Se l’intellettuale non è più capace di leggere la realtà
Loredana Lipperini
Cose preziose Lo scollamento dalle persone comuni si accentua.
E comprendere l’altro diventa sempre più difficile.
Nei giorni in cui i vecchi si sono commossi e i giovani si sono appassionati al film “La grande ambizione” che racconta Enrico Berlinguer, non si vuole guastare la festa a nessuno evocando una famosa vignetta di Giorgio Forattini, concepita in un dicembre lontanissimo (quello del 1977). C’era stata una grande manifestazione, allora, di operai e sindacati e non solo: erano esasperati dalla cosiddetta austerità e dai sacrifici richiesti, e chiedevano una svolta nella politica economica. Forattini rappresentò un Berlinguer in vestaglia e pantofole, capelli ben pettinati, una copia dell’Unità aperta, mentre dal tavolinetto sotto il ritratto di Marx unateiera assicurava tè dolce e ben zuccherato. Ma Berlinguer sì volta verso la finestra, da dove giunge evidentemente l’eco della manifestazione, con espressione perplessa. Ora, è sempre avvenuto e sempre avverrà: c’è un momento nella storia di ogni movimento, che sia politico o intellettuale, in cui i leader diverranno noti, saranno sempre più presenti in televisione (o, oggi, sui social). Diciamo pure che molti condurranno una vita più agiata di prima. E in quel momento verranno accusati di disinteressarsi dei problemi delle persone comuni, di non comprendere la loro disperazione e la loro rabbia. Sempre in quel momento, ci saranno altri che ne approfitteranno, accusando quei leader e quella parte politica e quegli intellettuali di aver tradito e di non vedere l'infelicità del Paese: in molti casi, li sostituiranno, e si ricomincerà da capo. Nel gennaio di questo anno che si va concludendo, Giorgia Meloni disse: «Se non sei disponibile a lavorare non puoi pretendere di essere mantenuto con i soldi di chi lavora ogni giorno.» E mese dopo mese diveniva chiaro che con lo smantellamento del reddito di cittadinanza la povertà assoluta era in crescita. Nulla di nuovo. Però viene da chiedersi quanto sia aumentato lo scollamento non solo fra i politici e le persone comuni, quelle che lottano contro l’aumento dei beni di prima necessità e con la mancanza di lavoro, ma fra gli intellettuali e quelle stesse persone comuni. Annie Ernaux, nel suo discorso di accettazione del Nobel nel 2022, disse che scriveva per vendicare la sua razza. Dieci anni fa, la poetessa Nathalie Quintane marcava quella lontananza con questi versi:
Non c’e in corso nessuna discussione con i poveri.
I poveri vivono nei loro angoletti, nelle loro periferie,
nelle zone rurali più sperdute,
dove solo corvi arrivano a portare i rifornimenti.
Io invece me ne sto qua sul mio computer a battere tasti.
Questa consapevolezza, salvo rare eccezioni, sembra essere assente dai discorsi intellettuali di casa nostra: e spesso ci si sbigottisce davanti alla rabbia e al dolore degli altri, pensando più al buon uso delle parole che alla sostanza. Sarebbe qualcosa da cambiare, e presto, nel 2025 che si affaccia. Per questo, la cosa preziosa di oggi è Il mio libro di magia di Mariano Tomatis, che esce per Tlon. Già, un libro di magia. Perché esiste un modo politico, e persino anti-fascista, per praticare la nobile arte dell’ilusionismo. Laddove, fin qui, la magia viene riassunta nella frase di Jerry Seinfeld «Ecco una moneta, ora è sparita. Sei uno sfigato. Eccola riapparsa. Sei un idiota. Lo show è finito». Ma si può fare di meglio: al centro non mettere più il mago ma chi partecipa allo spettacolo. Tutto con gentilezza: la chiave, dice Tomatis, per fare la rivoluzione. Buon anno. (1)