Origini della Prestigiazione e come giunse in Inghilterra

Vi arrivò in principio per opera di certi egiziani, i quali giuntivi e cresciutivi in moltitudine, successivamente si dispersero in varie regioni: esperti in questa arte, e nella pratica della chiromanzia, imbrogliavano il popolo ovunque si recavano. Accadde dunque che molti vagabondi inglesi che si accompagnavano a costoro, impararono al contempo la loro lingua e l’arte dell’inganno, e per questo furono incriminati; sulla questione il governo dovette prendere provvedimenti, e fu emessa un’ordinanza: chiunque si fosse accompagnato con un egiziano sarebbe stato gravato di una sanzione pecuniaria; inoltre sarebbe stato considerato esso stesso egiziano, accusato di alto tradimento e privato di ogni diritto civile dall’entrata in vigore della legge fino a quando il paese non fosse stato libero dal peso di quei maghi egiziani.

Definizione di Arte dei prestigi e dei suoi principi

La Prestigiazione è tale per cui un individuo appare compiere cose meravigliose, impossibili e incredibili con l’agilità, la prontezza e la destrezza di mano. Tale arte si basa essenzialmente su due principi: il primo è la manipolazione di palline, carte, dadi, monete, eccetera; il secondo è l’uso di complici.

Intenti dell’Arte dei prestigi

È sia benevola che malevola, a seconda di come la si pratica: benevola e lecita, quando esercitata alle fiere e in compagnia di amici per arrecare diletto – specialmente se praticata senza presunzione. Del tutto malevola e illecita quando cela intenzioni truffaldine, oppure è ispirata da mera vanagloria, che non è né decente né onesta.

Definizione o descrizione del Prestigiatore

In primo luogo, deve essere di spirito impudente e audace così da far buon viso a cattivo gioco. Poi deve avere un mezzo di trasporto agile e semplice. In terzo luogo, deve saper utilizzare un linguaggio stravagante e formule magniloquenti, per abbellire e aggraziare le sue azioni, e ancor più per stupire chi osserva e ascolta. Infine deve usare gesti e movenze tali da distogliere l’occhio dello spettatore da una attenta e diretta osservazione delle sue manipolazioni. (1) 

Note di Mauro Ballesio

Con il termine “egiziani” l’autore si riferiva ai gitani e ai Rom: le parole inglesi gipsy (“gitano” o “zingaro”) ed egyptian condividono la stessa radice lessicale. Lo stile di vita attribuito loro dall’autore rifletteva stereotipi difficili a morire ancora oggi: tali individui non erano graditi nel Paese e il parlamento tentò di ostacolarli multando chiunque li avesse aiutati o si fosse accompagnato a loro. Questo breve resoconto, che intreccia le radici storiche inglesi dell’arte della destrezza di mano a quelle dell’arte del borseggio e dell’inganno è la sintesi di un’analisi che compare – arricchita di dettagli e riferimenti – nel libro di Sa. Rid The Art of Juggling or Legerdemaine (1622) – dove si legge:

Alcuni Egiziani lasciarono il loro paese (non certo perché ben vi stavano) e giunsero in Inghilterra; chi era abile in certi trucchi e stratagemmi curiosi, all’epoca a noi qui sconosciuti, era stimato e preso in grande ammirazione, e per la stranezza del vestiario e dei costumi e per le loro abilità e destrezza di mani si parlò d’essi in lungo e in largo, tanto che molti dei nostri vagabondi inglesi si unirono a costoro, imparando al contempo le loro arti e i loro inganni. La lingua che usavano era la vera lingua egiziana che i nostri cittadini inglesi conversando con essi impararono col tempo. Queste genti mantennero tale condotta nel paese, praticando le loro ingannevoli arti di abilità e destrezza manuale, acquistando grande credito tra le genti di campagna, e procurandosi ricchezze con la chiromanzia e predicendo il futuro, ma tanto meschinamente da arrivare a derubare povere ragazze di campagna dei denari, dell’ argenteria e dei loro vestiti migliori, o di ogni qual merce queste potevano procurare, solo per sentirsi predire da essi il futuro. Tale Giles Hater (questo era il suo nome), insieme alla sua concubina Kit Calot, in breve tempo s’erano creati un piccolo seguito, definendosi lui il Re degli Egiziani e lei la Regina e viaggiavano per il paese a loro piacimento e senza controllo. Infine, circa quaranta anni dopo, quando iniziò ad avvicinarsi il tempo d’espiare tali furfanterie, e le loro ruberie erano ormai palesi al mondo (proseguirono per circa trenta anni in questo modo, truffando, elemosinando e derubando il paese), volle il Concilio indagare più da vicino sulle loro vite, e nel Parlamento costituitosi nel primo e secondo anno di Filippo e Maria, fu emesso un rigido Statuto per cui chiunque avesse trasportato Egiziani in questo Regno sarebbe stato multato di quaranta sterline. Inoltre veniva stabilito che costoro avrebbero preso il titolo di Egiziani, dall’età di quattordici anni in avanti, o che chi avesse trasgredito e trasportato in Inghilterra Egiziani, o chiunque altro fosse stato visto in compagnia di vagabondi che si potevano definire tali, o si fosse camuffato, o si fosse cambiato d’abiti o non si fosse fatto riconoscere per il proprio vero aspetto, linguaggio o altro comportamento assimilabile a quello di Egiziani, e che in tal modo avesse continuato a fare per una o più volte nell’arco di un mese, sarebbe stato considerato traditore, perdendo diritti civili ed ecclesiastici. Allorché queste leggi e statuti furono in atto, e giunti alle loro orecchie, essi si divisero in bande e compagnie in diverse parti del Regno. S’immagini che si potevano contare circa duecento vagabondi e briganti in un singola Compagnia, e benché non girassero tutti assieme, non distavano gli uni dagli altri più di due o tre miglia, e da quel momento non osarono più farsi riconoscere come Egiziani, e non presero altro titolo se non quello di mendicanti. Ma quanti furono condannati con questo statuto, lo si può immaginare. Tuttavia senza opporsi, ne combattere, essi continuarono a girovagare come se niente fosse, in lungo e in largo, incontrandosi una volta all’anno in un luogo d’appuntamento, talvolta al Devil Arse, una cima in Derbyshire, e altre volte a Ketbrooks via Blackheath, o altrove come concordato ai loro incontri. Piacque alla Regina Elisabetta di riprendere lo Statuto menzionato prima, nel ventesimo anno del suo felice regno, facendo tutto lo sforzo possibile per cacciare questa gente sgradita, ma nulla poté esser fatto, come si vede, fino ad ora. Essi vagano in lungo e in largo dicendosi Egiziani, truccando i propri visi e vestendo indumenti al loro stile, tuttavia chiedendo loro chi essi siano non oseranno dire altro se non Inglesi, e di quale contea, essendo obbligati a mentire. Ma tornando ai nostri intenti, codeste genti vedendo che non v’era profitto dal vagabondaggio, ma solo rischio della vita, col tempo diminuirono e sciolsero le loro comunità abituali, molti di essi si convertirono, alcuni divennero venditori ambulanti, altri trafficanti, altri giocolieri, alcuni fecero altri mestieri ancora, tanto che i maghi-giocolieri ora sono diventati comuni come insegnanti e professionisti e, a onor del vero, alcuni meritano elogio per le loro abilità e agilità manuali, tanto che si potrebbe credere che le cose mirabili che eseguono per destrezza di mano siano al pari di una sorta di stregoneria o di magia.

La definizione proposta della cosiddetta “Arte dei prestigi e dei suoi principi” è più matura rispetto a quella che si ritrova in Reginald Scot, che la definiva genericamente come “destrezza e abilità di mani”. La sua suddivisione in tre categorie (manipolazione di palline, monete e carte) fornita da Scot viene qui estesa menzionando l’impiego di dadi e aggiungendo una categoria di effetti magici realizzati per mezzo di assistenti. Dunque due erano le principali metodologie alla base dell’Arte della prestigiazione: la manipolazione di oggetti, in cui il mago-giocoliere era l’unico artefice ed esecutore (che ha il suo culmine nel gioco di bussolotti) e l’uso di compari, ovvero l’impiego di complici o assistenti con cui il mago eseguiva effetti di varia natura, simulando più verosimilmente straordinari poteri sovrannaturali o “stregonerie” al limite di quanto poteva esser creduto lecito – ovvero senza l’intervento del demonio. L’esibizione di poteri superiori poteva mettere il prestigiatore nella scomoda posizione di essere creduto complice, invece che di assistenti umani, del demonio stesso, fino ad arrivare al punto di dover dare prova di usare semplici trucchi a dimostrazione della propria buona fede. I complici possono essere di due tipi: quelli che operano insieme al prestigiatore, sul palco o “dietro le quinte”, e coloro che invece si nascondo in mezzo al pubblico.

Esiste una corrente di pensiero nel settore illusionistico che ritiene eticamente scorretto nascondere complici tra gli spettatori poiché in tal modo verrebbe meno un tacito accordo tra il prestigiatore e il suo pubblico sul modo in cui quest’ultimo è consapevole che verrà ingannato dall’artista. Tale accordo sottintende una netta separazione tra chi sta al di qua e al di là del “palcoscenico”. Sull’argomento può risultare dunque estremo l’atteggiamento di Theodore Annemann, per il quale era del tutto ragionevole utilizzare sei complici per ingannare una settima persona. Tale dibattito ha dunque radici lontane: nell’Anatomia l’impiego di complici tra il pubblico – come si leggerà tra le righe in un capitolo appositamente dedicato – ha il sapore della truffa e dell’imbroglio; l’autore cita artisti che operano in malafede, pur compiendo prodigi creduti non altrimenti realizzabili se non con la complicità ultraterrena del demonio. Questa sottile distinzione tra due tipi di complicità, quella “pubblica” e quella “privata”, è considerata esplicitamente da Scot, mentre l’Anatomia semplicemente la ignora. Scot usa l’espressione “private confederacy” intendendo l’impiego di un complice o di un assistente segreto che opera all’oscuro del pubblico; usa invece l’espressione “public confederacy” intendendo l’impiego di veri e propri complici dispersi tra il pubblico che partecipano attivamente e pubblicamente all’inganno.


Note

1. Traduzione di Mauro Ballesio.

Tutti i post sono distribuiti con Licenza Creative Commons BY-NC-SA 4.0