Il mentalismo è la forma di illusionismo più vicina alla realtà. È facile interpretare le dimostrazioni di un bravo mentalista come rigorosi esperimenti di psicologia sociale.

Numerosi mentalisti incoraggiano tale fraintendimento, ritenendolo alla base stessa del piacere offerto agli spettatori. A proposito dello show di un noto mentalista, si legge sul suo sito:

Anche se è presentato da un celebre illusionista televisivo, non è uno spettacolo di trucchi o magie. È il tentativo di proporre, e cercare di capire, come funzionino certi meccanismi della mente. Usando e mescolando varie tecniche psicologiche come la suggestione subliminale, il linguaggio del corpo, la Programmazione Neurolinguistica, la mnemotecnica, il pubblico è coinvolto in una serie di esperimenti.

Tali affermazioni sono vere quanto quelle che Daniel Defoe propose tre secoli fa in Robinson Crusoe. Nel 1719 il romanzo inglese inaugurò la consuetudine di proporre come autentici i fatti accaduti al proprio protagonista. Perché le vicende narrate fossero percepite come reali, Defoe evitò che il suo nome comparisse sul libro, scrivendo in copertina che l’autore delle pagine era lo stesso Robinson Crusoe. Come commenta Frank Rose in una dotta analisi sull’“arte dell’immersione”:

Quello che Defoe voleva affermare sin dalla prefazione del libro era semplice: questo non è un romanzo. (1) 

Oggi la maggior parte dei mentalisti offre, durante gli spettacoli e nel materiale promozionale, lo stesso messaggio: questo “non è uno spettacolo di trucchi o magie.”

Come reagiscono lettori e spettatori di fronte a tali affermazioni?

Ingenui e sentimentali

Del tema si è occupato Orhan Pamuk durante le Norton Lectures tenute ad Harvard nell’autunno 2008. Il titolo delle lezioni – Romanzieri ingenui e sentimentali – divide scrittori e lettori in due categorie. Gli “ingenui” non sono consapevoli dell’esistenza di una tecnica dietro il testo, né sono interessati a ciò che c’è di artificioso nello scrivere e nel leggere un libro. I “sentimentali”, invece, sono affascinati dagli elementi artificiosi in un romanzo e dalla sua mancata adesione alla realtà, e si concentrano maggiormente sulle tecniche di scrittura e sul modo in cui funziona la nostra mente mentre leggiamo.

Tale suddivisione risale a Friedrich Schiller (1759-1805), autore del saggio teorico “Sulla poesia ingenua e sentimentale” (2) .

Anche tra gli spettatori dei mentalisti si riconoscono ingenui e sentimentali. I primi erano gli unici a essere ammessi nei salotti di Gustavo Rol, e oggi si iscrivono ai corsi di PNL dopo aver visto i loro beniamini a teatro, fraintendendo le origini di ciò cui hanno assistito durante lo spettacolo. I sentimentali popolano i convegni di matrice scettica come il The Amazing Meeting, organizzato ogni anno da James Randi negli Stati Uniti; qui, in un contesto rigorosamente scientifico, mentalisti come Banachek e Jamy Ian Swiss gratificano la razionalità dei presenti attraverso giochi di prestigio che paiono proprio paranormali (ma guai a ritenerli davvero tali!).

Raggiunto un certo grado di consapevolezza, il mentalista sa di doversi indirizzare all’una o all’altra tipologia di spettatore.

Corteggiare gli ingenui

Nel suo Esercizi d’amore Alain De Botton parla del corteggiamento come di una forma di recitazione. Per conquistare una persona, spesso ci comportiamo come attori, sostituendo la nostra spontaneità con

un comportamento mistificato, in funzione di un certo pubblico. Proprio come l’attore deve intuire le aspettative degli spettatori, anche al seduttore è richiesto di percepire i desideri dell’amata. (3) 

Al primo appuntamento, il protagonista del romanzo scopre che l’amata Chloe odia chi non sa apprezzare il cioccolato. Pur detestandolo, l’uomo mente in modo spudorato, ordinando un dolce con doppia porzione di cacao, e riflettendo tra sé e sé:

Avevo mentito. Ho da sempre una sorta di allergia alla cioccolata, ma come avrei potuto essere sincero sulle mie preferenze in una situazione come quella, in cui la passione per la cioccolata era stata così inequivocabilmente indicata come criterio fondamentale di «Chloe-compatibilità»? [...] La bugia detta per suscitare amore porta con sé l’assunto più perverso: se non mento, non posso essere amato. (4) 

Poiché gli spettatori ingenui non sono interessati ai dettagli tecnici di uno spettacolo, e pretendono di assistere a dimostrazioni autentiche, l’unico modo per conquistarli è quello di mentire spudoratamente. “Non c’è trucco, non c’è inganno, tutto avviene grazie allo Spirito Intelligente (o alla PNL, che ne è la versione 2.0 (5) ).”

Frutto di tale bugia è un amore incondizionato da parte di quella fetta di pubblico. Tale amore, da un lato gratificante per l’ego del performer, è però fragilissimo, perché porta con sé l’eco dell’inganno da cui scaturisce.

Come l’amante bugiardo sa di rischiare che il proprio partner lo scopra, il mentalista che sceglie questa via sa di dover temere le reazioni del proprio pubblico, quando la verità venisse a galla. Evitare l’inganno, ben prima di essere un dettame etico, è una scelta di intelligenza e lungimiranza.

In Più lontano ancora Jonathan Franzen mette il dito nella piaga, chiedendosi quale rispetto per il pubblico possa maturare l’artista che adopera in modo così imprevidente la bugia:

Se riuscite a piacere agli altri solo raggirandoli, sarà difficile che poi non proviate un certo disprezzo per quelli che ci sono cascati. Costoro esistono per farvi star bene con voi stessi, ma quel senso di benessere sarà davvero affidabile, se vi è fornito da gente che non rispettate? (6) 

Tracce di tale disprezzo si riconoscono nelle parole degli scrittori che, loro malgrado, hanno a che fare con lettori ingenui. Raccontava Umberto Eco:

Nel mio romanzo Il pendolo di Foucault il personaggio Diotallevi, per burlarsi dell’amico Belbo che usa ossessivamente il computer, gli dice a pagina 45 “la Macchina esiste, certo, ma non è stata prodotta nella tua valle del silicone”. Un collega che insegna materie scientifiche mi aveva sarcasticamente osservato che la Silicon Valley si traduce Valle del Silicio. [...] Gli ho detto che a pagina 45 anzitutto non parlavo io bensì Diotallevi, che aveva pur diritto di non sapere né le scienze né l’inglese, ma che in secondo luogo era chiaro che Diotallevi si stava burlando delle cattive traduzioni dall’inglese, come chi parlasse di un “hot dog” come di un cane caldo. Il mio collega (che diffidava degli umanisti) ha sorriso con scetticismo, ritenendo che la mia spiegazione fosse un povero rappezzo. Ecco il caso di un lettore [...] impermeabile all’ironia [che] non distingueva tra opinioni dell’autore e opinioni dei personaggi. A un non-umanista del genere il concetto di “fare finta” era ignoto. (7) 

Accadde anche a me, durante un convegno del Cicap (8) , quando uno spettatore biasimò l’uso (naturalmente ironico) che avevo fatto dell’espressione “lettura del pensiero” per riferirmi a un effetto di mentalismo del Seicento.

Derren Brown, ovvero come mirare all’equilibrio

Non spenderò neppure una parola a proposito dei mentalisti che mirano esclusivamente al pubblico sentimentale. Li considero poco sensibili all’intreccio tra realtà e inganno, costretti a ricordare di continuo la natura finzionale delle loro esibizioni, con uno stile documentaristico troppo lontano dall’arte e dalle sue atmosfere. (9) 

Con Orhan Pamuk, invece, ritengo che l’obiettivo di un grande artista sia quello di sintetizzare le due categorie:

Essere un romanziere è l’arte di essere nello stesso tempo “ingenuo” e “sentimentale”. (10) 

Solo facendo così è possibile mirare a un pubblico che sia la sintesi di entrambe le categorie. L’errore classico, in tanti dibattiti sul tema, è quello di ritenere che le due esigenze si escludano a vicenda. Come spiegava Umberto Eco in “Credulità e identificazione”,

Noi sappiamo che Emma Bovary non è mai esistita eppure ci commoviamo sino alle lacrime sulla sua sorte. Si riconosce che una finzione è una finzione eppure ci s’immedesima a fondo nel personaggio. (11) 

Coltivare lettori in grado di essere al contempo ingenui e sentimentali comporta gratificazioni più solide, non venate dall’ombra dell’inganno. Ma poiché si tratta di un’abilità sofisticata, il pubblico dev’essere accompagnato verso tale equilibrio con intelligenza e attenzione. Tra i pochi mentalisti in grado di farlo con successo spicca Derren Brown. Uno dei più grandi mentalisti del mondo deve tale fama al continuo mix di scetticismo e inganno che permea ogni sua esibizione.

Eccolo all’opera in una variegata summa di stimoli:

Nei primi 2 minuti il mentalista descrive una nota tecnica matematica per aumentare le probabilità di vincere a Black Jack, e ne mostra il funzionamento infallibile.

Per evitare che lo spettatore ingenuo ci caschi, al minuto 2:09 Derren semina il dubbio:

La fortuna aiuta certamente, ma ho fatto davvero così a vincere?

È un’insinuazione minuscola, che non toglie nulla all’impressione di autenticità costruita nella prima parte. Ma è un allarme piazzato in maniera subdola, che gratifica lo spettatore sentimentale, confermandone i sospetti che sia in gioco qualcosa di diverso.

Subito dopo, il mentalista torna su una spiegazione al contempo suggestiva e credibile: dice di aver usato l’antica “tecnica mnemonica delle stanze” per memorizzare quattro mazzi di carte.

Al minuto 4:37 Derren narra un aneddoto della sua infanzia, raccontando di una partita a carte durante la quale desiderò fortemente di ricevere una carta – e il desiderio si avverò magicamente. Da qui maturò la sua passione per le carte, e decise che avrebbe sviluppato abilità manuali fuori dalla norma. Al minuto 5:04 ne illustra una: è in grado di sollevare dal mazzo un numero di carte qualsiasi – e per dimostrarlo, annuncia che taglierà esattamente 15 carte. La prova riesce. Per gli spettatori ingenui è difficile ignorare che, all’opera, ci siano doti da grande manipolatore – più consone a un illusionista che a uno psicologo.

Al minuto 5:23 annuncia di essere in grado di fare cose più difficili: sarà in grado di stimare, a occhio, quante carte contiene un mazzetto. Una spettatrice solleva un numero imprecisato di carte, e lui riesce a contarne al volo 28.

Al minuto 6:03 inizia a vestire i panni del puro lettore del pensiero, indovinando il numero 17 pensato da una spettatrice. Resta, però, difficile credergli – dopo averlo visto in azione con quelli che sembravano ottimi giochi di prestigio. I dubbi che semina sono continuamente di segno opposto, omaggiando al contempo ingenui e sentimentali.

Dal minuto 6:34 in poi non si preoccupa minimamente di rientrare nel personaggio dell’illusionista, che stende a nastro le carte, ne estrae alcuni mazzetti, li riassembla, esegue un miscuglio a una mano sola (6:52) e un altro, apertamente scenografico (7:00). Ma se il suo corpo si comporta come quello di un illusionista, le sue parole fanno riferimento a pure doti mnemoniche e alla possibilità di memorizzare un intero mazzo di carte. Lo spettatore ingenuo è sottoposto a una vera e propria dissociazione cognitiva, visto che non c’è alcuna coerenza tra la narrativa verbale e il miscuglio che distrugge qualsiasi ordine eventualmente memorizzato. Ma la stessa dissociazione è musica per le orecchie dello spettatore sentimentale, che individua in tale dinamica la più sfacciata ed elegante misdirection.

Al minuto 7:14 Derren chiede che venga nominata una carta e il mazzo viene tagliato esattamente in quel punto.

Nel gran finale, il mentalista si ricollega all’aneddoto iniziale, estraendo dalla tasca le quattro carte con cui aveva giocato da bambino, quando aveva desiderato (e ottenuto magicamente) che una quinta carta specifica completasse la combinazione. Una spettatrice è invitata a scegliere casualmente una carta dal mazzo, che si rivela – contro ogni probabilità – quella che completa una scala reale a Poker.

Il piacere di confondere finzione e realtà

Matematica? Fortuna? Mnenotecnica? Capacità manipolatorie? Doti di osservazione? PNL? Di fronte a Derren Brown, allo spettatore ingenuo è sottratta qualsiasi possibilità di rispondere in modo semplice. Lo spettatore sentimentale può divertirsi a identificare, nella complessa narrativa, cosa è dovuto a cosa. Ma di fronte a uno scenario tanto sofisticato, solo lo spettatore capace di entrambi gli atteggiamenti può ammirare – in Derren Brown – l’artista capace di sfidare percezioni, pregiudizi e preconcetti, senza alcun bisogno di mentire in maniera spudorata sui metodi usati.

Perché in pochi raggiungono tale eccellenza? Le ragioni sono poche e ovvie. Mirare a un equilibrio del genere richiede dapprima di apprezzarne il valore e poi di rinunciare a un successo più facile e – sul breve periodo – remunerativo. Scegliere tale confine sfumato impone una continua messa in discussione di sé e della propria opera, e un continuo aggiustamento di rotta.

Orhan Pamuk racconta di una sua passeggiata per Istanbul, durante la quale un amico si fermò davanti a una casa, convinto che il romanziere vi abitasse. Pamuk esclamò: «Io non abito qui.» Ammettendo l’errore, l’amico rispose: «Davvero? Dal tuo romanzo avevo dedotto che il protagonista Kemal vivesse qui con sua madre. Devo avere inconsciamente immaginato che anche tu ti fossi trasferito qui con tua madre.»

Commenta Pamuk:

Come due anziani che ormai prendono tutto con filosofia, ci scambiammo un sorriso per avere confuso la finzione con la realtà. Sapevamo di aver ceduto a quell’illusione non perché avessimo dimenticato che i libri si basano tanto sull’immaginazione quanto sui fatti, ma perché essi impongono tale illusione ai lettori. E cominciammo anche a capire che ci piaceva leggere romanzi proprio perché consentono di mescolare immaginario e realtà. (12) 

Insomma, per le stesse ragioni per cui io amo il mentalismo. (13) 


Note

1. Frank Rose, The Art of Immersion, W.W. Norton & Company, New York 2011, p. 33.

2. Friedrich Schiller, “On the Naive” in Die Horen, N. 2, novembre 1795. Prenderà il titolo “Sulla poesia ingenua e sentimentale” nel 1800.

3. Alain De Botton, Esercizi d’amore, Guanda, Parma 1995, pp. 41-42.

4. Alain De Botton, Esercizi d’amore, Guanda, Parma 1995, pp. 40-41.

5. Il percorso dallo Spirito Intelligente alla PNL è magistralmente sintetizzato nella figura di Giuseppe Vercelli, illusionista che ha certificato i poteri di Rol e oggi si occupa professionalmente di PNL.

6. Jonathan Franzen, Più lontano ancora, Einaudi, Torino 2012, p. 7.

7. Umberto Eco, “Fare finta” in L’Espresso, 8.7.2011.

8. Convegno “I conti non tornano”, Torino 12.11.2011.

9. È il caso di James Randi, che il 15 maggio 2012 a Torino piegò un cucchiaino sbadigliando apertamente.

10. Orhan Pamuk, Romanzieri ingenui e sentimentali, Einaudi, Torino 2012, p. 12.

11. Umberto Eco, “Credulità e identificazione” in L’Espresso, 21.7.2011.

12. Orhan Pamuk, Romanzieri ingenui e sentimentali, Einaudi, Torino 2012, p. 32.

13. Ringrazio Ferdinando Buscema e Federica Z. per la preziosa consulenza.

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