Nel 1968 il Time Magazine pubblicò il “Diario di un’automobile abbandonata”. L’articolo raccontava un esperimento organizzato da Philip Zimbardo contemporaneamente a Palo Alto e New York. Dopo aver abbandonato due automobili, la prima nella città californiana, la seconda nel Bronx, Zimbardo le monitorò per un intero weekend. Mentre nessuno osò toccare l’auto abbandonata a Palo Alto, a New York i passanti infierirono sul mezzo, devastandolo completamente. Tutto ciò che si poteva asportare fu portato via. Il resto fu distrutto.

Lo psicologo dedicò uno studio a questo fenomeno, rilevando i fattori che influenzavano il trattamento di un oggetto abbandonato in un posto piuttosto che in un altro. L’analisi mostrò che esistono luoghi sicuri e altri in cui, invece, è probabile che dopo alcuni giorni l’oggetto sia sparito, portato chissà dove.

Dieci anni dopo, un ricercatore polacco effettuò uno studio molto simile, ma trattandosi di un matematico, non aveva bisogno di telecamere, vetture e appostamenti: egli trasferì nel mondo astratto dei numeri ciascuno degli elementi messi in campo per l’esperimento dell’automobile.

Alla ricerca delle aree (matematiche) più sicure

Palo Alto e New York divennero due punti identificati ciascuno da una coppia di numeri, come se si fosse trattato di coordinate GPS. Un oggetto abbandonato a Palo Alto veniva identificato dalle stesse coordinate della città californiana. Per simulare l’effetto dei passanti su oggetto abbandonato in un punto, lo studioso creò una funzione matematica che modificava le sue coordinate, in questo modo “spostandolo” più o meno lontano dal punto precedente.

Per semplificarsi la vita, usò i numeri complessi, che esattamente come le coordinate GPS sono composti da una coppia di numeri interi (uno è la parte reale, l’altra è quella immaginaria).

Lo studioso si chiese se esistessero anche nella matematica dei “luoghi sicuri” come Palo Alto, dove abbandonare un oggetto ed essere sicuri di ritrovarlo nei suoi paraggi dopo 1000 periodi di tempo. Scoprirlo non era difficile: bisognava monitorare matematicamente il percorso compiuto in 1000 istanti da un oggetto appoggiato in ciascuno dei punti di una mappa.

La funzione di spostamento che scelse era molto semplice. Chiamò c il punto in cui l’oggetto veniva abbandonato: tale numero complesso identificava le sue coordinate. Per calcolare la posizione dell’oggetto dopo uno spostamento, era sufficiente elevare al quadrato il numero dell’ultima posizione occupata e sommare il numero iniziale c. Il numero ottenuto identificava la nuova posizione dell’oggetto dopo il primo istante. Ripetendo la stessa operazione per 1000 volte, il matematico polacco era in grado di disegnare il viaggio compiuto dall’oggetto, collegando ogni posizione e la successiva con una freccia rossa.

Ecco il percorso compiuto nel corso di 1000 istanti da un oggetto abbandonato nel punto nero, contraddistinto dalle coordinate (0.2,0.1) (1) :

L’oggetto restava nei paraggi del punto iniziale: dal punto (0.2,0.1) finiva nel punto poco distante (0.22,0.18); come Palo Alto, il punto nero poteva essere considerato abbastanza “sicuro”. Altri luoghi, invece, erano molto più a rischio per un oggetto abbandonato. Dal punto rosso (0.5,0.5) un oggetto si allontanava inesorabilmente seguendo una spirale in senso antiorario, che dopo l’ottavo istante spariva a sud, senza mai più farsi vedere:

Il punto (0.5,0.5) era il Bronx del piano matematico.

Il frattale che emerge dalla mappa delle zone a rischio

Come avrebbe fatto un criminologo, il ricercatore disegnò una mappa colorando di nero le aree sicure e di rosso quelle pericolose. Per farlo usò un computer, che calcolò i percorsi teorici di un oggetto appoggiato in ciascuno dei punti da colorare.

Ottenne questa mappa, e la battezzò con il suo nome:

Con questo contributo, l’ormai leggendario Benoît Mandelbrot (1924–2010) offrì, a chi volesse esplorarlo, un intero mondo. Fu sufficiente arricchire le tonalità di colore, associando tinte diverse alle diverse “fasce di rischio” per portare alla luce panorami di psichedelica bellezza e di profondità matematica inaspettata.

E che si tratti di un vero e proprio mondo pieno di attrazioni da scoprire lo dimostrano le guide turistiche pubblicate sull’argomento; Alexander Keewatin Dewdney, ad esempio, nel suo The Magic Machine cita John H. Hubbard:

Come un turista che vaga in una terra dall’infinita bellezza, [Hubbard] suggerisce alcuni luoghi interessanti da esplorare. Non si chiamano Hawaii o Hong Kong: “Addentratevi nella regione le cui coordinate vanno da 0.26 a 0.27 nella parte reale e 0 e 0.1 nella parte immaginaria.” (2) 

Si tratta effettivamente di un’area ricca di fascino, che emerge dalla conca a destra dell’insieme di Mandelbrot:

E poiché si tratta di un mondo del tutto astratto, è possibile fare zoom all’infinito, addentrandosi in un qualsiasi punto e assistendo al continuo emergere di nuovi schemi incredibilmente variegati.

Ma c’è di più: non siamo obbligati a usare la funzione di spostamento suggerita da Mandelbrot: qualunque altre funzione modifica radicalmente le immagini che otterremo, producendo frattali completamente diversi e consentendoci di agire come divinità che plasmano universi pronunciando le parole fiat lux.

Tutto a partire da un’idea che ricorda da vicino un’automobile abbandonata nel Bronx.


Note

1. Il punto (0.2,0.1) corrisponde al numero complesso 0.2 + 0.1i

2. A.K.Dewdney, The Magic Machine, W.H.Freeman & co., New York 1990, pp.9-10.

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