Sede di Google, 2014. Concluso il numero di magia per cui mi hanno invitato in California, passo dal gabinetto e fotografo un foglio appeso al muro. È parte della serie “Testing on the Toilet”, lezioni lampo di programmazione per riempire anche il tempo intimo con i messaggi dei padroni, invitando a scovare bug nel codice persino durante le pause.

Senza saperlo, stavo replicando (passivamente) l’atto molto più radicale inventato da Pietro Perotti nel 1985 alla Fiat di Torino Mirafiori: scrivere nei cessi e poi fotografarli, per documentare il dialogo con chi raccoglieva l’invito. Dopo l’autunno dell’Ottanta, riflusso e ristrutturazione avevano ridotto la fabbrica a un deserto. In quel vuoto, Perotti non si limitava a osservare: affilava i pennarelli e lasciava parole, disegni, sticker di Marx in versione emo e poesie corrosive, scagliate contro Agnelli e il capitalismo predatorio di fabbrica. Poi tornava per leggere le risposte.

Ogni gesto comportava il rischio concreto di essere scoperto e punito: introdurre una macchina fotografica in fabbrica e lasciare scritte sovversive significava esporsi a controlli e possibili denunce. Non era una didattica calata dall’alto, ma il tentativo ostinato di riattivare comunicazione, complicità di classe e voglia di rivoluzione.

Quelle immagini oggi sono raccolte nello straordinario I cessi di Mirafiori (Viaindustriae 2025) libro curato da Davide Tidoni e Franco Berteni (che ne ha scritto la postfazione). Non un album di memorie, ma un archivio vivo di antagonismo. Berteni lo ricorda bene: la sostanza di quelle scritte non appartiene al passato, parla a chiunque oggi cerchi spazi di libertà dentro un presente che vorrebbe il nostro silenzio.

E allora il confronto con i wc californiani diventa lampante. Google invita a stanare i bug del codice, Perotti invitava a smascherare i bug del capitale. Là uno slang aziendalistico che infantilizza (“Debugging sucks Testing rocks”), qui un linguaggio conviviale, capace di restituire voce e forza a chi subiva.

I cessi di Mirafiori mostra(no) che perfino in un cubicolo sporco si può tessere una rete solidale, per abbattere l’ordine imposto con orgoglio, rabbia e ironia.

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