Mentre fuori infuria la guerra e il mondo si organizza attorno alla morte, Clementina sceglie un altro fronte, non meno radicale ma improntato alla vita: quello dell’educazione.

Nel romanzo d’esordio di Giuliana Salvi Clementina (Einaudi 2025), la battaglia non è tra eserciti, ma tra un dolore trattenuto e l’urgenza di trasformarlo in azione quotidiana.

Vedova “tutta gesti”, Clementina fatica a dare voce alla propria interiorità (“Versare lacrime di gioia non era accettabile perché le lacrime del dolore erano uscite dagli stessi occhi”, p. 282). Così apre, nella propria casa, una scuola informale. E insegnando, cuce relazioni, traiettorie, apprendimenti (“Il cucito somiglia alla vita, tiene assieme le cose […] solo chi ha iniziato una cucitura sa qual è il punto di apertura e quello di chiusura”, p. 174).

Così fa anche l’autrice, che ricuce la memoria della propria bisnonna con una scrittura capace di restituirne lo stile, misurato ma densissimo di risonanze affettive. Le pagine dedicate alle lezioni su Omero e Manzoni sono un piccolo trattato di pedagogia non impositiva, che valorizza le doti individuali e permette a ciascun? di confrontarsi in modo complesso e non subordinato con i grandi classici del pensiero.

Ai miei occhi del cuore, tra le piccole protagoniste spicca Marga – figura fiera e maledetta, osservata da Clementina con attrazione inquieta, come uno specchio oscuro di ciò che lei stessa sarebbe potuta diventare, se fosse nata in condizioni più sfavorevoli.

Abbiamo bisogno di romanzi come questo, capaci di proporre la pratica della cura come risposta radicale alla cultura bellica, senza edulcorare fallimenti, grovigli e naufragi; specchi non del tutto limpidi, in cui riconoscere i limiti e le potenzialità dei nostri goffi e ostinati tentativi di far fronte alle passioni tristi.

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