Ci sono atei secondo i quali la scienza non minaccia lo stupore e la meraviglia – anzi, ne invocherebbe addirittura di più. È su questa considerazione che basate la decisione di svelare un trucco magico?

Teller: Ci sono alcuni giochi di prestigio che offrono un’esperienza migliore quando ne viene svelato il trucco. Sono più interessanti, più ingegnosi. La maggior parte sono di una banalità disarmante, eccetto che per un esperto. Ai miei occhi, un impalmaggio di una carta eseguito con il giusto timing può sembrare una cosa magnifica, ma un altro potrebbe dire: “Embé? Si è nascosto la carta nella mano? Tutto qui?” Dunque la decisione si basa su un criterio estetico. Praticamente tutti i trucchi che io e Penn abbiamo svelato nella nostra carriera sono stati creati tenendo a mente che la loro spiegazione li avrebbe migliorati.

Qualche anno fa in TV hanno trasmesso una serie il cui protagonista, un mago mascherato, svelava i trucchi dei maghi. All’epoca il canale televisivo cercò di aizzare i prestigiatori contro di lui, convincendoli a dire pubblicamente che tutto ciò era terribile. Generare controversie è sempre una buona idea quando devi pubblicizzare una serie. Io dissi pubblicamente di apprezzare il modo in cui metteva in scena molte vecchie illusioni. Il più delle volte quando vedi una donna sparire sotto una pagoda di compensato, ti viene da pensare: “Oh, si sarà semplicemente nascosta in quel tavolo spesso su cui è appoggiata la pagoda” e resti con un dubbio non risolto. Per lo meno il mago mascherato offriva un finale soddisfacente. Però restava un’esibizione abbastanza noiosa. Perché invece di mostrare troppo, mostrava troppo poco: quando ti rendi conto di tutti i dettagli che contribuiscono a un effetto magico, dalle questioni tecniche alla storia delle scoperte in cui ti imbatti mentre lo metti a punto, quando cogli ciascuna sfumatura dell’azione, allora il tutto diventa più misterioso – non meno.

Perché allora non spiegate tutti i vostri trucchi?

Perché una spiegazione superficiale – quella che saresti in grado di offrire durante uno spettacolo in teatro o una comparsata televisiva – sarebbe noiosa e per nulla divertente. Il segreto più grande dietro la messa in scena di un effetto magico che inganni in modo efficace è quello di realizzarlo con un metodo il più brutto possibile: un trucco complicato, poco “romantico” e non particolarmente ingegnoso. Perché non esistono grandi segreti. Non c’è una cassaforte piena di trucchi magici nascosta da qualche parte. Secondo Jim Steinmeyer, molti spettatori sospettano che esista una grande cassaforte dentro cui sono custoditi tutti i segreti dei maghi. Il lavoro più difficile per un prestigiatore, dice Jim, è quello di nascondere il fatto che quella cassaforte è vuota. Perché tutti i trucchi sono soltanto una minima variante di qualcosa di assolutamente ordinario e perfettamente comprensibile. Prendiamo il fatto di sospendere qualcosa attaccandolo a un filo, ad esempio. A tutti è successo di aver difficoltà a infilare un filo nella cruna di un ago perché c’è poca luce o perché si confonde con lo sfondo. Il mago che usa un filo sul palco – per fare levitare una palla, ad esempio – sfrutta le stesse cose per nasconderlo: la luce e lo sfondo. Non c’è alcun segreto misterioso. Hai imparato a farlo quando giocavi con la scatola da cucito della nonna. Tutti i cosiddetti “segreti” magici sono in realtà “nascosti” in piena luce nella vita quotidiana. E quindi non sono una novità, ma roba trita e ritrita.

Quindi credi che il pubblico sarebbe deluso dalle spiegazioni?

Deluso e annoiato. Perché sull’altro piatto della bilancia c’è il divertimento di fantasticare su una dimensione mitica dei trucchi magici. È come nei polizieschi. I criminali in carne e ossa sono solo gente orribile che compie atti crudeli. Ma i film sulle truffe sono divertentissimi. Quindi quando io e Penn lavoriamo a un nuovo trucco, ragioniamo a partire dalla fine. Dapprima elaboriamo spiegazioni che siano divertenti e ingegnose come la trama di un film sulle truffe, poi da qui risaliamo a un effetto magico. Prendiamo l’effetto magico dei tre bussolotti. Io e Penn eravamo in un bar, stavo giocando con dei tovaglioli e avevo un bicchiere vuoto. Lo capovolsi, feci una pallina con il tovagliolo e lo appoggiai sul fondo del bicchiere. Poi feci un’altra pallina e la impalmai. A quel punto feci una mossa classica del gioco dei bussolotti: inclinai il bicchiere per far cadere la pallina superiore, e nel frattempo vi “caricai” sotto quella nascosta in mano. L’occhio segue la palla che scivola da sopra, senza dunque accorgersi di quella che viene inserita sotto il bicchiere. Fu una cosa così affascinante che impiegammo mesi a mettere su un’intera routine basata su princìpi del genere, tali da consentirci di presentare l’effetto dei tre bussolotti usando dei bicchieri trasparenti. Per renderla più ridicola, la presentammo come “Stiamo svelando il trucco dell’antico gioco dei tre bussolotti!”

Presentiamo anche il numero della donna segata a metà, facendo finta di spiegare il trucco utilizzato, ma qualcosa va storto e la donna viene davvero tagliata in due parti. Ci vogliono 25 minuti per preparare l’effetto: bisogna inserire budella schifiltose in alcuni tubi e caricare una serie di marchingegni perché il tutto funzioni a dovere. Il pubblico non vuole vedere questa parte: è come guardare qualcuno che fa i compiti. È semplicemente brutto.

Ma magari il pubblico vuole solo sapere dove si nascondono le sue gambe.

Basta pensarci un attimo per capirlo. Ma tanti non ci pensano perché pensarci non è particolarmente divertente.

Io penso che lo sia. Di recente durante una puntata della vostra serie Fool Us un mago ha fatto alcuni effetti magici con le carte sfruttando del fumo. Riguardandolo al ralenty ho colto alcune cose…

Ma questo non ha nulla a che vedere con il teatro: eri tu che facevi i compiti. Ed è una gran cosa che tu faccia i compiti che senti di voler fare. Quello eri tu che dedicavi una parte del tuo tempo libero a risolvere un enigma. Ma non aspettarti che questo costituisca una forma di intrattenimento per un pubblico in un teatro.

Io penso in realtà all’idea di spiegare al pubblico un trucco quando lo show è finito. Questo influirebbe negativamente sullo spettacolo nel suo complesso?

La migliore definizione di “mago” che io abbia mai sentito è del nostro amico Mike Close, secondo cui “Il mago è uno che ti regala un sassolino nella scarpa”. Il mio co-regista della Tempesta e del Macbeth era rimasto veramente veramente veramente colpito dal nostro trucco della sparizione di un elefante. Insieme ai suoi amici trascorsero un’intera ora dopo lo show a discutere tutti i possibili trucchi utilizzati. Ottimo. Il mio lavoro consiste nel creare una conversazione del genere. Il mio lavoro non consiste nel mostrarti il percorso di sei anni che abbiamo seguito per arrivare a farlo succedere. È stato faticoso, noioso e così poco poetico che mi odieresti se te lo dovessi illustrare. Quello che offriamo è, invece, un bel mistero. Uno degli effetti che non fa parte del nostro attuale repertorio ma che adoro, si chiama “Honor System”. Facciamo salire la gente sul palco a esaminare una scatola di legno la cui parte superiore presenta un coperchio incernierato e una seconda scatola di plexiglass con un identico coperchio, di dimensioni tali da poter entrare nella prima. Io entro nella scatola di plexiglass, questa viene inserita in quella di legno e il suo coperchio chiuso con dei lucchetti. Com’è possibile uscirvi? Il coperchio sigillato della scatola di legno tiene chiuso quello della scatola interna, e se anche presentasse un fondo mobile, per me sarebbe irraggiungibile a causa del fondo rigido della scatola di plexiglass. Si tratta di vero e proprio enigma. A questo punto Penn offre al pubblico una scelta. Spiega che potranno assistere alla fuga con gli occhi aperti o chiusi. Potranno portare a casa un mistero o una soluzione. La maggior parte degli spettatori tiene gli occhi aperti, e per loro abbiamo messo a punto un meccanismo piuttosto complesso, tale da soddisfare le loro aspettative. Ma credo che gli spettatori più sofisticati scelgano di tenere gli occhi chiusi. Questo rivela molto della loro capacità di evitare le risposte facili e procurarsi invece il mistero e la sfida. Sono queste le persone con cui mi piacerebbe stringere dei rapporti.

Quale frazione del pubblico tiene gli occhi chiusi?

Direi un cinque percento. Gli altri scelgono di tenerli chiusi – ma poi li aprono quando sentono scoppiare le risate – o li tengono aperti sin dal principio. Ma è l’idea che stiamo offrendo loro un’alternativa – cosa vuoi portarti a casa, un mistero o una soluzione? – beh, è questo il lato bello della questione.

Per fare l’avvocato del diavolo, tu sei un Libertariano, vero?

Ma questa è politica, non arte.

Uno dei principi alla base del Libertarianesimo è quello di evitare il paternalismo e lasciare la libertà di scegliere cosa è meglio per sé. È corretto?

Gli Stati Uniti hanno istituzionalizzato l’idea che dobbiamo avere tutta la libertà possibile senza fare del male agli altri.

Ed è qui che faccio l’avvocato del diavolo. È ottimo che voi consentiate al pubblico di scegliere se apprendere o meno il trucco nell’effetto che chiamate “Honor System”. Ma nella maggior parte dei casi non offrite la stessa scelta. State dicendo: “Abbiamo deciso che è meglio per voi non sapere, perché solo così vi porterete via quel sassolino nella scarpa alla base del vostro divertimento.” Questo non confligge con il vostro atteggiamento politico?

Politica e arte si distinguono per un aspetto importante. In ambito artistico, uno vuole essere totalitario. Quello che chiedi all’artista è di importi la sua visione sbattendotela direttamente in faccia. È per questo che si va a teatro. E non è certo l’artista a obbligarti a farlo. Il mio pubblico non è costretto dalla legge ad assistere al mio spettacolo. Diro di più: non possono neppure farlo, a meno che il loro desiderio di concederci quell’atteggiamento totalitario non sia tale da convincerli a sborsare del denaro per esservi ammessi. Vengono con la speranza e l’intenzione di essere ingannati da noi. Con la speranza e l’intenzione di essere stupiti e meravigliati. Con la speranza e l’intenzione di portarsi a casa qualche mistero, qualche sassolino nella scarpa.

Qual è la differenza tra la magia e altre forme di intrattenimento come i film con gli effetti speciali? Su Internet è pieno di filmati che svelano come vengono ottenuti digitalmente certi effetti.

Su Internet è pieno di filmati che svelano anche i trucchi degli illusionisti.

Ma quelli sollevano molta più indignazione.

Si tratta di arti differenti. Quando vai al cinema, stai sospendendo volontariamente l’incredulità per tutta la durata della pellicola. Ci vai con l’intenzione di essere coinvolto da qualcosa che sai essere prodotto di fantasia. Quando invece vai a vedere uno show di magia, ci vai con un atteggiamento diverso, perché ti trovi in una stanza – una stanza reale – con tutti i sensi all’erta, nessuno schermo tra te e quello che stai osservando, e nonostante ciò in qualche modo il mago sul palco sta facendo cose che sembrano assolutamente impossibili. C’è in atto un elemento di conflitto che non c’è quando vedi un film. Andando a vedere un film, ti lasci andare non appena varchi la soglia del cinema. Ma di fronte alla magia non è questione di lasciarsi andare: è questione di cercare in tutti i modi di capire il trucco, e poi sperimentare il piacere della frustrazione. La magia non ti trasporta come può fare una melodia romantica. La magia ti tiene bloccato sul bordo della sedia a ripeterti: “Che?! Che?! Che?! Che?!” Ed è qui il grosso del divertimento: nell’interazione con qualcosa di reale, nell’interrogarsi sul trucco, nel forte senso di tridimensionalità e nell’impressione di spremere il cervello in tutti i modi per capire come diavolo succeda e nell’accorgersi che, wow! tutto ciò non può succedere, eppure ce l’ho davanti ai miei occhi! È nella gioia di essere sopraffatti dall’arte. E ciò succede di fronte a molte forme artistiche. Quando vedi un quadro davvero bello, ti senti sopraffatto. Pensa a Dalì, Rembrandt, Vermeer. Lo stupore, basato spesso sull’uso di trucchi, è l’impulso fondamentale dell’arte. [Teller prosegue citando un documentario dedicato a Vermeer realizzato con Penn sul loro amico Tim Jenison, che avrebbe riscoperto i metodi usati dal pittore] Il film ha avuto ottime recensioni da tutti eccetto che da chi aveva un’ammirazione quasi religiosa per Vermeer. Costoro hanno reagito dicendo: “State sminuendo il lavoro di un uomo che amiamo!” Al che io ho sempre risposto: “Ma neanche per sogno! Stiamo dicendo che Vermeer era una persona diversa rispetto a quella che hai sempre pensato. Oltre a essere un grande artista, Vermeer era molto più “scientifico” e “artigianale” di quanto voi figli di buonadonna crediate, e non aveva alcunché di sovrannaturale.” Nel corso del film non mostriamo nei confronti di Vermeer altro che ammirazione, meraviglia e rispetto. L’unico peccato che abbiamo commesso è stato quello di insistere sul fatto che non fosse dotato di uno sguardo sovrannaturale che lo distingueva dal resto dell’umanità. Abbiamo spiegato in modo dettagliatissimo uno solo dei suoi trucchi nel corso di ben 80 minuti. E il risultato è molto bello.

Lo stesso si potrebbe dire a proposito dei trucchi magici. Con Vermeer, il punto è che comprendere il processo non sottrae in automatico meraviglia dallo sguardo dell’osservatore, e forse addirittura l’aumenta. Però tu ritieni che, con i trucchi magici, la spiegazione potrebbe renderli meno interessanti.

Ripeto: le spiegazioni superficiali sono sempre noiose. Comprendono sempre la parola “semplicemente”. Oh, Vermeer usò semplicemente uno specchio. Oh, il mago ha semplicemente impalmato la pallina. La spiegazione diventa bella quando è possibile immergersi in ogni sua sfumatura.

Matthew Hutson, “Teller (of Penn & Teller) on Revealing Magic Tricks”, 26.7.2015.

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