Rol, lo sciamano subalpino - Mariano Tomatis, 2009

Mariano Tomatis, 2009

Rol, lo sciamano subalpino

Tra i grandi maghi del Novecento, Gustavo Rol (1903-1994) è probabilmente il meno studiato nell’ambito della letteratura magica. Se si escludono le pagine da me pubblicate (1) , soltanto lo studioso di storia della prestigiazione Vanni Bossi ha dedicato agli aspetti illusionistici del mago torinese un capitolo di un suo libro, ormai introvabile. (2)  Questa strana carenza può avere una spiegazione interessante, intimamente legata al tipo di personaggio al centro di questa discussione.

Gustavo Rol è diventato una leggenda grazie alle capacità che per un’intera vita dimostrò di avere: poteva leggere all’interno dei libri chiusi, materializzare oggetti dal nulla, prevedere il futuro, realizzare prodigi con le carte, dipingere quadri a distanza, diagnosticare malattie e produrre innumerevoli fenomeni straordinari. Superano ampiamente la decina le monografie a lui dedicate, pubblicate nella quasi totalità dei casi da autori estranei al mondo della magia mentale; tale documentazione, unita a una gran quantità di articoli pubblicati su quotidiani e riviste specializzate di parapsicologia, costituisce un archivio prezioso attraverso il quale condurre uno studio meticoloso dello stile e delle tecniche del mago di Torino.

La stragrande maggioranza delle testimonianze è di carattere esplicitamente agiografico, provenendo da persone che non si pongono l’obiettivo di distinguere tra i fenomeni eventualmente autentici da quelli realizzati grazie a tecniche illusionistiche, accettando a priori l’autenticità di quanto Rol realizzava. Può essere sorprendente, per lo studioso seriamente interessato ad approfondire la zona di confine su cui si collocava l’artista torinese, scoprire che l’analisi dei ricordi di chi lo vide in azione è in grado di rivelare - a volte nei dettagli - il modus operandi seguito per ottenere alcuni degli effetti prodigiosi raccontati.

Alcuni lettori mi hanno chiesto in passato se fossi davvero convinto che tutti i fenomeni di Gustavo Rol fossero frutto di trucchi da prestigiatore. La mia risposta, convinta, è sempre stata negativa: no, i trucchi non sarebbero stati sufficienti a creare un personaggio come il suo.

Nel suo Strong Magic Darwin Ortiz racconta una storia accaduta al suo amico Bob Elliott, che si trovava in un bar mentre in televisione veniva trasmesso The Tonight Show. L’ospite della serata, Uri Geller, stava piegando con la forza del pensiero alcune chiavi, e gli spettatori erano molto impressionati. Elliott aveva sussurrato: «Anch’io so farlo», e si era subito esibito nella stessa performance. Gli avventori del bar, però, erano rimasti impassibili: «Tu le hai piegate mentre eravamo distratti», commentarono. Conclude Ortiz: «Non importa se anche Bob avesse utilizzato i poteri della mente invece del trucco sfruttato da Geller. I clienti del bar non potevano credere che un tizio qualsiasi in un bar potesse fare quello che stava dimostrando alla televisione un sensitivo noto in tutto il mondo e studiato dagli scienziati. Il carisma era tutto dalla parte di Geller, non certo da quella di Bob». (3) 

Lo scrittore tocca qui un aspetto fondamentale di Gustavo Rol: il carisma personale; si tratta di un ingrediente della sua figura non quantificabile in modo rigoroso né riproducibile in laboratorio, ma il cui ruolo nella realizzazione di prodigi è straordinario.

Un amico prestigiatore ebbe una volta l’occasione di assistere a una serata di esperimenti con le carte da gioco in casa Rol. Una ragazza era stata invitata a prendere una carta: si trattava del due di fiori. Dopo alcuni gesti nell’aria, il mago si era avvicinato alla ragazza dicendole con una certa autorità: «Vedi? La carta si è trasformata nel cinque di cuori! Non è così?». Il mio amico si era piegato un po’ per sbirciare la carta, che però continuava a mostrare il due di fiori. La ragazza, forse intimorita dall’assertività di Rol, forse indotta a vedere davvero con gli occhi della mente una carta diversa da quella che aveva in mano, confermò timidamente che si trattava del cinque. La carta venne quindi rimessa nel mazzo senza che nessuno potesse confermare l’avvenuta trasformazione, ma alla fine della serata, tutti si chiedevano come avesse fatto Rol a mutare un due di fiori in un cinque di cuori.

Sarei imbarazzato a definire “trucco” il procedimento attraverso il quale l’artista torinese era stato in grado di offrire un’esperienza memorabile senza fare materialmente alcunché: il tono autoritario e il carisma conquistato nel corso di lunghi anni erano stati sufficienti a realizzare quella che oggi è ricordata come la trasformazione di una carta in un’altra. La protagonista dell’esperimento citato ha sperimentato su di sé il fatto che “vediamo con la mente tanto quanto con gli occhi”. (4)  Tony Shiels riassumeva bene l’idea quando scriveva che “tutta la magia è una questione mentale”. (5) 

Si tratta di un aspetto spesso sottovalutato da chi affronta in modo critico la figura di Rol, anche perché non si presta alla riproducibilità tipica dei trucchi di natura fisica. Una volta che si mette a fuoco questo aspetto, qualunque mago moderno abbia la tentazione di presentare un effetto di magia mentale “esattamente come lo faceva Gustavo Rol” è costretto a desistere, riportando alla mente l’episodio di Bob Elliott al bar.

Il carisma di Rol è sottolineato, tra l’altro, da una caratteristica fisica che gli agiografi non mancano mai di citare: gli “occhi dallo sguardo magnetico”. Ironicamente è lo stesso tratto che Luciano di Samosata riconosceva in Alessandro, il falso profeta di Abonotico! (6) 

Nella sua introduzione a ROL: Realtà O Leggenda?, Massimo Centini definiva Rol uno “sciamano subalpino”, pensando al quale torna alla mente la figura di un “antenato in contatto con il soprannaturale, esponente, forse ultimo, di un tempo lontano in cui gli uomini potevano confondersi con gli dèi” (7) . Questa chiave interpretativa è particolarmente azzeccata, come dimostra un’analisi attenta della vita di Gustavo Rol.

I contatti con il soprannaturale erano un elemento fondamentale delle “possibilità” del mago torinese: l’immagine metaforica che offriva ai suoi ospiti era quella della “grondaia che convoglia l’acqua che piove dal cielo”, affermando quindi la propria natura di “tramite” tra il mondo terreno e quello ultraterreno, caratteristica tipica dello sciamanesimo.

Secondo molte culture sciamaniche, inoltre, non si può diventare sciamani per scelta ma è necessario ricevere una sorta di “chiamata” da parte degli spiriti; tale chiamata è spesso un evento traumatico, che può minare la stabilità psicofisica di chi ne è oggetto. La chiamata di Rol avvenne il 28 luglio 1927, e fu un episodio destinato a sconvolgerlo; scrisse infatti su un diario: “Ho scoperto una tremenda legge che lega il colore verde, la quinta musicale ed il calore. La potenza mi fa paura. Non scriverò più nulla!”. Secondo gli agiografi, sarebbe seguito un periodo di crisi profonda durante il quale si rifugiò in un convento. L’isolamento dello sciamano dalla tribù si conclude con un ritorno tra i compagni in una condizione “illuminata”; da questo momento in avanti la storia si intreccia inestricabilmente alla leggenda, e l’epopea di Rol si allinea inesorabilmente ai resoconti dei più grandi maghi del passato: dà prova di saper leggere all’interno dei libri chiusi, come Siosiri; pronuncia oracoli ed effettua diagnosi mediche, come Alessandro; diventa famoso per gli esperimenti con le carte da gioco, sulla scia degli esperimenti descritti da Reginald Scot; diventa un fine lettore del pensiero, sfruttando chissà quale “codice di Mercurio”. La sua natura sciamanica viene prepotentemente alla luce durante le estasi, quando parla a nome di “spiriti intelligenti” e, grazie alle rivelazioni ottenute, si mette a disposizione dell’umanità con amore e comprensione.

Tra le caratteristiche più spesso citate, spicca il suo rispetto dell’anargirismo, ovvero del divieto per lo sciamano di ricevere compensi in denaro, pena la perdita del potere sciamanico.

Proprio come gli antichi sciamani, Rol non si limitava a dar prova delle proprie “possibilità” con degli esperimenti fisici, ma utilizzava la narrativa per plasmare il mondo spirituale dei suoi ospiti, giungendo a definire una vera e propria “dottrina”. (8)  L’attenzione al lato simbolico, presente in altri maghi del XX secolo, costituisce uno degli aspetti più potenti della magia, che - a dispetto dei metodi fisici utilizzati - può avere effetti reali e tangibili sulle personalità di chi vi è coinvolto e sul mondo circostante. Lo fa notare la psicologa Umberta Telfener nella sua introduzione ad un libro di Michael White, dove scrive che “i sistemi di credenze, per lungo tempo considerati come la rappresentazione di eventi reali, sono ora pensati come storie che gli esseri umani si narrano per organizzare e interpretare la loro esperienza”. (9) 

Quando il mago realizza qualcosa di impossibile, si preoccupa di collocarlo in un contesto narrativo ad hoc, una “ambientazione” in cui le leggi che regolano il mondo reale non funzionano più: un contesto magico, all’interno del quale lo spettatore possa piacevolmente sorprendersi e scoprire inedite connessioni tra le cose che compongono il suo mondo. Perché “mostrare un prodigio” è solo il primo passo; il secondo è quello di farne un’esperienza totalizzante e significativa per chi osserva. Come già gli antichi sciamani avevano capito, la narrativa ha il potere di farlo; scrive infatti la Telfener che “la nostra vita è regolata da attribuzioni di significato, da interpretazioni che costituiscono il vocabolario, la sintassi, le griglie che determinano le nostre realtà. La narrazione organizza la struttura dell’esperienza umana”. (10) 

I seduttivi scenari che Gustavo Rol proponeva a supporto dei suoi esperimenti erano attentamente studiati. In margine all’apparizione dal nulla di un oggetto, il mago torinese spiegava, ad esempio: “La mela che Sempronio mangiava il 16 luglio 1329, esiste tuttora, non meno di quando era attaccata ai rami dell’albero e prima ancora che l’albero esistesse né col 16 luglio 1329 la sua funzione venne a cessare, poiché nel tutto che si accumula, ogni cosa rimane operante, Dio e i suoi pensieri essendo la medesima cosa e non potendo un aspetto separato di questa cosa modificare la natura della cosa stessa. Dio è eterno e inconsumabile, onnipotente e multiforme e noi, parte di Dio, siamo la stessa cosa che Dio”. (11)  All’interno di questo contesto narrativo, assistere ad una apparizione equivaleva a partecipare della stessa natura di Dio, così come negli scenari mitologici plasmati dagli sciamani la trance assumeva i tratti di una vera e propria comunicazione con gli spiriti attraverso l’individuo più carismatico del gruppo.

Quando Umberta Telfener scrive che “la verità narrativa si confonde con la verità storica ed è la coerenza di un racconto a farcelo confondere con la realtà vissuta” (12) , rivela uno degli elementi più potenti e meno riproducibili delle “possibilità” di Rol: quello di agire sulla percezione di chi lo vedeva in azione, arrivando addirittura a plasmare il mondo interno dei suoi spettatori. Poiché, secondo la psicologa, perfino la patologia mentale non è che una particolare struttura narrativa su cui è possibile intervenire attraverso una terapia, destano molto meno sorpresa le testimonianze di guarigioni psichiche effettuate dagli sciamani, attribuite in qualche modo anche a Gustavo Rol.

Le corde che fu in grado di toccare il mago torinese furono talmente profonde da produrre due effetti di grande interesse. Il primo è la nascita spontanea di un movimento agiografico, che con il passare degli anni sta provvedendo ad una riscrittura riveduta e corretta della biografia di Gustavo Rol; dalle sue pagine stanno scomparendo gli episodi più evidentemente marcati dal sospetto di possibili trucchi, mentre si arricchiscono di sempre maggiori particolari altri racconti che costituirebbero la prova definitiva della natura sovrannaturale del mago e ne compaiono di nuovi, sempre più straordinari e meno documentati.

Tale arricchimento progressivo, già ampiamente dimostrato (13) , non si può interpretare correttamente se non si tiene conto del coinvolgimento emotivo. Il giocatore di poker Mike Caro lo spiegava in modo molto semplice: “Chi perde esagera sempre [nel riferire la cifra persa]. Succede perché non gli interessa comunicare ciò che è realmente accaduto, quanto piuttosto quanto male si sia sentito”. (14)  Lo stesso accade agli spettatori di uno show magico. Secondo Darwin Ortiz, “è per questo che il pubblico esagera spesso quando si trova a descrivere a qualcun altro un effetto magico. Non sta infatti cercando di descrivere ciò che è accaduto. Sta cercando di trasmettere l’emozione provata quando ha visto la magia coi propri occhi”. (15) 

Il secondo, notevole effetto del fenomeno Rol - praticamente unico nell’ambito dell’illusionismo - è l’emergere di un clima di diffidenza nei confronti di qualsiasi approccio razionalista all’argomento. Diversi prestigiatori hanno affermato di non essere in grado di spiegare alcuni fenomeni prodotti da Gustavo Rol (16) , aderendo con orgoglio al partito dei “possibilisti” nei riguardi del paranormale. Più in generale, la posizione “scettica” ha trovato un’aperta opposizione da parte di numerosi prestigiatori, secondo i quali l’illusionismo moderno avrebbe “bisogno” di Rol e di un contesto culturale aperto alle suggestioni del paranormale, e quindi qualsiasi indagine storica e antropologica che dovesse metterne in luce delle caratteristiche più “terrene” andrebbe a discapito dell’arte magica. (17)  Lo stesso giornalista Maurizio Ternavasio raccontava pubblicamente di aver abbandonato le indagini su Gustavo Rol dopo la pubblicazione di due libri perché gli erano capitati dei fatti che lo avevano particolarmente turbato, e dunque preferiva non proseguire gli studi sul mago torinese.

Queste posizioni esprimono un certo disagio ben noto agli antropologi; scrive Victor Turner: “Alle situazioni e ai ruoli di confine vengono quasi sempre attribuiti caratteri magici e religiosi, […] spesso considerati pericolosi, infausti o impuri”. (18)  George Hansen richiama il concetto di tabù che tipicamente circonda le questioni sacre: “Quella tra Dio e Uomo è l’opposizione principale […] e la ’Mediazione’ si raggiunge introducendo una terza categoria che è ’anormale’ o ’anomala’ dal punto di vista delle normali categorie ’razionali’. I miti sono in effetti pieni di mostri fantastici, dei incarnati e madri vergini. Questo livello intermedio è anormale, innaturale, sacro. Ed è tipicamente oggetto di tutti i tabù”. (19) 

Il ruolo di “grondaia” che si attribuiva Gustavo Rol appartiene esplicitamente a quella terza categoria da cui tenersi lontani, ed oggi un’analisi ad una distanza troppo ravvicinata del suo mito è considerata blasfema tanto dai suoi agiografi (“Rol non apprezzerebbe tutte queste attenzioni sui suoi fenomeni”) quanto da molti prestigiatori.

L’esperienza di Ternavasio ricorda quella di Barre Toelken, un antropologo americano che studiò per quarant’anni la tribù dei Navajo; in un’occasione Toelken raccontò di aver chiesto ad uno sciamano alcuni chiarimenti su uno dei miti della tribù, e gli venne detto che la risposta alla domanda che poneva sarebbe potuta costare cara: era disposto a rischiare di perdere uno dei membri della sua famiglia in cambio della rivelazione? Tale risposta comprendeva, infatti, le parole di un incantesimo in grado - secondo i Navajo - di guarire dalle malattie ma anche di uccidere. Seppur scettico, Toelken si accorse che il rischio di perdere un familiare c’era davvero: se, infatti, qualche membro della tribù avesse saputo che lui era stato messo a conoscenza dell’incantesimo, avrebbe potuto sentirsi giustificato a uccidere uno dei suoi cari. Ciò che lo scosse ancora di più fu il fatto che il gesto di porre tale domanda aveva generato un clima di sospetto da parte dei membri della tribù, e c’era la possibilità di venir considerato uno stregone da punire in qualche modo. A questo si aggiunsero una serie di contrattempi, tra cui la morte accidentale di un suo familiare, apparentemente slegati dalle vicende dei Navajo. Toelken ammise che la sua razionalità era stata messa a dura prova da quanto gli era accaduto, pur tentando di mantenere un assoluto scetticismo di fronte alle affermazioni dello sciamano. (20) 

Oggi, di fronte al grande pubblico, la figura di Rol può essere soltanto venerata. Chi gli è grato per le emozioni vissute, fa quadrato intorno alla sua immagine; molti prestigiatori ammettono candidamente di aver bisogno del suo mito; altri, senza invece ammetterlo, ne hanno un certo timore per le sue intrinseche caratteristiche di liminalità.

Studiare le sue tecniche magiche e il suo stile è quindi diventata un’attività eversiva, da coltivare soltanto su testi come questo, che sul confine sfumato tra magia e inganno hanno tracciato un sentiero privilegiato, senza intenti iconoclastici né imbarazzanti derive agiografiche, ma sinceramente ammirati per le “possibilità” che Rol seppe dimostrare per un’intera vita.

  Fonte Mariano Tomatis, La magia della mente, SugarCo, Milano 2009.

Note

1. Mariano Tomatis, ROL: Realtà O Leggenda?, Avverbi, Roma 2003 e Mariano Tomatis, ROL Revelations On Legerdemain (2 voll.), stampati in proprio, Torino 2004.
2. Vanni Bossi, Parapsicologia, un po’ di verità e tante truffe, Edizioni Landoni, Legnano 1979, pp. 83-90.
3. Darwin Ortiz, Strong Magic, Kaufman & Co., USA 1994, p.86.
4. S.H.Sharpe cit. in Ortiz, op.cit., p. 85.
5. Cit. in Ortiz, op.cit., p. 12.
6. L’Alessandro, § 3.
7. Introduzione di Massimo Centini a Mariano Tomatis, ROL: Realtà O Leggenda?, Avverbi, Roma 2003.
8. Un tentativo di analizzare la dottrina di Rol nei suoi aspetti principali è quello di Massimo Introvigne, “Gustavo Adolfo Rol e la Chiesa Cattolica” in Una voce grida…!, n.17, marzo 2001.
9. Introduzione di Umberta Telfener in Michael White, La terapia come narrazione, Astrolabio, 1992, p. 15.
10. Telfener in White, op.cit., p. 16.
11. Gustavo Adolfo Rol, Io sono la grondaia, Giunti, Firenze 2000, p. 145.
12. Telfener in White, op.cit., p. 17.
13. Ad esempio in Mariano Tomatis, ROL: Realtà O Leggenda?, Avverbi, Roma 2003 (in particolare al capitolo “Evoluzione delle testimonianze” alle pp. 84-88).
14. Mike Caro cit. in Ortiz, op.cit., p. 26.
15. Ortiz, op.cit., p. 26.
16. Il più noto è Tony Binarelli, ma si possono citare anche Carlo Buffa di Perrero e Giuseppe Vercelli. Alexander ha usato un tono più ambiguo, sottolineando che “se” i fenomeni sono avvenuti come vengono raccontati, non c’è modo per un prestigiatore di riprodurli. Un “se” molto ben collocato…
17. Una critica di questo tipo appare, ad esempio, su Tony Binarelli, “Prestigiazione e paranormale” in Scienza & Paranormale 52, novembre/dicembre 2003.
18. Victor W. Turner, The Ritual Process: Structure and Anti-Structure, Aldine Publishing Company, Chicago 1969, pp. 108-109.
19. Hansen, op.cit., p. 65. L’individuazione di una correlazione tra tabù e liminalità è più antica, e si ritrova ad esempio in Turner, op.cit. e in Evan M. Zuesse, “Taboo and the Divine Order” in Journal of the American Academy of Religion, vol. 42, n.3, settembre 1974, pp. 497 e segg.
20. La vicenda di Toelken è raccontata in Hansen, op.cit., pp. 67-69.

Tutto il materiale di questo sito è distribuito con Licenza Creative Commons BY-NC-SA 4.0