’ingrandimento della Russia. In ogni modo bisogna riconoscere che l’invasione del territorio russo da parte di Napoleone prova che i suoi sentimenti andavano d’accordo colla suggestione dell’oracolo.

Sarebbe stato utile per Napoleone che si fosse sempre lasciato dirigere dalle risposte date a molte altre domande che soleva fare all’oracolo e che senza dubbio lo avvertivano del pericolo e anche gli avrebbero preveduta la sua caduta; però era tanto avvezzo a veder le cose dal lato più favorevole, essendo asceso si in alto in forza di quanto intraprendeva che tali avvertenze non esercitavano in un’immaginazione come la sua quel freno salutare che qualcuna delle sue speculazioni richiedevano.

Come esempio delle conseguenze lamentevoli che gli procurò questa mancanza di confidenza nei consigli dell’oracolo contenuti in quest’opera possono citarsi la stessa battaglia di Leipzig e i fatali effetti della campagna di Russia, come lo furono l’incendio di Mosca, la distruzione del suo esercito bizzarro, l’abdicazione dello scettro che tante volte aveva vibrato sopra le teste di quei medesimi monarchi che glielo strapparono dalle mani.

Ritornando al manoscritto originale di papiro, è da sapersi che non se ne sa la fine; però si suppone che, essendo una cosa tanto delicata non solo per la sua natura, ma anche per le migliaia d’anni d’antichità che contava, dovette essere distrutto nel saccheggio generale. Senza dubbio se esistesse ancora per caso, si supplica caldamente chi lo tenga di farlo sapere al segretario di S.A.I. chiedendo quanto vuole per esso; o se crede meglio può depositarlo nel Museo imperiale di Vienna dove gli daranno una ricevuta in debita forma, consegnando ai direttori di quello stabilimento una lettera chiusa diretta al segretario di S.A.I. in cui sta fissata la somma di denaro che il possessore domanda in via di rimunerazione.

Resta ora al traduttore dire alcunché sulla natura e qualità delle risposte contenute nell’Oracolo, o Libro dei Destini. In primo luogo, in quanto alla loro natura parrà che alcune delle risposte tengano una relazione tanto diretta colle abitudini e costumi del presente secolo che quasi si inclina a negar loro il diritto d’antichità che senza alcun dubbio possiedono le altre; però svanirà tosto quest’idea, se si tiene presente che il mondo è sempre stato mondo, e che gli uomini, con piccole differenze accidentali, sono gli stessi in tutti i paesi e in tutte le età, cogli stessi vizi, le stesse Virtù, gli stessi desideri e le stesse propensioni. Essendo oramai cosa ben nota che gli antichi egiziani coltivarono le arti e le scienze fino ad uno stato di meravigliosa perfezione e siccome dovettero passare per i diversi gradi della civiltà dell’attuale generazione, è certo che vi sia molta analogia fra la situazione di essi e la nostra.

In secondo luogo, e rispetto alla qualità delle risposte, è da avvertire che ve ne sono di cinque generi: positive, imperative, presuntive, monitorie, e condizionali. Porterò qui cinque esempi uno di ogni genere che ho scelto fra diciassette risposte date a varie persone che hanno consultato l’oracolo da quando è in mio potere.

Comincerò con una positiva. Un signore fece la domanda (vedasi il n. 17 della tavola) che dice: Mi sarà fedele la mia amante nella mia assenza? E la risposta fu (geroglifico dell’aratro) «L’affetto della persona che ami non sarà posto che in te.»

Esempio di una risposta imperativa. La domanda fu questa (N. 6 della tavola). Sarò fortunato o disgraziato nel giuoco? Risposta (geroglifico della ossa incrociate). «Guardati dal giocare di qui innanzi denaro, né cosa che lo valga.» Il caso della risposta presuntiva è questo. La domanda fu la seguente: (N. 28 della tavola) Troverò io talvolta un tesoro? La risposta fu tale che al consultatore non lasciò alcun dubbio che avrebbe trovato un tesoro; però nello stesso tempo era accompagnato da tanti buoni consigli per l’applicazione della ricchezza, quali erano necessari per un uomo del suo caso e carattere. Eccola (Geroglifico del corno dell’abbondanza). «Quando trovi un tesoro, insegna alla tua lingua a tacere; e guarda di fare buon uso delle tue ricchezze.»

Come esempio di risposta monitoria, posso citare una signora che consulto l’oracolo con queste parole (Domanda 24 della tavola): Informami di tutti i particolari del mio futuro marito. La risposta fu (Geroglifico dell’arco e freccia). «Considera bene se devi al presente cambiare il tuo stato.»

Finalmente porrò per esempio di risposta condizionale la presente. Una madre di famiglia domandò (N. 19 della tavola): Saranno miei figli virtuosi e felici dopo la mia morte? La risposta fu (Geroglifico della donzella o simbolo della Vergine):« Nell’educazione de’ tuoi figli, ti sia guida stretta la disciplina, però non crudele; non lasciare le occasioni per illuminare la loro mente, ed essi ti benediranno nel colmo della loro ventura».

Altra qualità si avverte in alcuna delle risposte ed è la stretta somiglianza che pare esistere fra esse e i più favoriti assiomi morali che usarono le illustri nazioni dell’antichità; però sembrerà, ciò strano a qualcuno, sapendo che l’Egitto fu per molto tempo la residenza degli ebrei, e che fu percorso tutto dai greci e dai romani che in seguito vi formarono popolazioni? Può anche dubitarsi che gli ebrei, non solo conservarono le arti che videro coltivare nel paese, ma che i loro sacerdoti si fecero delle copie cavate da libri che si usavano nei templi. È anche noto che i greci e i romani fecero lo stesso, giacché Erodoto e altri storici assicurano che tutti gli oracoli, stabiliti dopo negli Stati della Grecia e in altre parti dovettero la loro origine ai libri trovati nei templi egiziani che furono saccheggiati più di tremila anni prima.

In questa presunzione non si deve punto dubitare che quei libri non erano più che mere copie dell’opera originale, che ora appare alla luce pubblica: per conseguenza è naturale la deduzione che gli assiomi morali di cui ho parlato qui sopra, furono presi da questi libri, e che essendo tanto ammirati dai letterati di quei tempi, furono trasportati nelle loro opere e pubblicati come originali.

Questa spiegazione in quanto a questa apparente identità, avrà soddisfatto il lettore; però per illustrare la materia il più possibile, ho creduto che non sarà superfluo dare una ragione circostanziata, autentica e molto interessante degli oracoli che fecero più rumore e sono più famosi nelle storie dell’Egitto e della Grecia.

Il traduttore, nell’accomiatarsi dal pubblico italiano, solamente ha da aggiungere che L’Oracolo o Libro dei destini è opera adattata a ogni persona di qualunque sesso, stato, età o condizione in cui si trovi, nella quale tutti troveranno massime molto utili: tutto sta che sappiano approfittarsi di esse.

Il traduttore Osrevar Toigar
Milano 1° maggio 1895

Per approfondire

Leggi qui i retroscena storici di questa pagina.

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