Quando riesce a essere davvero avvincente, l’istruzione è un’arte teatrale. Dal momento in cui entra in classe, è l’insegnante a trasmettere agli studenti toni e modalità del corso di studio, rivolgendosi nello stesso momento ai più entusiasti e ai più apatici. Anche gli insegnanti che si sono allontanati dalle lezioni tradizionali, optando per un approccio che incoraggia l’autonomia dello studente o per progetti di insegnamento peer-to-peer, hanno ancora bisogno di coinvolgere gli studenti nel processo di apprendimento, agendo come tramite in carne e ossa tra chi impara e gli argomenti studiati.

Raramente, però, agli insegnanti sono forniti strumenti per migliorare le proprie prestazioni didattiche, e dato che in ogni classe americana c’è almeno uno studente annoiato, riluttante o frustrato, una buona conoscenza delle tecniche teatrali potrebbe essere, per i professori, uno dei più preziosi assi nella manica.

Sull’argomento ho intervistato Teller, la metà silenziosa del duo magico conosciuto come Penn & Teller.

Teller

Ex insegnante di latino, è la persona giusta con cui discutere del ruolo che le abilità teatrali hanno giocato nella sua esperienza didattica. Teller ha insegnato latino in un liceo per sei anni, prima di lasciare la scuola per intraprendere una carriera nel mondo dell’illusionismo insieme a Penn – una carriera che dura da quarant’anni, durante i quali la coppia ha vinto Emmy, Obies e addirittura un Writer’s Guild Award come scrittore e una stella sulla Hollywood Walk of Fame.

Discutendo di Catullo, Virgilio, Shakespeare e di teorie di didattica, mi ha spiegato perché ritiene che le capacità teatrali siano un elemento essenziale alla base di un insegnamento efficace:

Il primo obiettivo di un insegnante è di far innamorare lo studente della materia trattata. Ma non lo ottieni gesticolando con le braccia o facendo lunghe falcate su e giù per l’aula: puoi produrre quell’effetto in tanti modi, ma devi sempre tenere a mente che, nella mente degli studenti, tu sei un simbolo della materia.

In quanto simbolo, spiega Teller, l’insegnante ha il dovere di coinvolgere gli studenti e stimolare in loro un amore in grado di trasformare l’apatia in interesse; se un insegnante fa bene il suo lavoro, l’entusiasmo si trasmette spontaneamente allo studente. I migliori insegnanti, aggiunge Teller, riescono a passare i contenuti mantenendo vivo l’interesse negli studenti.

Se insieme ai contenuti non trasmetti anche lo stupore, allora stai proponendo un mero esercizio tecnico o una semplice conferenza.

I principi filosofici su cui si basa l’approccio educativo di Teller si ispirano al “ritmo educativo” del filosofo Alfred North Whitehead, una teoria secondo cui l’apprendimento si divide in tre momenti: innamoramento, precisione e generalizzazione. L’innamoramento, sostiene Teller, è la cosa da cui tutto ha inizio:

Sono alto 1m70 e in quei giorni pesavo 70 chili, quindi non ero quel tipo di persona che sarebbe potuta entrare in una stanza di ragazzi scalmanati e ottenere immediatamente la loro attenzione. Quella che ho, però, è una naturale predisposizione per la gioia. Le cose mi entusiasmano. Che è proprio ciò di cui gli insegnanti dovrebbero essere dotati: di gioia nei confronti della propria materia e del suo funzionamento. E’ questo che cattura gli studenti.

Penn & Teller

Quando ha iniziato a lavorare presso la Lawrence High School di Lawrenceville (New Jersey), per incoraggiare quella condizione di innamoramento Teller ha abbandonato i libri di testo tradizionali e ne ha creato uno con le proprie mani.

Ho iniziato a insegnare latino con un testo da me creato e illustrato, che ho intitolato Liber Linguae Latinae Pictoris Ornatus (“Libro illustrato di lingua latina”).

Divorata da una bruciante curiosità, ho fatto del mio meglio per nasconderla, rispondendo che mi sarebbe davvero piaciuto vederne alcune pagine – se per caso ne aveva ancora una copia. Ovviamente era un eufemismo: morivo letteralmente dalla voglia di vedere quei libri. Subito Teller mi ha spiegato che i libri erano finiti chissà dove, ma poche ore più tardi mi ha mandato via email la scansione di alcuni estratti.

Oltre ai suoi libri scritti a mano, ha proposto alcune letture scelte tra quelle maggiormente in grado di coinvolgere gli studenti. Ha optato, per esempio, per il secondo libro dell’Eneide (quello che racconta storia del Cavallo di Troia) e per una selezione di poesie di Catullo:

Non mi sono spinto fino al porno esplicito di pedicabo et irrumabo (1)  – una poesia molto ma molto oscena – ma ho proposto alcuni versi che mi erano piaciuti e di cui gli studenti avrebbero potuto appassionarsi: materiale venato da humour, sesso, sangue e passione – perché è questo che occupa le tue giornate quando sei un giovane liceale.

Quando un insegnante è riuscito nell’intento di far innamorare gli studenti, il resto può seguire. Di solito si bollano di ruffianeria i professori che pensano a divertire gli studenti, ma è una visione miope – spiega Teller, citando il libro di Frances Ferguson The Idea of a Theater: The Art of Drama in Changing Perspective:

Nell’arte che resta nel tempo, c’è sempre un equilibrio: un obiettivo che muove all’azione, una passione non scevra da sentimento, una percezione che è anche contenuto intellettuale. In Shakespeare, per esempio, vi è sempre un livello che è solo azione e spettacolo-per-sé; c’è sempre un livello di profonda passione e c’è sempre un livello che offre del contenuto di carattere intellettuale.

Secondo Teller ci sono materie impossibili da insegnare se si fa a meno del teatro. Insegnare Shakespeare senza che prima gli studenti ne abbiano visto dal vivo uno spettacolo è il modo migliore per uccidere qualsiasi entusiasmo per i suoi lavori: gli studenti devono guardare Shakespeare prima di leggerlo.

Insegnare Shakespeare prima di averlo visto a teatro è come dare a un bambino uno spartito musicale invitandolo ad immaginare la musica. Non potrà mai farlo! Solo Mozart ne sarebbe stato in grado...

E se Shakespeare (o Catullo o Virgilio) mettessero gli studenti a disagio? È un’ottima cosa, secondo Teller. La didattica, esattamente come la magia, deve mettere le persone a disagio: entrambe devono scoraggiare un’interazione passiva. Sviluppando l’analogia, spiega:

La magia non è qualcosa che ti coccola come una rassicurante ninna nanna. Nella magia, ciò che vedi va in conflitto con quello che sai, e quel disagio crea una sorta di energia la cui scintilla è estremamente eccitante. Il livello di partecipazione che la magia invoca mettendo a disagio è un elemento molto positivo.

Affrontando il tema del disagio, ho chiesto a Teller cosa pensi degli sforzi che fanno le scuole di tutelare la sensibilità degli studenti attraverso la censura e l’obbligo di metterli in guardia dai temi più dibattuti con numerosi caveat. Per la prima volta nel corso della nostra conversazione Teller ha sfoderato il silenzio che tanto lo ha reso famoso sul palcoscenico, guardandomi senza dire una parola.

Quando pensavo che non mi avrebbe più risposto, ha detto:

Quando esco a guardare le stelle, vivo una sensazione che non è affatto rassicurante: quello che provo è un senso di delizioso disagio all’idea che ci siano così tante cose al di fuori della mia portata; ed è una gioia riconoscere di vivere nel cuore di un gigantesco mistero, una cosa tutt’altro che rassicurante. Questo tipo di sensibilità, credo, è il più grande dono che si possa ricevere dall’educazione. (2) 


Note

1. Gaio Valerio Catullo, Carmen 16: “Ve lo ficcherò su per il culo e poi in bocca.”

2. Traduzione di Mariano Tomatis dell’articolo di Jessica Lahey, “Teaching: Just Like Performing Magic. One half of the entertainment duo Penn & Teller explains how performance and discomfort make education come alive”, The Atlantic, 21.1.2016. Grazie a Bizzarro Bazar per la segnalazione.

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