Mirror Climbers feat. Ippolita, 17 giugno 2017

Governance. Una storia per la Valsusa

C’era una volta una valle alpina. La valle, scavata dalla Duria e dai suoi affluenti, era percorsa da antiche vie di comunicazione, sentieri battuti nei millenni da animali selvatici e domestici, strade tracciate dagli abitanti e dagli intensi passaggi, giù verso la pianura a levante, su per i valichi a ponente. Viaggiatori, commercianti, invasori, in tanti l’avevano attraversata. Valsusa, la chiamavano. Decisioni prese altrove vollero imporre la costruzione di una linea ferroviaria detta «Alta Velocità». Si dovevano impiegare nugoli di operai, macchinari giganteschi, enormi risorse per una nuova via faraonica. C’era da traforare la già esausta montagna, abbattere alberi, colare cemento sul suolo, deviare torrenti, contaminare l’aria con sostanze ben nascoste nelle viscere della terra. Gli abitanti si opposero a quel progetto scellerato. A parole e con i fatti, scesero per le strade, bloccarono le ruspe e i camion, rallentarono in tutti i modi i lavori. Ogni nuovo governo trovava la situazione sempre più ingarbugliata, e l’opposizione sempre più diffusa. Ci furono violenze. Alcuni vennero malmenati dalla polizia e dai vigilantes; altri vennero imprigionati. L’eco delle lotte correva di valle in valle: da lontano vennero a manifestare la solidarietà con i valligiani, il comune sdegno di fronte alle ingiustizie. Non si trattava solo di opporsi a quel dissennato progetto in quella valle: a poco a poco divenne il simbolo di un’opposizione diffusa a molti progetti analoghi, accomunati dall’inutile consumo di suolo e dal disprezzo dei governi e dei grandi capitali per le comunità locali. Nella valle, le bandiere si moltiplicavano, «NO TAV», c’era scritto, basta dire sì a qualsiasi follia, a distruzioni che non creano nulla di buono, a promesse sulla pelle della nostra terra: non vogliamo questa Alta Velocità, non ci servono le vostre grandi opere, i vostri meschini intrallazzi. Ma i cantieri continuavano inesorabili…

Erano i tempi dei media di massa, TV e giornali e radio, quasi tutti a caccia di scandali, ansiosi di scontri, pronti a lucrare sulle disgrazie. Ma era il tempo anche del web sociale, della condivisione dei contenuti sulla rete di Internet. Si parlava di comunicazione dal basso e peer-to-peer, da pari a pari. Una foto sul web poteva essere più efficace di mille comunicati stampa. Senza i social, sentenziavano alcuni, non avremmo mai raggiunto il mondo intero! E giù ad alimentare profili pubblici, a ripostare e ritwittare, a cliccar mi piace. Certo, faceva un bell’effetto, veder quei numeri salire come panna montata, tante condivisioni, tanto supporto, e da così lontano a volte! Anche se poi quei numeri potevano ingannare, alla prova dei fatti, dei picchetti, dei presidi, delle manifestazioni. Ci voleva qualcosa di più user friendly, più facile da usare, e che facesse colpo. Per esempio, un’app. Capace di segnalare gli amici, e gli amici degli amici. Su una mappa. Una mappa delle bandiere NO TAV, disse qualcuno. A che serve, disse qualcun altro. Ma per dare visibilità, e per far vedere quanto è forte la community, è ovvio! risposero in coro quelli che di social media marketing se ne intendevano. Ben presto divenne una specie di gara a chi segnalava più bandierine sulla mappa. Per finanziar l’impresa, qualcuno lanciò un magnifico crowdfunding, per raccoglier denari dalla folla. A quella prima app se ne agganciarono altre, come una cascata d’informazioni che s’incastrano fra loro, grazie a delle semplici domande: quando? Dove? A che ora? Con chi? Posta una foto della bandiera. Meglio un video. Meglio un video anche della casa dove è issata. Della piazza. Delle persone che ci sono e sorridono. Taggale con nome e cognome. Consenti la registrazione delle coordinate GPS. Collega il tuo account social. Dì ai tuoi amici che l’hai caricata tu, questa foto. Esprimi il tuo pensiero, contribuisci, condividi! Certo, anche se i contributi «spontanei» erano straordinari, c’era comunque un sacco di lavoro da fare. Per esempio, s’aveva da controllare che i dati inseriti fossero tutti corretti. Per andar più rapidi, si pensò a un sistema di ricompense, perché dopotutto è bello sentirsi riconosciuti per il lavoro svolto, anche quando sembra un gioco. Chi verificava cinque bandierine, aggiungendo i metadati adeguati, otteneva un grazie!; ma si poteva arrivare a ottenere dei badge, che davano accesso ad aree riservate ai contributori DOC, fino allo status di super-contributori. I super-contributori riflettevano. Che fare di tutta quella massa di dati raccolta? Molti si registravano con nome e cognome e indirizzo personale sulle varie app, ed era possibile in ogni caso ricostruire i vari profili collegati alle diverse piattaforme social. Si dissero allora: perché non raccontare cosa succede qui, mostrandolo in diretta a tutto il mondo? I super-contributori misero molto impegno per creare un sistema automatizzato incorruttibile, all’interno e dall’esterno. Così si incoraggiavano tutti a raccontare per filo e per segno quel che facevano, e quello che facevano i loro amici e conoscenti, e le persone che gli stavano intorno, tutto per sostenere il movimento NO TAV naturalmente. Più particolari raccontavano, più accumulavano punti e crediti. Queste e molte altre azioni permettevano di entrare in speciali classifiche; i giocatori che si distinguevano potevano salire di livello, e accedere a nuovi eccitanti ricompense grazie al loro status. Qualcuno disse: ma dobbiamo lavorare per guadagnarci da vivere, non abbiamo tempo per giocare a questo gioco! Nessun problema, i super-contributori avevano la soluzione tecnologica adatta: cripto-denaro per tutti! Con un sofisticato sistema crittografico, basato su una blockchain a prova di crack, era possibile accumulare crediti sotto forma digitale, da spendersi nelle attività commerciali affiliate al programma NO TAV, nella valle ma non solo, che accettavano la nuova moneta. L’elenco delle azioni corrette veniva aggiornato in continuazione. Denunciare la cattiva azione di un vicino, per esempio, che diceva di esser contro l’Alta Velocità, ma aveva qualche parente che stava dall’altra parte, dava diritto a tre minuti di shopping in uno degli spacci bio-vegan NO TAV. Se si denunciava qualcuno che aveva passato informazioni riservate alla polizia, si ottenevano dieci minuti di shopping libero, un badge da quasi-super-contributore, e tantissimi «grazie!» registrati dal coro NO TAV... Si animarono gruppi di discussione sui metodi per salire di livello più velocemente, e per esibire le proprie imprese. I crediti soppiantarono le altre valute nella valle, almeno nei circuiti NO TAV. Ogni interazione poteva essere quantificata in base ai crediti, che si potevano acquistare e vendere: la banca gestita dalla fondazione dei super-contributori tratteneva solo una piccola percentuale su ogni singolo scambio, per reinvestirla nella lotta collettiva.

Certo, le informazioni pubblicate sulla mappa erano di dominio pubblico, anche se caricate quasi sempre su social di compagnie private, ma d’altra parte, come si poteva fare altrimenti? Il sistema funzionava a meraviglia, su questo erano tutti d’accordo. A parte certi strani personaggi, che si facevano chiamare hacker: all’inizio dell’avventura social, avevano proposto dei corsi di formazione, per costruire dei sistemi di comunicazione gestiti dagli abitanti della valle, per tenere lì i dati, dicevano. Ma non si capiva un’acca di quel che facevano, aprivano il loro computer e puf!, funzionava tutto, ma solo finché erano in zona. Senza di loro, era un disastro. I valligiani volevano cose semplici, altroché hacker! C’erano poi i soliti guastafeste (si mormorava che fossero primitivisti, contrari al Progresso), i quali sostenevano che questo sistema era l’ideale anche per i governi, le aziende e le polizie. Era un sistema automatico, che riempiva ogni spazio e dava senso a ogni attività nella valle: l’ideale per chi desiderava imporre il suo dominio, senza nemmeno darlo a vedere. Ma per fortuna nessuno diede loro retta: la trasparenza era la soluzione, tutto era lì a portata di mano, tutto era esplicito, non c’era nulla da interpretare, soppesare, valutare: ogni dettaglio funzionava in maniera automatica! Comuni e consorzi di comuni vennero sciolti. Al suo posto si insediò la governance tecnica dei super-contributori, un’organizzazione gestita nel più gran segreto, perché si era pur sempre in lotta, con grande risparmio di tempo, denaro ed energie. La valle divenne un modello per le comunità insorte nel mondo intero. Venivano da lontano a studiarne il miracolo. Erano tutti concordi sulla caratteristica più notevole del sistema, vera realizzazione del paradiso in terra: non c’era più bisogno di pensare per scegliere, un magnifico sistema di notifiche informava tutti i giocatori delle prossime mosse da effettuare per guadagnare una reputazione certificata NO TAV. Le rare voci dissidenti sostenevano che i giocatori agivano come macchine programmate in maniera automatica, non erano più degli oppositori con un proprio pensiero, ma degli automi; ma come confessò un cittadino inizialmente scettico, finalmente si sentiva davvero libero, per la prima volta nella sua vita. Nessuno voleva tornare in preda al dubbio, all’incertezza e alla fatica di scegliere. E tutti vivevano addestrati e contenti.

Schermata realizzata con c64.superdefault.com

Parte Seconda – Il turista francese

Jean-François Jubelot aveva scoperto da poco la Val Susa e si era innamorato. Adorava sciare: gli impianti di risalita sul versante italiano erano meno affollati e meno cari. Gli piaceva anche camminare per i sentieri, nella bella stagione. E ristorarsi nei rifugi, ma anche abbuffarsi delle specialità locali. Certo, senza il sistema di notifiche sarebbe stato perso. C’erano talmente tante possibilità, sarebbe stato impossibile scegliere! E invece, l’app ValSusa4U era miracolosa. Gli proponeva itinerari perfetti per lui. Un giorno quasi per caso aveva fatto click su «Ciao JFJ, vuoi ricevere informazioni aggiornate sulla ValSusa?», e gli si era spalancato un mondo di scelte illimitate. L’app lo teneva informato sugli eventi culturali, ma gli aveva fatto anche riscoprire passioni sportive, si sentiva ringiovanito di vent’anni, e con tutte quelle attrazioni organizzate fin nei minimi dettagli! E che dire poi del canyoning? Del boulder? Dello sky running? L’assistente vocale dell’app lo guidava, e non solo come navigatore quando veniva in auto. Gli acquistava i biglietti per gli spostamenti, gli prenotava i ristoranti, e arrivava a proporgli i menù adatti a lui. La selvaggina, che delizia! E tutto questo per pochi euro, un’inezia. Bastava dare accesso ai propri profili social, e si occupava di tutto lei. Quanti pensieri in meno! E gli abitanti, pareva facessero a gara per metterlo a suo agio. Una valle pacifica, senza contrasti, senza tensioni! Aveva sentito dire che presto i collegamenti sarebbero stati ancora più rapidi. Magnifico! Certo, un po’ c’era da temere l’affollamento. Ma la versione premium di ValSusa4U prometteva «un’esperienza immersiva a 360°, su misura per te». Si era registrato per la beta, c’era la funzionalità «anima gemella – operatore 663», e JF non vedeva l’ora di provarla. S’immaginava un bell’omaccione nerboruto, come piacevano a lui, e visto che incrociava i dati delle altre app, avrebbe funzionato alla grande, scegliendo per lui gli esemplari migliori.

Parte terza. Il Musiné.

E così, ognuno viveva felice e tranquillo nel suo mondo. Un mondo privato, anche quando condiviso con altri, continuamente creato su misura in maniera automatica dalle rispettive app. Nessuna frizione, nessun conflitto, reciproca ignoranza beata. «Una serata per te, a Torino!», cicalò l’operatore 663, con voce complice. JF era alloggiato nella bassa valle, il percorso era semplicissimo, bastava che si lasciasse guidare come d’abitudine. Una spruzzata di ferormoni (non si sa mai…), e via. All’improvviso lo schermo si spense. Fine carica, e non aveva nemmeno un power bank d’emergenza! Maledizione. Scoraggiato, alzò gli occhi. E la vide.

Una montagna più bassa di quelle che piacevano a lui. Spelacchiata, di certo arida, isolata dalle altre come fosse la sorella storpia. Gli ultimi raggi obliqui rendevano ancora più biancheggiante l’enorme scritta che campeggiava a mezza altezza, TAV = MAFIE!

TAV? Mafie? Ma che succedeva?

Gli hacker della realtà non avevano perso tempo e avevano punteggiato le montagne di scritte analoghe. Le lavagne della valle, le chiamavano. Quella era stata la prima, il monte Musiné, luogo esoterico di miti, UFO e storie magiche. Bastava una piccola falla nel sistema, un calo d’elettricità, e nonostante tutta la realtà aumentata e appositamente gamificata, le scritte si levavano forte e chiaro, al di là degli strumenti tecnologici, senza possibilità d’equivoci. Ci provavano sempre, a deturparle, ma squadre si avviavano su per le montagne a ripristinare, a riscrivere, perché si vedesse da lontano.

Parole, parole parole…

Alzare gli occhi. Metterci sopra le mani...

Ispirazioni

Ippolita, un po’ tutto ma in particolare Anime Elettriche e Lessico della Rete.

Mariano Tomatis, Camminata spirituale sul M.te Musiné, 2014.

Agnese Trocchi, 69 storie di puro piacere, 2012.

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