Nel suo saggio Decolonizzare lo sguardo (Eris Edizioni 2025) Grace Fainelli mostra come ciò che vediamo non sia mai neutro: lo sguardo è modellato da storie e gerarchie che abbiamo imparato a disvedere o saputo dimenticare.

Vivendo a Torino, durante le presentazioni l’autrice mette questa lettura in dialogo con la città, riportando alla luce episodi che disturbano il mito degli “Italiani brava gente”.

Tra questi, la vicenda dello zoo umano allestito a Torino durante l’Esposizione Generale Italiana del 1884, quando alcuni Assabesi, provenienti da un territorio che l’Italia aveva appena trasformato in colonia, vennero esibiti in un recinto costruito appositamente per essere guardati.

Le capanne allestite non avevano lo scopo di rappresentare la vita ad Assab: erano scenografie illusionistiche, pensate per apparire “pittoresche” agli occhi europei. Non riproducevano l’architettura reale ma l’immaginario coloniale di ciò che una “capanna africana” doveva sembrare: più che case erano ambienti narrativi, costruiti per confermare un’idea di “primitività” che giustificasse l’invasione e il dominio da parte di un Paese più civilizzato.

Esterno del Castello medioevale, e le Capanne d’Assab (da una fotografia di Berra)
L’Esposizione italiana 1884, n. 16, p. 185.

Per legittimare quello spettacolo fu costruita una narrazione di comodo: gli Assabesi vennero presentati come “nobiltà” per mascherare la violenza dell’esposizione. A loro era stato fatto credere di prendere parte a un evento di alto profilo, con l’aspettativa di essere ricevuti dalle massime autorità. Una volta giunti a Torino, si ritrovarono invece rinchiusi in un villaggio artificiale, e quando scoprirono che il re non si trovava in città ma a Roma, reagirono con stupore e delusione.

Invece di denunciare l’uso strumentale di quei corpi, perfino i critici dell’Esposizione scelsero di infierire su di loro: dopo averli esibiti sotto un titolo nobiliare di facciata – utile solo a rendere più presentabile il loro sfruttamento – la stampa li liquidò come “straccioni venuti su dal limo-fondo della società”.

Gli Assabesi all’Esposizione. Disegno di Ettore Ximenes.
L’Esposizione italiana 1884, n. 25, p. 196.

Le umili origini di Kreta (28 anni), della moglie Kaliga (17) e del figlio Mohammad (5), di Kamli (18), Abdallah-Ben-Ibrahim (15) e Ali-Hammahad (7) rendono ancora più folgorante il gesto che compirono all’arrivo a Torino. Essi “si mostrarono poco contenti” della sistemazione proposta: il loro cruccio principale era lo sguardo del pubblico che li osservava “come belve feroci”; fu immediata la consapevolezza che quelle capanne non erano l’accoglienza di rango promessa ma il recinto di un giardino zoologico umano.

Gazzetta Piemontese, 1.7.1884.

Per questo, sin dal primo giorno rifiutarono di dormire nelle capanne predisposte per esporli e pretesero una stanza nel sontuoso Albergo Eridano. Il fatto che la richiesta venisse accolta fu un riscatto orgoglioso degli Assabesi: se erano stati chiamati “principi”, allora avrebbero vissuto da principi!

L’Esposizione italiana 1884, n. 24, p. 186.

Da quella scelta possiamo imparare molto più di quanto la storia ufficiale abbia voluto riconoscere. Gli Assabesi furono maestri assoluti nell’arte del controincantesimo: videro la trappola, ne compresero l’ingranaggio e con lucida strategia la rovesciarono. In una pagina segnata da razzismo e inganno, sei persone senza protezioni e senza potere seppero mostrare a una città intera come si difende la propria dignità, rompendo il copione imposto e restando umani in un luogo costruito per negarli.

Approfondimenti

Scarica una selezione di pagine tratte da L’Esposizione italiana 1884.

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