Gli illusionisti si lamentano sempre delle stesse cose. Recentemente, sulle pagine di Magic, Ellis Stanyon ha auspicato maggior rispetto del diritto intellettuale nell’ambito degli effetti magici:

È una vera disdetta che nel mondo magico non esista il concetto di copyright. A volte si lavora per settimane – o addirittura per mesi – per inventare una nuova illusione, ed immediatamente questa è alla mercé di un altro prestigiatore senza scrupoli che ne ruba il modus operandi e la copia pedestremente. (1) 

Sulla stessa rivista Henry Ridgely Evans si è lamentato per la generale mediocrità dei colleghi; il panorama illusionistico è

invaso da prestigiatori di seconda categoria. Quando un professionista arriva in città, immediatamente lo avvicinano orde di dilettanti che vogliono imparare i suoi segreti, mostrargli la loro destrezza (?) e chiedergli quale sia il metodo migliore per ottenere degli ingaggi. L’illusionista [...] medio legge un libro di magia, si fa crescere i baffi e crede di essere diventato un mago. (2) 

La piaga di chi svela i giochi in pubblico torna in ogni dibattito. Evans ha raccontato lo scambio avuto con un giovane youtuber, tale Herrmann:

[Herrmann] non è l’unico ad avere la pessima abitudine di svelare i trucchi al pubblico, che produce una momentanea risata ma provoca danni incalcolabili all’arte magica. «Perché spieghi in pubblico i trucchi?» gli chiesi una volta. Il giovanotto alzò le spalle e rispose: «Voglio che la gente si accorga di quanto siano leste le mie mani e quanto sia difficile impalmare le palline.» Gli risposi: «Guarda che alla gente non interessa l’agilità delle tue mani. Loro vogliono essere stupefatti! Non è intelligente spiegare i trucchi in questo modo.» (3) 

In realtà i tre frammenti riportati non sono così recenti: risalgono al 1901 – ma sembrano scritti ieri, perché la discussione tra prestigiatori non si è mai evoluta.

Un antidoto contro la noia esiste: basta aprire le finestre e cambiare aria. Cercando altrove stimoli originali.

Ivan Cenzi non è un illusionista, ma si occupa di meraviglia da molti anni: il suo blog Bizzarro Bazar è un labirinto in cui è piacevole perdersi, perché in ogni angolo ci si imbatte in pensieri, provocazioni e idee utili agli artisti dell’illusione. Non a caso c’era lui in cattedra all’ultimo corso di mentalismo Mesmer e sempre lui ha aperto il festival Stupire! a Fontanellato.

Recentemente, nel corso di una discussione su Facebook, qualcuno si è lamentato dei tutorial che spiegano i trucchi magici su YouTube, scrivendo:

A volte mi è capitato qualcuno nel pubblico che non ha capito nulla della questione, ma fa il gradasso perché ha visto il trucco su YouTube e cerca di rovinare lo spettacolo.

Arginando il clima di generale (e pluri-secolare) autocommiserazione, Ivan ha introdotto nel dibattito la figura – nuova e spiazzante – degli “heckler”, spostando l’attenzione sulle carenze comunicative dei maghi:

Gli heckler (vale a dire i troll che disturbano e interrompono gli show) sono un’istituzione nella stand up comedy, e in molti casi si sono rivelati un valore aggiunto. Comici come Jimmy Carr hanno fondato il loro successo sulle risposte sagaci agli heckler. Se i tutorial sono davvero la causa della loro presenza agli show di magia (cosa peraltro da verificare), da profano direi che la situazione potrebbe essere uno stimolo per evolversi in due direzioni:
1) il mago, come suggerisce Mariano Tomatis, potrebbe scendere un gradino in giù dal suo piedistallo e confrontarsi un po’ più alla pari con il suo pubblico;
2) toccherà trovare una magia diversa dal trucco tecnico, dalle dita veloci, dalla dinamica che vede il mago in competizione con il pubblico. Magari una magia più emotiva, che ritrovi la bellezza della fragilità, una meraviglia che affascini per la sua gentilezza e umanità. E che proprio in ragione di questa sua gentilezza trovi difficilmente qualcuno disposto ad attaccarla. Lo show di Gianfranco Preverino visto allo Stupire festival in questo senso è paradigmatico. Un intero spettacolo sui modi escogitati per fregare il prossimo, eppure mai – nemmeno per un istante – si è avuta la sensazione che il volontario di turno fosse dileggiato o svilito come persona. La sensibilità e il tatto, direi perfino l’amore dimostrato da Gianfranco sono il segreto di un equilibrio miracoloso (il gentleman è un “gentle man”, appunto). Anche ci fossero mille tutorial, si tornerebbe infinite volte a vedere uno spettacolo così, in virtù della scrittura e dell’umanità. (4) 

Era necessario arieggiare la stanza per imbattersi nella parola “amore” in una discussione interna alla comunità degli illusionisti.

Per una fatale sincronicità, qualche giorno dopo ho ritrovato l’espressione alla festa di un collettivo alpinistico; aprendo l’evento Diverso il suo rilievo, organizzato in Val di Susa dall’associazione Alpinismo Molotov, la giornalista e alpinista Simonetta Radice ha citato David Foster Wallace e l’ingrediente che – secondo lui – distingue i grandi artisti dai mediocri:

È qualcosa che ha a che fare con l’amore. Con la capacità di far parlare la parte di noi che ama, piuttosto che quella che vuole essere amata. [...] L’aspetto veramente difficile, nella scrittura, è il tentativo di evitare di essere sopraffatti dall’insicurezza, dalla vanità e dall’ego. Mostrare al lettore che sei intelligente o divertente o talentuoso o qualunque altra cosa, cercando di piacere [...] beh, questa roba non ha sufficienti calorie motivazionali per sostenerti nel lungo periodo. Devi importi la disciplina di far parlare la parte di te che ama le cose, ama ciò su cui stai lavorando. Semplicemente la parte che ama. [...] Sembra che il discrimine più grande tra la buona arte e quella così-così risieda nell’intento al cuore dell’atto artistico. (5) 


Note

1. Ellis Stanyon, Magic, Vol. I, N. 6, marzo 1901.

2. Henry Ridgely Evans , Magic, Vol. I, N. 5, febbraio 1901.

3. Ibidem.

4. qui e qui.

5. Larry McCaffery, “A Conversation with David Foster Wallace”, The Review of Contemporary Fiction, Summer 1993, Vol. 13.2.

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