Molto spesso i libri parlano solo di altri libri. Ci insegnano a scrivere in questo modo fin dalle scuole medie con le famose “ricerche”. Niente di male a far ricerca d’archivio, anzi; ma se uno scritto personale diventa solo il compendio di altri scritti, si è fatta al più un’opera di sintesi, più o meno buona.

Un altro modo di scrivere libri è quello di presentare un lavoro finito; così sono solitamente i libri scientifici (o di argomento storico, filosofico o psico-sociologico): è un altro tipo di ricerca, non più d’archivio ma di avanguardia, che ha l’ambizione però di gettar l’àncora: un piccolo – per quanto ambizioso – controsenso.

Rifuggendo entrambe le tipologie, i libri di Mariano Tomatis si potrebbero dire... incompleti; il che io trovo mirabile. Perché credo che l’unico modo di rendere un libro “interattivo” sia proprio quello di farlo sotto forma di suggerimenti, indicazioni, spinte, suggestioni; poi uno va avanti da sé – se ce la fa; se non ce la fa, ci prova – ma almeno ci ha messo del suo.

Da lettore, ogni scritto di Mariano mi fa sentire coinvolto come solista sulla melodia jazz che è il libro stesso, i cui accordi indefiniti possono sostenere molteplici sviluppi. Trovo assolutamente affascinante un’armonizzazione del genere: mica facile avere l’intuizione di realizzare così un libro! Alla faccia dei tasti dei computer: belli anche quelli, ma troppo “binari.” Gran bell’approccio al lavoro, a mio avviso, quello di Tomatis; per non parlare dei suoi risvolti illusionistici. Da ragazzo ero amico di un prestigiatore professionista con il quale feci – in qualità di “spalla”, “tecnico luci”, attrezzista, ragazzo spazzola (in un caso perfino “medico di scena”!) – un giro indimenticabile di spettacoli in ogni ambiente possibile: straordinaria esperienza di vita, quasi londoniana. Nulla di paragonabile alla profondità intellettuale con cui Tomatis esamina l’arte magica, ma a me profano svelò un mondo di incredibili intrecci con moltissimo altro.

In conclusione, mi interrogo sulla natura di queste poche righe: un tentativo di descrivere il rapporto che si può instaurare tra uno scrittore e il suo lettore nel caso speciale di scrittura “interattiva” (parola orrenda, come tante tratte dal gergo internettiano, ma usiamola lo stesso), il cui valore ha risvolti profondi su quella cosa che chiamiamo “cultura”. Spesso dalla scuola o dalla semplice esperienza non si ricavano che dati e nozioni; quello che manca è un “pensiero progressivo”, ovvero un metodo per associare tali dati. Considero “cultura” proprio tale metodo, lo stesso che permette di escludere che un tunnel di neutrini possa essere stato costruito tra i Paesi dell’Europa, anche in assenza di informazioni sulla natura dei neutrini e sulle tecniche di costruzione dei tunnel: ecco un caso in cui a essere indispensabili non sono i freddi dati bensì il metodo.

Ecco perché una o più lauree non garantiscono affatto un’effettiva assunzione di cultura: trovo più azzeccato considerarla una “patente di guida” piuttosto che un attestato del percorso compiuto effettivamente. Trovo che invece i libri di Tomatis, sempre alludendo a percorsi intrecciati, riescano a valorizzare i nodi di tale intreccio (dove si può inciampare o scoprire sentieri) e per loro tramite il metodo con cui percorrere il rizoma, che è proprio quello che io chiamo “cultura”.

Illustrazione di Angelo Monne – www.angelomonne.com (tratta da qui).

Massimo Banditore è lo pseudonimo del curatore di questo blog.

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