Incantamenta Romana è un invito a scoprire la città di Roma attraverso un dedalo di incantagioni e suggestioni mentalistiche, nell’ottica di una deriva sulle tracce di storie dimenticate e sconcertanti: la raccolta degli appunti di viaggio dell’illusionista e scrittore Mariano Tomatis, stilati nell’ambito del Progetto Mesmer.

Protagonisti di questa seconda puntata sono Vincenza e Vittorio Pisenti, il cui spettacolo di mentalismo presso il Teatro Valle sconcertò la città quando l’eco della Repubblica Romana era ancora viva.

Il 5 giugno 1852, quando Agostino Chigi aveva da poco compiuto ottantun anni, a Roma era arrivato uno spettacolo da non perdere. Come membro di una famiglia nobile, il cui palazzo è oggi sede del Governo italiano, il principe si era fatto riservare un posto evitando la spiacevole coda davanti al Teatro Valle. Secondo un giornale, il richiamo scatenato dai coniugi Pisenti aveva sollevato problemi di ordine pubblico: chi voleva assistere allo spettacolo doveva mettere in conto “di essere malmenato, pesto e contuso, siccome accade ogni mattina a coloro che vogliono provvedersi di un biglietto” (Il pirata 27.6.1852).

A seguito della serata, Chigi aveva annotato sul proprio diario:

[Sabato] 5 giugno [1852] – Questa sera al [Teatro] Valle un tal Pisenti ha dato un trattenimento di alcuni giuochi e forze, oltre un saggio di ventriloquia, ed un altro della così detta doppia vista in persona d’una giovane, in virtù del Magnetismo.

La giovane donna in scena si chiamava Vincenza, suo marito Vittorio; bendata e in stato di sonnambulismo magnetico, la ragazza era in grado di vedere gli oggetti attraverso gli occhi dell’uomo. Un duplice ritratto a carboncino, firmato da un tal Battistetti di Roma, mostra Vincenza con i capelli scuri raccolti a caschetto, orecchini e una gemma al centro di un corpetto elegante, mentre Vittorio ha i capelli leggermente mossi, un’ampia stempiatura, baffetti verso il basso e un triangolo di barba sul mento.

I coniugi Pisenti ritratti da Battistetti di Roma (1852), particolare.

In un secondo bozzetto, che ritrae i due durante il numero della “doppia vista”, la donna sorride, ha una benda sugli occhi e sfrega il mento con la mano sinistra; rivolto verso di lei, l’uomo stringe qualcosa nella destra e ha lo sguardo teso, intento a trasmettere telepaticamente il nome dell’oggetto.

L’esibizione della “doppia vista” era il momento clou di uno spettacolo di varietà che comprendeva arti varie. La prima parte comprendeva esercizi di giocoleria (“Giuochi Indiani di Abdolmàsà, nei quali sono adoperati Globi, Anelli, Piatti, Coltelli ed Aranci con Forchette da Tavola”), prove di forza ed equilibrismo (“Le corde verticali parallele. Unica, sorprendente ginnastica, ossia la salita e discesa agli Antipodi, ed altro nuovo esercizio al Trappeso, rappresentando il girarrosto”), un numero di ventriloquismo e un gioco di prestigio chiamato “gli anelli indiani, ossia il trastullo della catena magica”. Traggo le descrizioni dalla locandina di uno spettacolo andato in scena cinque mesi prima a Parma.

La “doppia vista” era presentata come una “sorprendente scienza d’indovinazione” messa in scena dalla signora Pisenti,

la quale con gli occhi bendati, seduta in una seggiola, si propone d’indovinare tutti gli oggetti che verranno dagli astanti consegnati al suo consorte, il quale si troverà alla distanza di 30 o 40 palmi da lei. Allorché egli profferirà soltanto la parola «Madama», essa dovrà pronunziare il nome dell’oggetto; e lo indovinerà fra quanti sono al mondo, purché abbia un nome a lei non ignoto.

Gli spettacoli di questo tipo erano spesso seguiti da due repliche con programmi leggermente diversi, per invogliare il pubblico a tornare le sere successive. In Emilia, in occasione del secondo appuntamento, alla “doppia vista” si era aggiunta la “passeggiata da sonnambula”: Vincenza Pisenti camminava per la sala pur avendo una benda sugli occhi. La novità del terzo appuntamento era stata “l’indovinazione della bevanda”. Il titolo è vago ma probabilmente il marito faceva scegliere al pubblico un sapore, poi magnetizzava un bicchiere d’acqua con quell’aroma; per dimostrare l’efficacia della magnetizzazione, la signora Pisenti indovinava il gusto bevendo l’acqua “trattata”.

Non c’erano dubbi: il numero di “doppia vista” era l’elemento più sconcertante dello spettacolo. Un mese più tardi un periodico di critica teatrale fiorentino avrebbe glissato sui

giochi contenuti nella prima parte essendoci sembrati molto noiosi e comuni. Rapporto poi alla seconda nella quale ci si è offerto un così detto gioco (?) di doppia vista, diremo che gli increduli debbono avere avuto prove novelle della potenza del magnetismo. (1) 

Secondo un altro recensore, era

sorprendente e straordinaria la precisione con cui la Signora Pisenti con gli occhi bendati vede le ore e i minuti di un oriolo in mezzo alla platea: per noi è uno dei tanti miracoli del magnetismo.

Per costui, lo spettacolo aveva il merito di occuparsi di un tema colpevolmente ignorato dalla comunità scientifica – un argomento di confine che,

non sappiamo il perché, la scienza piuttosto che studiare, lascia nelle mani dei giocolieri.

Nonostante la “doppia vista” fosse presentata in un contesto ludico,

dichiariamo fin d’ora che non possiamo spiegare questo fenomeno che con la potenza del magnetismo animale e ben di mala voglia ci rassegniamo al giudizio delle censure teatrali che lo han chiamato giuoco(2) 

Anche per Agostino Chigi il fenomeno della doppia vista avveniva “in virtù del Magnetismo” – ma da un appunto così laconico non possiamo concludere che il nobile romano aderisse del tutto all’ipotesi: in quegli anni, l’idea che il mesmerismo rendesse possibili i fenomeni paranormali (chiaroveggenza in primis) era oggetto di accese discussioni, ed è possibile che il principe avesse tagliato corto, limitandosi a riportare la spiegazione proposta in scena.

Il 18 giugno 1852 un cronista romano era stato più tranchant, definendo le

accademie di doppia vista datesi a Roma […] un semplice giuoco, un giuoco di prestigio.

Nonostante di natura ingannevole, lo spettacolo aveva avuto l’effetto di

spopolare il Teatro Argentina non solo, ma l’altro di Capranica, non che il Mausoleo di Augusto ed a chiamare una folla immensa, un concorso non più visto al solo Teatro Valle, ove da otto sere si producono i signori Pisenti suddetti.

Interni del Teatro Valle di Roma.

Il segreto di quel gioco di prestigio, secondo l’autore, stava nella cornice teorica in cui era presentato: il magnetismo animale,

una scienza enigmatica, tenebrosa, incomprensibile, […] una panacea prodigiosa, un rimedio universale che lavora ed infiamma continuamente la materia, spargendo a torrenti la salute e la vita.

Senza nominarlo (perché la parola non esisteva ancora) il giornalista tesseva le lodi del mentalismo – la branca dell’illusionismo che offusca i propri trucchi in maniera subdola, chiamando in causa spiegazioni pseudoscientifiche. Inserendosi in un dibattito scientifico in corso da decenni, il cronista prendeva le distanze dalle spiegazioni magnetiche offerte dai Pisenti:

Noi non siamo tanto balordi da non distinguere il vero dal falso, l’oro dall’orpello! Siamo i figli del secolo illuminato.

Eppure, una volta chiarito che si trattava di illusionismo, tanto valeva andare al Teatro Valle e godersi collettivamente l’esperienza dell’inganno:

A dispetto degli increduli, e degli accademici di Francia, i quali chiamano il Magnetismo animale una raffinata impostura, una scienza chimerica […] mi pongo ipso facto nel numero de’ suoi ammiratori e seguaci [e] corro domani al botteghino onde aver agio di nuovamente deliziarmi, assistendo a questo prodigioso esperimento di doppia vista. Se mi sarà concesso di essere magnetizzato dal sig. Vittorio, o meglio, dalla signora Vincenza, io potrò dirmi il più fortunato, il più felice di tutti i mortali. (3) 

Per farsi un’idea di quanto fosse convincente lo spettacolo proposto al Teatro Valle, basta spostarsi al Teatro Cocomero di Firenze, dove la coppia si esibirà di lì a un mese: dopo l’iniziale dichiarazione di fede nella chiaroveggenza di Vincenza Pisenti, i critici teatrali avevano cambiato idea, scusandosi per aver preso un granchio. Il giornale Il buon gusto aveva ammesso apertamente:

Ci lasciammo ingannare da due Giocolieri uno dei quali affidava le attitudini del Sonnambulismo Magnetico; epperò dopo le impressioni di una prima sera non tardammo a giudicare che i loro risultati non erano prodotti dal Mesmerismo, equivoco che pure molti altri con noi ebbero a prendere.

Per fare piena ammenda, la redazione aveva segnalato il titolo di un libro che svelava il trucco – La seconde vue dévoilée (1849) del francese Antoine-François Gandon...

François Antoine Gandon

La seconde vue dévoilée: Dernier coup porté aux sorciers et aux sortilèges

Paris 1849.

...e coinvolto uno studioso dell’argomento nella stesura di un vero e proprio dossier: Taddeo dei Consoni era un esperto di scritture segrete, si definiva “stenografo, criptografo e mnemonico” e credeva nei risvolti paranormali del mesmerismo.

Seguendo la lezione francese, non parlava di “doppia vista” ma di “seconda vista”, distinguendo tra quella “vera” e quella “spuria”; molti elementi gli facevano sospettare che le esibizioni dei coniugi Pisenti fossero del secondo tipo. L’autore notava che a Parigi avevano proposto esibizioni simili l’illusionista Jean Eugène Robert-Houdin insieme al figlio e il magnetizzatore Jean Marcillet con il sonnambulo Alexis Didier. Lui stesso aveva presentato esperimenti simili in Toscana, ma sempre “a proprie spese, per amor della Scienza, onde far conoscere le proprie scoperte”. (4) 

Le argomentazioni proposte dall’autore erano curiose: avendo chiare le condizioni in cui avveniva la “seconda vista vera”, trovava sospetto che Vincenza non mostrasse espressioni fisiche alterate, “non essendo né fredda, né calda, né scolorata, né barcollante”, e che “la voce che avrebbe dovuto essere debile nel sonno e nel sonnambulismo farsi sempre più esile e fioca conservavasi invece chiara e fortissima”; inoltre, l’esibizione era troppo perfetta per essere genuina: non si era mai vista “una sì gran quantità di oggetti con tanta precisione descritti”. (5) 

Anche la redazione de L’arte aveva cambiato opinione sulla doppia vista dei Pisenti, dicendosi

oggi in grado di proclamare altamente che si tratta di un semplice giuoco di cui quanto prima faremo di pubblica ragione la chiave e il gergo. (6) 

Invece di rimandare al libro francese, il giornale aveva segnalato l’uscita di un testo in italiano, edito a Firenze presso la tipografia Mariani: La chiave del giuoco di doppia vista (1852).

Pubblicità dell’edizione fiorentina del libro in L’arte, 7.8.1852.

Di lì a pochi giorni, un libro con lo stesso titolo sarebbe uscito anche a Roma. Una copia romana costava 5 baiocchi, quella fiorentina mezzo paolo.

La chiave del giuoco di doppia vista

Tito Ajani, Roma 1852.

Il 2 settembre 1852 il Giornale di Roma ne annunciava la pubblicazione presso la tipografia di Tito Ajani, notando che di tale trucco “si valevano i coniugi Pisenti al Teatro Valle”.

Pubblicità dell’edizione romana del libro in Giornale di Roma, 2.9.1852.

L’edizione romana è firmata in modo vago: nella prefazione – dovuta probabilmente al tipografo Ajani – si legge che l’esibizione di Vittorio e Vincenza Pisenti sollevò una tale “molteplicità e diversità” di opinioni che

crediamo far cosa grata il pubblicare la chiave che di questo Giuoco sono riusciti a trovare alcuni Giovani.

La formulazione è ambigua: un giovane corriere potrebbe aver acquistato una copia del libro a Firenze (e dunque aver “trovato” in vendita la chiave del Giuoco) e averla consegnata alla tipografia romana, avviando così un procedimento di ristampa (o forse di sfacciato plagio).

Volendo ripercorrere i luoghi che hanno segnato la storia dei coniugi Pisenti a Roma, un possibile tragitto parte dal Teatro Valle (oggi intitolato a Franca Valeri) e si dirige a nord verso la festosa piazza di Sant’Eustachio; voltando a destra, si supera il Pantheon e ci si dirige verso piazza di Montecitorio lungo via della Guglia. Nel 1852, la tipografia di Tito Ajani sorgeva al civico 69; oggi il civico 69/E contrassegna quella che è diventata la vetrina commerciale di uno tra i negozi di illusionismo più suggestivi d’Italia.

Aperto negli Anni Settanta da Franco Contigliozzi sotto l’insegna “Curiosità e Magia”, oggi si chiama “Eclectica” e ha l’ingresso in via in Aquiro 70, di fronte a Palazzo Montecitorio. Attraversando l’omonima piazza si raggiunge Palazzo Chigi e si completa, in senso inverso, il percorso compiuto dal principe Agostino la sera del 5 giugno 1852, quando si recò allo spettacolo di chiaroveggenza che avrebbe incantato Roma.


Note

1. Il buon gusto, 31.7.1852.

2. L’arte, 28.7.1852.

3. Il pirata 27.6.1852.

4. Il buon gusto, 29.8.1852.

5. Il buon gusto, 5.9.1852.

6. L’arte, 4.8.1852.

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