Oggi a Portici di carta 2025 ho scovato una piccola perla dimenticata: L’indovina (1859), traduzione del dramma teatrale di Victor Séjour, autore creolo, nero e cattolico.

La veggente del titolo è una donna ebrea a cui la Chiesa ha strappato la figlia, e che non usa le carte per predire il futuro ma come strumento di indagine e rivendicazione.

Theda Bara nei panni di una cartomante.

Ispirandosi al caso di Edgardo Mortara (il bambino ebreo rapito a Bologna nel 1858 dopo un battesimo segreto) Séjour sposta la scena a Genova e trasforma il protagonista in una bambina.

Victor Séjour (1817-1874)

Oggi chiameremmo “intersezionale” il suo approccio: Séjour visse in prima persona l’oppressione razziale del suo tempo. Scelse però di colpire un’altra forma di potere – quella religiosa – affidando la denuncia a una madre ebrea. In questa scelta c’è il suo gesto più audace: incarnarsi in un genere, un colore e una fede diversi dai propri per mostrare che ogni lotta risuona in tutte le altre. Applaudito da Napoleone III e censurato in Italia, il dramma fu una sperimentazione teatrale coraggiosa e militante. A conferma del fascino duraturo della vicenda, nel 2016 Steven Spielberg accarezzò l’idea di portarla al cinema, ma sarà Marco Bellocchio a riuscirci con “Rapito” (2023).

Locandina del film di Marco Bellocchio “Rapito” (2023).

In Writing for Justice (2015) Elèna Mortara spiega che Gemea, la cartomante di Séjour, incarna una forza di disobbedienza politica nata da un’ingiustizia compiuta in nome della fede.

Muovendosi nel territorio che la Chiesa pretende di controllare – quello dell’invisibile – l’indovina usa il linguaggio dell’occulto per rovesciare un dogma: ciò che la religione condanna come superstizione diventa, attraverso un mazzo di carte, lo strumento con cui cercare giustizia e riprendersi la figlia.

Il libro è disponibile nella )BmP Biblioteca magica del Popolo:

Victor Séjour

L’indovina

Sanvito, Milano 1860.

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