Abbiamo tutte nel cuore la colata di vernice rosa che l’8 marzo 2019 ha ricoperto la statua di Indro Montanelli nel giardino milanese a lui intitolato: rivendicando l’intervento, il collettivo Non una di meno aveva dichiarato non trattarsi di

un atto di vandalismo, ma una doverosa azione di riscatto.

L’azione si ripete da anni e per mano di gruppi diversi (l’anno prima erano state Le Indecorose, l’anno dopo la Rete Studenti Milano e il Laboratorio universitario Metropolitano) perché in gioco c’è la possibilità di incrinare le storie (e i loro monumenti) imposte dall’alto, rimettendo in circolo vicende dimenticate e rimosse – nello specifico, il matrimonio e l’abuso, da parte di Montanelli, di una bimba di 12 anni, un evento sempre rivendicato dal giornalista.

Davanti a tale (deflagrante) meraviglia mi interrogo da tempo sulla versione “psichica” di quella vernice rosa: fuori dall’ambito teatrale, può il mentalismo alterare l’immaginario evocato da un monumento per farne sprigionare storie devianti, capaci di riportare i riflettori su violenze e soprusi nascosti nelle pieghe del quotidiano?

L’occasione di provarci me l’hanno data gli Incantamenta Romana, collana editoriale che curo da un anno dedicata alle meraviglie della città di Roma: un dedalo di incantagioni e suggestioni mentalistiche, nell’ottica di una deriva sulle tracce di storie dimenticate e sconcertanti.

Centro di gravità dell’operazione è stato X di Valentina Mira, libro dell’anno nella mia personale classifica (insieme a La trama alternativa di Giusi Palomba, che ne condivide le tematiche). Incapace di scriverne una recensione, l’ho presa alla larga traendo spunto da un cimitero romano ormai scomparso: un luogo dove il Giorno dei Morti andavano in scena lugubri necromanzie illusionistiche. Come insegna la letteratura gotica, i trucchi vanno maneggiati con cautela o la magia si manifesta davvero.

A Roma, fingere di evocare i morti aprì una breccia tra il nostro mondo e l’aldilà, e il 2 giugno 1897 un’anima in pena ne approfittò per apparire (e imprimersi) sulla parete di una chiesa. Oggi quell’immagine sofferente è nascosta dietro un pannello a chiave, mimetizzato sotto un’icona religiosa: solo chi sa come trovarlo può scoprirne i tratti sottilmente diabolici. Intorno a quel miracolo è sorto il minuscolo Museo delle Anime del Purgatorio: una collezione di impronte di fuoco, impresse dagli spiriti di ogni epoca a conferma dell’esistenza dell’aldilà cristiano.

Al cospetto di quelle stigmate, i brividi più intensi non derivano dalle oblique implicazioni ultraterrene: a sconcertare è la cornice ideologica imposta ai marchi infuocati dal fondatore del Museo, don Victor Jouët. Indicate alle fedeli come severo monito celeste, da oltre un secolo le mani di fuoco invitano alla remissività e alla cancellazione di sé; consultando la rivista ufficiale dell’istituzione museale, Francesca Romana Koch vi ha trovato un continuo ed esplicito invito all’annientamento:

La donna è ritenuta veramente religiosa solo quando si carica di un’operazione di cancellazione di se stessa, dei propri affetti, della propria salute [...] attraverso tentativi estenuanti di sostituzione del reale con l’immaginario; o quando la morte, o la malattia, le permettono di sperimentare i limiti della propria condizione personale e terrena, ma anche di superarli in una più radicale apertura sull’aldilà. (1) 

È in piena continuità con questa censura che, nel giugno 2017, Papa Francesco ha fatto installare sulla porta del proprio appartamento la scritta “Vietato lamentarsi”.

Intitolando il suo libro alla stigmate che porta impressa sulla mano, Valentina Mira apre alla possibilità di visitare il Museo delle Anime del Purgatorio con occhi nuovi, allenandosi a scorgere – dietro ustioni e ferite – storie tabù che non trovano ospitalità sulla guida ufficiale dell’istituzione cattolica. E se al cuore del mentalismo c’è la possibilità di modificare lo stato affettivo delle persone attraverso l’uso del linguaggio, il compito di chi lo pratica è di individuare un intreccio di suggestioni storiche e letterarie capace di agire come la vernice rosa delle compagne milanesi.

Il museo dell’Oltretomba è un tentativo di comporre quel mosaico mettendo insieme le mani rosse delle compagne che a Puebla, in Messico, manifestano contro la violenza eteropatriarcale (2020); la mano infuocata di Inés de las Sierras, lo spettro che dal Cinquecento infesta il castello di Mataró nel racconto di Charles Nodier (1837); le impronte museali di Anna Felice Fornari, figlie di una violenza indicibile (1731); l’aperta violazione del divieto di lamentarsi con cui Valentina Mira rompe il silenzio sulla violenza patriarcale (2021).

Interferire con lo sguardo di chi visita il Museo delle Anime del Purgatorio consente di evocare scenari inediti: immagini alternative come vernici rosa shock, capaci di rimettere in circolazione significati finora rimasti nell’ombra e caratterizzati da una drammatica urgenza.

Il Museo dell’Oltretomba costa 12 euro ed è in vendita in esclusiva da Nora Books & Coffee in via delle Orfane 24/D, 10122 Torino. Per informazioni e acquisti a distanza si può contattare la libreria al numero 327 8017090 o su Facebook.


Note

1. Francesca Romana Koch, I contabili dell’aldilà, Rosenberg & Sellier, Torino 1992, p. 56.

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