“Topolino e la valigia magica” (Albi della Rosa, n. 296, 10 luglio 1960) porta la magia in una cornice sorprendentemente moderna, nella scia delle “Amazing Stories” di Hugo Gernsback, che con la “scientifiction” rivestiva l’occulto e il fantastico di un linguaggio tecnico-scientifico capace di parlare a lettrici e lettori razionali senza sacrificare il piacere del meraviglioso.

La valigia del professor Quantum funziona come un talismano di protezione: quando Topolino e Pippo perdono il controllo dell’auto, arresta il veicolo all’istante, permettendo all’uomo di salvarsi per miracolo.

Sembra magia, ma Quantum è uno scienziato e spiega di aver nascosto al suo interno una “calamita rovesciata” che, invece di attirare i metalli, li respinge.

Il resto della storia è il tentativo (fallito) di Gambadilegno di impadronirsene.

La spiegazione pseudoscientifica occupa appena tre vignette ma è ingegnosa: poiché conosciamo il fenomeno delle calamite che si respingono, sembra plausibile che un “rovesciamento” possa estendere l’effetto ai metalli.

In realtà, i magneti rovesciati non esistono e, sebbene metalli diamagnetici come l’oro e il piombo siano già respinti dalle normali calamite, la forza è impercettibile: nulla a che vedere con la potenza miracolosa della valigia di Quantum.
La calamita conserva anche un richiamo magico più ancestrale: nel Cinquecento era il motore invisibile delle “magie naturali” di Gianbattista Della Porta, mentre nel Settecento, con Mesmer, diventerà la chiave per trasferire nell’ambito della scienza i poteri delle antiche arti occulte. Curioso che, per non svelare nulla in anticipo, la copertina ritragga una più prosaica botte, molto efficace come strumento repulsivo anche senza magia!

Come si parlava di magia negli anni Sessanta? Per scoprirlo, ho sfogliato otto Albi della Rosa e li ho raccontati in altrettanti post su questo blog. Questo è il settimo di otto.
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