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«The Prestige»

Note sparse per una decifrazione del film di Christopher Nolan

2.Trucco, illusione, realtà

Il film si apre con un gioco di prestigio: Michael Caine, nei panni dell'assistente Cutter, fa sparire un canarino di fronte agli occhi di una bambina.


Michael Caine nelle vesti di Cutter, l'assistente di Angier.

Un altro film ha una simile scena d'apertura: si tratta di F for Fake di Orson Welles (1973), una delle più straordinarie, sgangherate e geniali escursioni cinematografiche sul tema del falso e dell'illusione nel mondo dell'arte, del cinema e della magia.

Siamo in una stazione: Orson Welles presenta ad un bambino la sparizione di una moneta, che tra le sue mani si trasforma in una chiave. "Una volta facevo il prestigiatore di professione", ricorda Welles - protagonista e regista. Per poi suggerire che la chiave stessa appena comparsa e poi scomparsa possa simbolicamente riferirsi ad un messaggio nascosto nel corso del film.


Locandina di F for Fake (1973) e due fotogrammi dalla prima sequenza.

Le bizzarrie, i salti logici e i cambi continui di registro del film di Welles ne fanno un'opera molto più complessa rispetto a The prestige, ma i due film si pongono lo stesso obbiettivo: usare l'illusionismo per parlare di illusionismo, e farlo all'interno di un film che - a sua volta, come la pipa di Magritte - per definizione non rappresenta la realtà (ma F for Fake complicherà ulteriormente lo scenario presentandosi, a tratti, come un serio e rigoroso documentario).

Come scrive Massimo Betti(1) a proposito del film:

Fin dalla sequenza d'apertura si riscontrano quelle che potremmo definire due diverse modalità della finzione: l'una basata sulla recitazione, l'altra sul montaggio. [...] Questo procedimento dialettico fa agire tra loro recitazione e montaggio come realtà e finzione: il mago Welles in carne ed ossa che ci mostra un trucco finto per sorprenderci. L'esito è una forma di illusionismo cinematografico reso possibile dall'agire congiunto del montaggio in funzione della figura attoriale dell'autore in scena. A ben vedere questo è l'imbroglio che sta alla base di tutto il film: perché Welles non è affatto seduto in carne ed ossa dinnanzi a noi e tanto meno le immagini di Elmyr de Hory che ci mostra alla moviola sono reali (perché soggette all'affabulazione del montaggio). Tutto ciò non è una scoperta: il cinema è una finzione, è tautologico, ma Welles vuole ricordarcelo e astutamente lo fa mostrandoci quanto credibile questa finzione possa essere, dal momento che possiamo confonderla con la realtà.

E ancora:

F for Fake nelle intenzioni di Welles è evidentemente un gioco di prestigio, un divertissement col quale sorprendere lo spettatore per catturare l'attenzione su un mistero irrisolto perché irrisolvibile: l'arte. Egli suggerisce, in una prospettiva estetica, come tutta la sua opera possa essere considerata un colpo di mano, la trovata di un mago, il numero di un illusionista o più precisamente di "un attore che recita la parte del mago". Questa definizione di mago, quale egli si presenta nella prima sequenza del film, è di Robert Houdin, considerato (non solo da Orson Welles) come il più grande illusionista di tutti i tempi: "Un mago è un attore che recita la parte del mago" è come dire che non esistono maghi, ma solo attori, che la magia è un'illusione o meglio, più estesamente, una finzione.

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(1) Massimo Betti, "F for Fake: aneddotica e fascino del racconto nell'ultimo film di Orson Welles", Tesi di Laurea, Anno accademico 2000/2001.

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