C’è qualcosa di profondamente malinconico nel leggere il Testamento di Jérôme Sharp (1786). Non è solo un manuale di illusionismo, né un semplice trattato sulla percezione e l’inganno. È una soglia aperta su un mondo perduto, un’epoca in cui la meraviglia era un’arte performativa pubblicamente celebrata e l’illusione un sapere raffinato.
Il titolo stesso non è un mero artificio letterario. L’autore Henri Decremps costruisce la finzione di un maestro illusionista che, in punto di morte, affida ai suoi eredi il segreto dei suoi trucchi. Ma questo Testamento è anche il lascito simbolico di un’epoca: quella dei ciarlatani erranti, dei prestigiatori da fiera, degli ingegni capaci di meravigliare un pubblico che il secolo dei Lumi voleva educare al disincanto, esortandolo ad abbandonare la fascinazione per l’illusione e a diffidare di ciò che non poteva essere spiegato razionalmente. Come ogni testamento, questo è materiale destinato a chi verrà dopo, a un futuro in cui le parole del passato potranno essere riscoperte e comprese con uno sguardo nuovo.
Nel secolo che ha visto il trionfo dell’Illuminismo, questo libro accende una scintilla che non è fatta di razionalità ma di meraviglia: mentre la Ragione cerca di spezzare il sortilegio della credulità, il Testamento di Jérôme Sharp ne fa spettacolo e ne ricava un’esperienza estetica che sfida le censure degli intellettuali più intransigenti. Più che un’opera di smascheramento, è un gesto di reincanto: laddove la scienza vuole dissipare l’ombra del mistero, Decremps la custodisce, restituendoci un Settecento che non è solo razionalismo e metodo, ma anche ingegno, illusione e sconcerto.
Decremps non si limita a descrivere trucchi e tecniche; li incornicia in racconti vivaci, dove la narrazione non è un mero espediente stilistico, ma il cuore stesso dell’analisi. Ed è proprio grazie a questo approccio che il suo libro diventa, a distanza di secoli, un prezioso strumento per recuperare l’immaginario scenico di un’epoca in cui la magia non si limitava a essere eseguita, ma veniva raccontata, drammatizzata, trasformata in una favola plausibile.
Prendiamo il caso del mangiatore di pietre (p. 123). Chi legge oggi potrebbe sorridere all’idea di un uomo che si nutriva di rocce come parte del suo spettacolo, ma Decremps ce lo restituisce nella sua dimensione originaria: un fenomeno da baraccone, certo, ma capace di suscitare un vero senso di stupore in chi assisteva. Dietro al prodigio si cela una sofisticata strategia di inganno fisiologico e chimico, che permette a questo misterioso personaggio di apparire sovrumano. Non era soltanto un uomo che fingeva di mangiare pietre: era un attore che incarnava l’idea stessa dell’impossibile.
Un altro caso emblematico è quello del giovane che fingeva di conoscere a memoria tutti i libri (p. 200). Non siamo di fronte a un semplice trucco mnemonico, ma a un’intera costruzione scenica: il pubblico viene indotto a credere che il ragazzo abbia capacità sovrumane di apprendimento, ma in realtà si tratta di un sistema ingegnoso di preordinazione delle risposte. Anche qui, non è il trucco in sé a colpirci, ma il modo in cui veniva presentato, l’equilibrio sottile tra il sapere e l’illusione, tra la realtà e la mistificazione intellettuale.
E che dire del falso esperimento di Magdeburgo con il coltello (p. 123), che riproduce l’effetto di un fenomeno scientifico senza però bisogno delle condizioni fisiche necessarie? Qui Decremps smaschera la retorica dei “professori di fisica dilettevole”, mostrando come spesso le dimostrazioni scientifiche dell’epoca fossero esse stesse spettacolari inganni, costruiti per impressionare il pubblico e non per educarlo.
Ma il valore del Testamento di Jérôme Sharp non risiede solo nella sua capacità di documentare queste performance perdute. La sua importanza sta anche nel suo sguardo critico nei confronti dell’Illuminismo: la magia del Settecento, con le sue ombre e i suoi inganni, non è solo il residuo di un’epoca di credulità, ma un sofisticato sistema di conoscenza che sfida le pretese della scienza dogmatica. Decremps, con il suo tono ironico e la sua narrazione tagliente, ci mostra che l’arte dell’inganno è più sottile di qualsiasi tentativo di smascherarla completamente. Chi fa illusionismo, lungi dall’essere un semplice truffatore, è un maestro della percezione, uno stratega dell’incertezza, qualcuno che gioca con i confini del reale per rivelarci quanto sia fragile la nostra capacità di discernere la verità.
In questo senso, leggere il Testamento di Jérôme Sharp oggi non significa solo riscoprire le tecniche di un’epoca passata, ma riavvicinarsi a una forma di pensiero che riconosce la bellezza dell’ambiguità, la potenza dell’inganno e l’arte, ormai dimenticata, di stupire con la finzione. E forse è proprio questo il suo più grande lascito: non solo un libro di magia, ma un manifesto per la difesa dell’illusione come patrimonio culturale dell’umanità.
• Venerdì 21 febbraio 2025 h. 21 Mariano Tomatis presenterà il libro (che ha tradotto insieme a Gianluca Bertuzzi) presso il Circolo Amici della Magia di Torino in via Juvarra 13.
• Leggi Henri Decremps, Testament de Jérome Sharp pour servir de complement à la magie blanche dévoilée, Parigi 1786: lo trovi nella )BmP Biblioteca magica del Popolo.
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