Mariano Tomatis

Il Museo dell’Oltretomba

Mesmer, Torino 2023

La letteratura gotica è piena di giochi di prestigio che scappano di mano. La storica antologia Fantasmagoriana (1812) include la disavventura dell’illusionista tedesco Calzolaro. Il falso necromante aveva ridato voce a una testa di morto con un trucco, ma il teschio si era ribellato all’inganno e aveva ripreso vita.

In un cimitero adiacente alla Città del Vaticano, ripetute evocazioni illusionistiche a scopo devozionale provocarono una simile risposta da parte dei morti. La manifestazione di un viso sofferente, apparso sul muro di una chiesa, colpi così tanto un sacerdote francese da ispirargli la creazione di uno spazio museale unico al mondo: il “Museo cristiano d’Oltretomba”.

Questa è la storia di quel luogo e di quell’impronta, ancora visibili in uno degli angoli meno noti e più suggestivi di Roma.

Terzo volume della serie Incantamenta Romana, un invito a scoprire la città di Roma attraverso un dedalo di incantagioni e suggestioni mentalistiche, nell’ottica di una deriva sulle tracce di storie dimenticate e sconcertanti: la raccolta degli appunti di viaggio dell’illusionista e scrittore Mariano Tomatis.

Mariano Tomatis, Il Museo dell’Oltretomba, Mesmer, Torino 2023, 160 pp., B&N (11,5×16,5 cm).

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Il Museo dell’Oltretomba costa 12 euro ed è in vendita in esclusiva da Nora Books & Coffee in via delle Orfane 24/D, 10122 Torino. Per informazioni e acquisti a distanza si può contattare la libreria al numero 327 8017090 o su Facebook.

Abbiamo tutte nel cuore la colata di vernice rosa che l’8 marzo 2019 ha ricoperto la statua di Indro Montanelli nel giardino milanese a lui intitolato: rivendicando l’intervento, il collettivo Non una di meno aveva dichiarato non trattarsi di

un atto di vandalismo, ma una doverosa azione di riscatto.

L’azione si ripete da anni e per mano di gruppi diversi (l’anno prima erano state Le Indecorose, l’anno dopo la Rete Studenti Milano e il Laboratorio universitario Metropolitano) perché in gioco c’è la possibilità di incrinare le storie (e i loro monumenti) imposte dall’alto, rimettendo in circolo vicende dimenticate e rimosse – nello specifico, il matrimonio e l’abuso, da parte di Montanelli, di una bimba di 12 anni, un evento sempre rivendicato dal giornalista.

Davanti a tale (deflagrante) meraviglia mi interrogo da tempo sulla versione “psichica” di quella vernice rosa: fuori dall’ambito teatrale, può il mentalismo alterare l’immaginario evocato da un monumento per farne sprigionare storie devianti, capaci di riportare i riflettori su violenze e soprusi nascosti nelle pieghe del quotidiano?

L’occasione di provarci me l’hanno data gli Incantamenta Romana, collana editoriale che curo da un anno dedicata alle meraviglie della città di Roma: un dedalo di incantagioni e suggestioni mentalistiche, nell’ottica di una deriva sulle tracce di storie dimenticate e sconcertanti.

Centro di gravità dell’operazione è stato X di Valentina Mira, libro dell’anno nella mia personale classifica (insieme a La trama alternativa di Giusi Palomba, che ne condivide le tematiche). Incapace di scriverne una recensione, l’ho presa alla larga traendo spunto da un cimitero romano ormai scomparso: un luogo dove il Giorno dei Morti andavano in scena lugubri necromanzie illusionistiche. Come insegna la letteratura gotica, i trucchi vanno maneggiati con cautela o la magia si manifesta davvero.

A Roma, fingere di evocare i morti aprì una breccia tra il nostro mondo e l’aldilà, e il 2 giugno 1897 un’anima in pena ne approfittò per apparire (e imprimersi) sulla parete di una chiesa. Oggi quell’immagine sofferente è nascosta dietro un pannello a chiave, mimetizzato sotto un’icona religiosa: solo chi sa come trovarlo può scoprirne i tratti sottilmente diabolici. Intorno a quel miracolo è sorto il minuscolo Museo delle Anime del Purgatorio: una collezione di impronte di fuoco, impresse dagli spiriti di ogni epoca a conferma dell’esistenza dell’aldilà cristiano.

Al cospetto di quelle stigmate, i brividi più intensi non derivano dalle oblique implicazioni ultraterrene: a sconcertare è la cornice ideologica imposta ai marchi infuocati dal fondatore del Museo, don Victor Jouët. Indicate alle fedeli come severo monito celeste, da oltre un secolo le mani di fuoco invitano alla remissività e alla cancellazione di sé; consultando la rivista ufficiale dell’istituzione museale, Francesca Romana Koch vi ha trovato un continuo ed esplicito invito all’annientamento:

La donna è ritenuta veramente religiosa solo quando si carica di un’operazione di cancellazione di se stessa, dei propri affetti, della propria salute [...] attraverso tentativi estenuanti di sostituzione del reale con l’immaginario; o quando la morte, o la malattia, le permettono di sperimentare i limiti della propria condizione personale e terrena, ma anche di superarli in una più radicale apertura sull’aldilà. (1) 

È in piena continuità con questa censura che, nel giugno 2017, Papa Francesco ha fatto installare sulla porta del proprio appartamento la scritta “Vietato lamentarsi”.

Intitolando il suo libro alla stigmate che porta impressa sulla mano, Valentina Mira apre alla possibilità di visitare il Museo delle Anime del Purgatorio con occhi nuovi, allenandosi a scorgere – dietro ustioni e ferite – storie tabù che non trovano ospitalità sulla guida ufficiale dell’istituzione cattolica. E se al cuore del mentalismo c’è la possibilità di modificare lo stato affettivo delle persone attraverso l’uso del linguaggio, il compito di chi lo pratica è di individuare un intreccio di suggestioni storiche e letterarie capace di agire come la vernice rosa delle compagne milanesi.

Il museo dell’Oltretomba è un tentativo di comporre quel mosaico mettendo insieme le mani rosse delle compagne che a Puebla, in Messico, manifestano contro la violenza eteropatriarcale (2020); la mano infuocata di Inés de las Sierras, lo spettro che dal Cinquecento infesta il castello di Mataró nel racconto di Charles Nodier (1837); le impronte museali di Anna Felice Fornari, figlie di una violenza indicibile (1731); l’aperta violazione del divieto di lamentarsi con cui Valentina Mira rompe il silenzio sulla violenza patriarcale (2021).

Interferire con lo sguardo di chi visita il Museo delle Anime del Purgatorio consente di evocare scenari inediti: immagini alternative come vernici rosa shock, capaci di rimettere in circolazione significati finora rimasti nell’ombra e caratterizzati da una drammatica urgenza.

Un estratto

Oltre ad ammirare il Giudizio Universale di Michelangelo, chi visita Roma all’inizio dell’Ottocento può prendere parte alla sua versione live – ma forse “live” non è la parola giusta. E non solo perché lo spettacolo va in scena nel giorno dei morti.

Il 2 novembre il grande spiazzo del Cimitero del Santo Spirito viene recintato e il pubblico si assiepa intorno alle transenne di legno coperte di stoffa scura.

“Vista del cimitero di S. Spirito e della cappella del Ss. Crocifisso”, planche 261 in Paul Letarouilly, Edifices de Rome Moderne, Vol. 3, Parigi 1840.

Sul lato nord della struttura incombono i grandi bastioni di Santo Spirito: lassù ci sono i giardini di villa Barberini al Gianicolo. L’impianto geometrico del terreno desta meraviglia: dieci file di dieci lapidi coprono cento fosse a formare un quadrato perfetto.

L’eleganza cartesiana della disposizione contrasta con la scena allestita tra le tombe: al centro dello spiazzo, un angelo in volo suona la tromba dell’apocalisse; a quel segnale, i morti escono dalle fosse scostando le lapidi e aggrappandosi con le unghie al terreno. Il tutto è visibile come in un fermo immagine tridimensionale, tra pozze di sangue e cadaveri freschi.

La scena è iperreale perché l’unico elemento di finzione è la statua di cera di un angelo sostenuto da un robusto fil di ferro; il resto è drammaticamente autentico – dai corpi senza vita al sangue, sparso dappertutto a rendere lugubre la scena.

Lo spettacolo impressiona in modo particolare un pittore francese: vincitore del “premio di Roma”, dal 1° gennaio 1817 Jean Baptiste Thomas è ospite di Villa Medici a spese dell’Accademia francese. Da mesi percorre la capitale in lungo e in largo in cerca di vedute memorabili: lavora a un diario illustrato che pubblicherà qualche anno dopo, lasciando una testimonianza visiva unica della vita romana di inizio Ottocento. Un anno a Roma e dintorni (2)  raccoglie in ordine cronologico i ritratti di settantadue avvenimenti tradizionali di ciascuna stagione, dalle celebrazioni di Capodanno alla distribuzione dei regali da parte della Befana in occasione del Natale. Il 2 novembre Thomas ritrae il lugubre Giudizio Universale che va in scena a poche centinaia di metri dall’affresco della Cappella Sistina.

Eretto nel 1745 su progetto di Ferdinando Fuga, il cimitero di Santo Spirito in Saxia ha i muri interni affrescati con le quindici stazioni della Via Crucis. Il pittore descrive l’uso promiscuo del luogo, che una volta all’anno diventa un teatro a cielo aperto dove sono rappresentate scene bibliche o tratte dalle vite dei santi, quasi sempre legate al tema della morte. Spesso ad andare in scena è il martirio di una santa – ed è il verismo della rievocazione a renderla memorabile:

Per creare l’illusione, il sangue che scorre a fiumi non manca mai né le sciabole e le asce grondanti di rosso. (3) 

Quando il meteo non è favorevole, le rappresentazioni avvengono al chiuso, in una cappella dell’adiacente “chiesa della morte”. Thomas ritrae il luogo evidenziandone le decine di teschi, scheletri e ossa che ne decorano gli interni: bisogna avvicinarsi per accorgersi che quegli eleganti fregi sono frutto di un’abile disposizione di spoglie umane.

Jean Baptiste Thomas, “Cappella della Chiesa della Morte”, planche 65 in Un an a Rome et dans ses environs, Firmin Didot, Parigi 1823..

Tutto intorno, alcune persone con tuniche nere e cappuccio a punta raccolgono le offerte per le anime del Purgatorio; il pittore ne ricorda la voce lugubre con cui pronunciano le parole “per i poveri morti”.

Tra gli spettacoli offerti nella cappella, Thomas segnala la decapitazione di Giovanni Battista. È un gioco di prestigio antichissimo, rappresentato sin dal Cinquecento. In un trattato inglese sulla stregoneria Reginald Scot aveva spiegato come “tagliare la testa di una persona, metterla su un piatto ecc. che gli illusionisti chiamano anche la decapitazione di Giovanni Battista” (4) . Una nota a margine ne documentava la rappresentazione, avvenuta il 24 agosto 1582 durante la Fiera di San Bartolomeo a Londra.

Reginald Scot, The Discoverie of Witchcraft, 1584.

Thomas lascia un’impressionante testimonianza visiva del Giudizio Universale del 1813 ritraendo, al centro della scena,

un piedistallo su cui erano dipinti i dannati in mezzo alle fiamme […] sormontato da un angelo di cera che reggeva la tromba che doveva risvegliare i morti.

Jean Baptiste Thomas, “Rappresentazione di scene religiose”, planche 64 in Un an a Rome et dans ses environs, Firmin Didot, Parigi 1823.

Osservando la struttura con l’occhio dell’illusionista, mi interrogo sulla funzione del (troppo) ampio piedistallo decorato; probabilmente nascondeva una persona incaricata di soffiare in un tubo: risalendo lungo il fil di ferro che teneva sospeso l’angelo, l’aria attraversava la statua di cera, usciva dalle labbra e faceva squillare la tromba. Lo stesso risultato si sarebbe ottenuto sfruttando un mantice, azionabile tramite una pedaliera come negli organi a canne. La letteratura illusionistica del Settecento pullula di meccanismi di quel tipo, alcuni basati su sistemi di tubazioni estese per centinaia di metri: anticipando la logica della posta pneumatica, soffi d’aria controllati da remoto potevano aprire una porta, emettere suoni sinistri, chiudere a chiave uno scrigno e simulare l’alito di uno spettro. (5) 

Chi sono le persone che, uscendo dalle tombe, rispondono allo squillo che annuncia il Giorno del Giudizio? Le risposte possibili sono tre, e tutte in qualche modo precise.

1) Sono persone povere. Chi ha i soldi, dopo la morte finisce nel proprio mausoleo personale o trova ospitalità nelle cripte delle chiese. Chi è sepolto qui non ha diritto al proprio nome sulla lapide: a mezzanotte il “beccamorto” scoperchia la fossa del giorno, vi cala i cadaveri che gli hanno consegnato, li ricopre di calce viva per accelerare il processo di decomposizione e ridurre i cattivi odori, poi sigilla il tutto; il giorno dopo si sposta sulla lapide successiva e così via per cento giorni, quando è il momento di ripartire dalla prima.

Jean Baptiste Thomas, “Cimitero di Borgo Santo Spirito”, planche 53 in Un an a Rome et dans ses environs, Firmin Didot, Parigi 1823.

2) Sono persone morte ieri nell’adiacente ospedale del Santo Spirito in Saxia, un’istituzione ormai millenaria, in attività dal lontano 727. Il cimitero funge da fossa comune per chi non ha destinazioni più nobili. Morire il 1° novembre implica prendere parte a quella messa in scena – e dunque rimandare di un giorno il sonno eterno.

3) Sono le protagoniste di una rappresentazione apocalittica che illustra la cosiddetta “prima risurrezione”: il momento in cui, dopo la morte, chi è più meritevole torna in vita a regnare con Cristo per mille anni. La data dello spettacolo non è casuale: quell’anticipo teatrale di quanto avverrà alla fine dei tempi si svolge il 2 novembre, giorno in cui le anime del Purgatorio tornano per consolare chi è rimasto e per assistere alle celebrazioni a loro dedicate. Ad affacciarsi, dunque, non sono tutte le anime: quelle già ammesse in Paradiso hanno altro a cui pensare, rapite come sono dalla beatitudine celeste. Sono le persone morte da poco che hanno più bisogno di preghiere – e sono dunque più attive nella comunicazione con chi è ancora in vita: le loro anime stanno attraversando il fuoco purificatore, necessario per guadagnare l’ingresso nel Regno dei Cieli; preghiere e offerte in denaro sono un modo efficace per accelerare quel percorso.

Accanto all’angelo che suona la tromba, Thomas ritrae una cassetta per la raccolta delle elemosine con la scritta “Per le anime del Purgatorio”; negli altri giorni dell’anno, la stessa scatola si trova fuori dal cimitero, sulla strada che – passando sotto i bastioni – collega il camposanto all’ospedale.

Jean Baptiste Thomas, “Cammino del cimitero di Santo Spirito”, planche 63 in Un an a Rome et dans ses environs, Firmin Didot, Parigi 1823.

Ripercorrere quel tragitto oggi consente di rievocare nascita e declino della confraternita che organizza gli spettacoli. Un punto di partenza suggestivo è la piccola terrazza panoramica lungo la Passeggiata del Gianicolo, davanti all’Ospedale Bambino Gesù. La strada in discesa costeggia le vecchie mura che delimitano l’area della Chiesa di Sant’Onofrio e si piega una prima volta a sinistra (diventando via del Gianicolo) e poi a destra; in corrispondenza della seconda svolta, il numero 15 contrassegna un cancello secondario dell’Università Pontificia Urbaniana. Costeggiando il muro dell’edificio si raggiunge – al numero 16 – l’ingresso principale del sontuoso istituto: ai lati della doppia cancellata, l’iscrizione collegio urbano de propaganda fide è sormontata da due grandi globi crucigeri in pietra, simbolo della supremazia di Cristo sul mondo e sui poteri terreni.

Sarebbe bello imboccare l’ingresso e percorrere l’ultima parte del “cammino del cimitero di Santo Spirito”, lungo il quale si radunavano persone

mendicanti, la maggior parte zoppe, che tra i lamenti chiedono l’elemosina a chi passa, assicurando che ogni donazione porterà alla redenzione di un’anima del Purgatorio. (6) 

L’area dove sorgevano le cento lapidi oggi ospita uno degli edifici a ferro di cavallo dell’istituto religioso.

L’edificio a ferro di cavallo dell’Università che sorge sul vecchio cimitero.

A vegliare sul complesso è una statua di Papa Leone XIII. Trattandosi di un’istituzione privata, l’accesso è vietato e la frustrazione per l’impedimento è uno specchio di quella che segnò la nascita della Pia Unione della Beatissima Vergine del Santissimo Rosario per le Anime del Purgatorio.

Era la sera del 28 dicembre 1775 quando cinque abitanti del quartiere, animati da spirito devozionale, avevano trovato sbarrato l’accesso al cimitero; senza perdersi d’animo, avevano recitato le orazioni davanti al cancello, tornando nei giorni successivi e facendo pressioni perché il luogo tornasse accessibile nelle ore serali. In pochi giorni la congrega si era data un’organizzazione più stabile, fondando una confraternita; il gruppo si proponeva di accompagnare, ogni sera dopo mezzanotte, i defunti del giorno appena concluso dall’ospedale Santo Spirito all’omonimo camposanto. Se nessuno avesse svolto gratuitamente quei compiti, i corpi sarebbero stati abbandonati senza il conforto di una sepoltura dignitosa.

Grazie alla Pia Unione, uno spazio nato per celebrare la morte era diventato un luogo pieno di vita, un crocevia di preghiere, elemosine, cura dei morti e illusioni teatrali a scopo devozionale; per funzionare, la complessa macchina poteva contare sul coordinamento di un collettivo che in breve tempo aveva ottenuto tutti i riconoscimenti ecclesiastici.

Da quando l’Università Pontificia Urbaniana ha sottratto alla comunità l’ultima parte del vecchio “cammino del cimitero di Santo Spirito”, il tratto di strada si può percorrere solo con lo sguardo. La sezione ancora accessibile, la cosiddetta “rampa del Sangallo”, si trova alle nostre spalle: trattandosi di un passaggio riparato dalle alte mura dei bastioni e abbastanza nascosto, ha mantenuto la vocazione di un tempo e dà rifugio alle persone senza fissa dimora – ma le petizioni di una parte dei residenti per il suo sgombero contrastano con i gesti di solidarietà ritratti da Thomas all’inizio dell’Ottocento.

Percorrendo la rampa e svoltando a sinistra si attraversa la spettacolare Porta Santo Spirito, fino a raggiungere la chiesa di Santo Spirito in Saxia: il tratto di strada dai cancelli del Collegio Urbano fino all’antico edificio religioso ripercorre controcorrente il breve pellegrinaggio che aveva segnato la nascita della Pia Unione. Alle dieci di quella sera d’inverno, i cinque abitanti del rione si erano dati appuntamento davanti alla chiesa con l’intenzione di compiere qualche atto di misericordia. Incerti su cosa fare esattamente, avevano tirato a sorte un nome – e la persona indicata aveva deciso per tutti: recitiamo il rosario per le anime del Purgatorio, dirigendoci verso il camposanto sotto i bastioni. L’incidente dei cancelli chiusi non aveva frenato l’impulso devozionale: entro pochi mesi il gruppo si sarebbe organizzato in pianta stabile, dato regole e statuti e intitolato alla Vergine del Rosario; la statua della Madonna veniva portata in processione durante l’ottavario dei morti, una serie di pratiche di pietà che si protraeva per otto giorni a partire dal 2 novembre e includeva i vari spettacoli devozionali.

La Pia Unione era sopravvissuta per quasi un secolo, fino a quando l’unità d’Italia aveva messo fuorilegge le inumazioni che si svolgevano nel cimitero. Per questioni di igiene pubblica, nel 1865 un decreto impose di seppellire i corpi dentro casse sigillate; ogni comune si doveva dotare di un camposanto abbastanza grande da ospitare sei volte i morti di un anno. Il cimitero del Santo Spirito venne abbandonato e, trascorsi i dieci anni imposti dalla legge, l’area tornò edificabile.

In rosso: l’area del cimitero del Santo Spirito oggi e nel 1748 (Mappa di Roma di Giovan Battista Nolli, particolare).

Come le altre Opere Pie, anche quella intitolata alle Anime del Purgatorio finì sotto la lente del Governo: l’associazione dava nell’occhio perché era cresciuta dal punto di vista patrimoniale (aveva un bilancio annuale sempre in attivo) ma la chiusura del cimitero ne aveva messa in discussione la missione. Nel 1874 il Consiglio Comunale di Roma decise di scioglierla, facendo confluire gli utili in un organismo statale con scopi di welfare – la Congregazione di Carità.

Private di chi si prendeva cura di loro, le anime del Purgatorio non impiegheranno molto a tornare al centro dell’attenzione pubblica. (Continua sul libro cartaceo)

Note

1. Francesca Romana Koch, I contabili dell’aldilà, Rosenberg & Sellier, Torino 1992, p. 56.
2. Jean Baptiste Thomas, Un an a Rome et dans ses environs, Firmin Didot, Parigi 1823.
3. Thomas 1823, p. 41.
4. Reginald Scot, The Discoverie of Witchcraft, 1584, pp. 349-50.
5. Henri Decremps, Explication du Tour extraordinaire décrit dans la Section iii, Chap. xxv de la Magie Blanche dévoilée, donnée à M. Hill par M. Van-Estin, Parigi 1784 (ora in La magia bianca svelata, Torino 2023, pp. 91-100).
6. Thomas 1823, p. 41.

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