“Paperino e le forze occulte” (Albi della Rosa, n. 172, 23 febbraio 1958) racconta una notte di Halloween alla fine degli anni Cinquanta.

Qui, Quo e Qua girano mascherati per fare “dolcetto o scherzetto”, ma Paperino li accoglie con distacco e sarcasmo.

Ogni tentativo di spaventarlo fallisce: da scettico impenitente, smaschera i trucchi e ridicolizza ogni scherzo.

Se la magia finta non funziona, tanto vale provare con quella vera.

I tre si rivolgono alla strega Nocciola, che lancia un incantesimo “potente come l’atomica” (13 anni dopo Hiroshima) ma nemmeno quell’attacco magico scuote Paperino, che incassa tutto con la spavalderia di chi si crede intoccabile.

Il racconto mette in scena un’alleanza insolita ma ricorrente: quella tra l’illusione magica e i poteri reali. È un gioco di ambiguità che attraversa i secoli. Alla fine dell’Ottocento, lo scrittore Roberto Bracco osservava che i fenomeni spiritici di Eusapia Palladino non si spiegavano solo con i suoi trucchi: talvolta erano “credenti accaniti”, convinti della realtà del paranormale, a intervenire di nascosto per aiutarla. Poiché i controlli sorvegliavano solo la medium, gli effetti apparivano inspiegabili. Era una magia sostenuta dalla complicità: chi credeva nell’occulto arrivava a imitarne i prodigi, pur di mantenerne intatto l’incanto.
Nel racconto Disney, neppure quella alleanza avrà la meglio: ci vuole uno schianto. Catapultato contro la credenza, Paperino la sfascia e dai suoi ripiani piovono caramelle.

In segreto, l’”avaraccio infame” nascondeva una scorta enorme di dolciumi. Colto in flagrante, è costretto a cedere.

La lezione è chiara. Nessun incanto può scardinare l’egoismo cinico di chi vive nel privilegio. Contro chi accumula e non condivide serve una botta secca.

Come si parlava di magia negli anni Sessanta? Per scoprirlo, ho sfogliato otto Albi della Rosa e li ho raccontati in altrettanti post su questo blog. Questo è il quinto di otto.
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