Lo scorso 18 maggio 2025 ho visitato a Roma la mostra inVisibili dedicata alle donne dimenticate del cinema.

Tra i materiali c’è un’allarmata nota contro Alba de Céspedes: la polizia fascista intima di farla “arrestare”, “rinchiudere” e “farle dire che non faccia discorsi stupidi”.

L’autrice fa paura perché apre cassetti che dovrebbero restare chiusi, rivelando le convenzioni che obbligano soprattutto le donne a recitare ruoli sociali soffocanti; oggi diremmo che scoperchia i tumulti interiori che si agitano dietro i sorrisi patinati dei social (ma è una voce che parla anche agli uomini, castrati da ruoli di genere altrettanto asfissianti).

Superati i quaranta, Valeria si sente confusa e inconsistente,

e non posso parlarne a mia madre né a mia figlia perché nessuna delle due comprenderebbe (p. 239).

Priva di uno spazio dove rielaborare le passioni tristi, riflette sulla stranezza fondamentale:

La nostra vita intima è ciò che più conta per ognuno di noi eppure dobbiamo sempre fingere di viverla senza quasi avvedercene, con disumana sicurezza (p. 192).

In cerca di un surrogato di una “stanza tutta per sé”, affida a un diario (il Quaderno proibito che dà titolo al romanzo) ciò che non può dire ad alta voce.

Ma neppure la scrittura offre approdi rassicuranti, in una

vita [che] passa nell’angoscioso tentativo di trarre conclusioni e non riuscirci (p. 240).

Da qui la consapevolezza amara:

Nella vita [è] necessario scegliere la propria linea di condotta, affermarla presso noi stessi e presso gli altri, e poi dimenticare quei gesti, quelle azioni, che sono in contrasto con essa (p. 226).

In quello che Nadia Terranova definisce nella prefazione “il giardino segreto della propria vita parallela, più autentica e feroce” si addensa un gioco di contrasti che Valeria restituisce con abissale lucidità:

Almeno per me è così: tutto mi sembra, allo stesso tempo, buono e cattivo, giusto e ingiusto: persino caduco ed eterno (p. 240).

Leggere de Céspedes significa strappare all’invisibilità non solo la sua voce, ma anche il magma sotto le nostre vite, destigmatizzarlo e farne parola comune: una scialuppa di fragilità che può trasformare le tempeste in rotta e i naufragi in salvezza.

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