Wu Ming 1

La spiritualità, il confitto, il fuoco Note sparse per un’ascensione al Musinè

Insomma: io dico che bisogna evocare il soffio dello spirito per disordinare il mondo. Voi direte: ma il mondo è già abbastanza disordinato, non c’è bisogno di ulteriore disordine. No, rispondo io, perché l’attuale disordine è conseguenza dell’ordine che ci opprime, non è un disordine spontaneo. È un ordine che dall’alto provoca questo disordine. Noi abbiamo bisogno di disordinare il mondo dal basso.

Questa esortazione di Mario Tronti è tratta da un suo intervento sulla spiritualità, Lo spirito che disordina il mondo (2006).

Per «spiritualità» Tronti intende un mondo interiore «più vasto del mondo esterno», un mondo «tendenzialmente infinito» e «indefinito», nel senso di «non misurabile, non calcolabile, non sottoponibile alla ragione strumentale», quindi «non traducibile in numeri, in leggi, in codici».

Tronti precisa che per lui questo mondo interiore non ha nulla a che fare con il benessere interiore, al contrario, egli trova in questa dimensione dell’essere

una forte e profonda carica antagonistica nei confronti dell’attuale organizzazione della vita e confesso che a volte mi sembra questa l’ultima e definitiva frontiera della resistenza nei confronti dell’aggressione proveniente dal mondo esterno [...] Stare in pace con sé, oggi, vuol dire entrare in guerra con il mondo.

Quando mi è stato proposto di condurre una «camminata spirituale», è a questa concezione di spiritualità che mi sono subito rifatto: la spiritualità come intima risorsa di resistenza all’aggressione della ragione strumentale. «Ragione strumentale», da Dialettica dell’illuminismo in avanti, è uno dei nomi, o nomignoli, del capitalismo. In un mondo dove tutto è incessantemente sminuzzato in serie numeriche, incasellato in statistiche e percentuali, «spiritualità» è ciò che non viene addomesticato dal numerico, che non diventa codice, che permane e persiste prima e oltre le leggi.

Questa concezione di spiritualità ha il grande vantaggio di poter essere condivisa indipendentemente dal rapporto con la sfera religiosa. Può mettere d’accordo il credente (ma non qualunque credente) e l’ateo come me (ma non qualunque ateo).

Una camminata spirituale, in quest’ottica, deve portare il viandante in luoghi dove il mondo interiore «vasto e infinito» dell’umano si è difeso dalle aggressioni della ragione strumentale, e a volte ha contrattaccato, disordinando il mondo esterno dal basso. Luoghi informati – nel senso di «messi in forma» – da tali difese e contrattacchi. Quando penso alla Val di Susa, io penso a questo disordine benefico, a questa resistenza – anzi, a più resistenze su più livelli. Se «spiritualità» è quel che intende Tronti, in Val di Susa se ne trovano molte espressioni. Quando penso alla Val di Susa, penso anche al Monte Musinè, dove l’immaginazione umana ha trovato e continua a trovare apoteosi.

Come tanti monti grandi e meno grandi, famosi o famigerati, il Musinè è una «metamontagna», ovvero è il racconto di una montagna. Ma si cercherebbe invano, in giro per il mondo, un racconto altrettanto complesso e strano. Il Musinè non è i dati oggettivi (geografici, altimetrici, geologici ecc.) che si possono raccogliere sul suo conto. Il Musinè è il vortice di storie, leggende, panzane, ossessioni, visioni, suggestioni e sogni a occhi aperti che lo circondano. Anomalie del campo magnetico, scritte misteriose, messaggi che arrivano direttamente dalla preistoria, re Erode mandato in esilio sulla montagna, animali che avvertono invisibili presenze, aquile che attaccano alianti (è successo nel 1978), persone che scompaiono e vengono ritrovate con inspiegabili vuoti di memoria (sempre nel 1978), persone che impazziscono a furia di pensare a tutto questo e ambulano sui treni che percorrono la Val di Susa parlando in walkie-talkie spenti, e poi atterraggi di dischi volanti, fulmini globulari, carri di fuoco, fuochi nelle coppelle neolitiche a tracciare corrispondenze tra terra e firmamento, fuochi fatui...

E in generale fuoco, tanto fuoco. Consultando a grandi falcate l’archivio storico on line de La Stampa, ho trovato notizie di grandi incendi nel 1961, nel 1962, nel 1965, nel 1985 e nel 1986. «Fuoco» anche nel senso metaforico di sparatoria: nel 1973 la popolazione locale si oppose alla costruzione di un poligono di tiro militare. Quest’ultima circostanza mi permette di chiudere il cerchio, facendo notare che il Musinè è un luogo di confitto: non intendo solo il confitto tra senno e delirio, tra ragione e sragione, tra fantasia e realtà, o – se si vuole – tra scienza e pseudoscienza. Intendo proprio il confitto sociale. Un fianco del Musinè è diventato «la lavagna della Val di Susa», perché da anni vi campeggia la gigantesca scritta bianca «TAV = MAFIE», realizzata con grandi teli fermati da sassi. Vi campeggia tra tentativi di rimozione e immediati ripristini, e questa «guerriglia segnica» è proprio una storia da Musinè.

Ancora, per l’ultima volta, Tronti (sottolineature mie):

Dunque, perché parlare di spiritualità? Userò delle frasi nette. Mi scuso con voi, ma siccome adesso si parla in genere senza dire niente, io uso il criterio opposto, cioè scelgo delle frasi che dicano il massimo che si possa dire. E allora, perché la spiritualità? Perché il capitalismo ha fatto il deserto all’interno dell’uomo. Perché il capitalismo ha reciso le radici dell’anima all’interno della persona, e questo è un grande motivo culturale di lotta al capitalismo. Culturale: perché ci sono anche altri motivi di lotta, anche più seri e più fondati. Ma questo è un motivo di lotta che non vedo essere sollevato con efficacia da nessuna delle poche forze anticapitalistiche rimaste.

Di tutti i modi – più o meno efficaci – di sollevarlo, una camminata sul Musinè non è certo il più prevedibile.

E quindi andiamo.

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