Ho conosciuto Kavita Parmar a Milano, durante il TEDxNavigli che ho contribuito a organizzare nel marzo 2013. La fashion designer indiana ha dato vita al progetto IOU, una start-up spagnola il cui acronimo suona come I Owe You – “lo devo a te”.

L’azienda di Kavita vende abiti realizzati in India, ma ogni capo acquistato presso di lei ha qualcosa in più rispetto a quelli comprati altrove. Nella società contemporanea, nessuno conosce la storia dei vestiti che indossa – chi li ha progettati, tessuti, assemblati… Eppure dietro ciascun capo c’è una lunga catena di individui che ha contribuito a crearlo. Di costoro non sappiamo nulla. A chi dobbiamo la nostra maglietta preferita? Chi possiamo ringraziare per l’abito che stiamo indossando?

Acquistando un capo del progetto “lo devo a te” si accede a una sezione del sito dell’azienda dove compaiono le fotografie di chi l’ha tessuto, la storia del cotone con cui è stato realizzato, la biografia di chi ha disegnato il modello e l’ha assemblato. E se lo si desidera, si può completare la storia dell’abito con una propria foto, mentre lo si indossa.

«L’obiettivo – ha scritto Francesca Sironi su L’Espresso – è sostituire il capitalismo dell’efficienza e delle macchine, dei milioni di capi tutti uguali venduti in negozi tutti uguali in giro per il mondo, con storie uniche.» (1) 

L’idea di Kavita incoraggia un sentimento che numerosi studi di psicologia sociale (2)  hanno scoperto essere correlato con la felicità e il benessere personale: la gratitudine. La chiave del progetto IOU sta nell’opporsi all’anonimato e celebrare l’individualità di ciascun abito, portando alla luce i volti e le storie delle persone in carne e ossa cui possiamo rivolgere il nostro grazie.

Mentre i partiti politici cercano di conquistare elettori promettendo di abbassare le tasse, a nessuno viene in mente di affrontare la questione con l’approccio narrativo di Kavita. Come fa notare Alain de Botton, chi paga le tasse consegna metà delle proprie entrate allo Stato, ma il tutto avviene tramite l’anonima intermediazione del sistema fiscale:

Di rado pensiamo ai membri meno fortunati della società ai quali le nostre tasse comprano lenzuola pulite o forniscono cibo, rifugio o la dose quotidiana di insulina. Né il donatore né il beneficiario sentono il bisogno di dire «grazie» o «prego». (3) 

Sulla scia di Kavita Parmar, sogno uno Stato che metta a disposizione, per ogni servizio offerto, nomi e fotografie dei benefattori che – semplicemente pagando le imposte – lo rendono possibile. Oltre a impiegare moltissimi scrittori, la condivisione di un così grande numero di storie incoraggerebbe un’ottica completamente nuova, e ci aiuterebbe a percepire ogni tassa

come la linfa vitale di un intricato groviglio di relazioni interdipendenti, con benefici spirituali per chi dona e benefici pratici per chi riceve. (4) 

Seguirebbe una riabilitazione del vituperato Tommaso Padoa-Schioppa, la cui esortazione – secondo cui «dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima» (5)  – sollevò tanto ingiustificato clamore.


Note

1. Francesca Sironi, “Passione artigiana”, L’Espresso, 30.05.2013, p. 136.

2. Per esempio Philip C. Watkins et al., “Gratitude and happiness: development of a measure of gratitude, and relationships with subjective well-being”, Social Behavior and Personality: an international journal, Vol. 31, N. 5, 2003, pp. 431-451.

3. Alain de Botton, Del buon uso della religione, Guanda, Parma 2011, p. 22 (traduzione di Ada Arduini).

4. Ibidem.

5. Tommaso Padoa-Schioppa, “In mezz’ora”, Rai 3, 6.10.2007.

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