Parigi 1896

L’inventore del cinema è anche un mago. Rispetto ai suoi colleghi, però, Georges Méliès (1861-1938) ha un’arma in più. Tagliando la pellicola qua e là può compiere prodigi che a teatro sarebbero impossibili. La storia che racconta nel suo film Escamotage d’une dame au théâtre Robert Houdin ha un impatto gigantesco sull’immaginario collettivo.

Coinvolge un uomo, che per dar prova dei suoi poteri, usa come strumento il corpo di una donna. Dapprima copre un’assistente con un drappo; quando lo toglie, lei è sparita. Poi riappare, ma è diventata uno scheletro. La scena verrà rielaborata dieci, cento, mille volte.

Questa è la storia dello strano potere che si esplica con la sottomissione di una donna.

New York 1900

Edwin Porter (1870-1941) ricostruisce la scena usando un’altalena. In The Mystic Swing gli uomini sono due. Uno fa sparire una donna. L’altro ne fa riapparire lo scheletro.

Il salto della pellicola consente spettacoli ben più truculenti. A farne le spese è ancora una donna. Nel film The Execution of Mary Queen of Scots (1895), Alfred Clark mette in scena la decapitazione di Maria Stuarda. Al momento giusto l’attrice è sostituita da un fantoccio, ma il risultato è molto realistico. Alcuni si convincono che una donna si sia immolata per il film.

Col tempo, le storie si arricchiscono di particolari. In Illusions funambulesques (1903) – un dramma di amore e morte per uomini soli – Méliès costruisce una bambola un pezzo alla volta. Poi inizia a baciarla e le chiede qualcosa. Lei risponde di sì, ma è lui a muoverne la testa. Il fantoccio prende vita e lui può usarlo per il proprio piacere. L’uomo spoglia la donna e la coinvolge in uno sfrenato balletto dalle chiare allusioni sessuali. Poi la riveste e se ne allontana. Dopo qualche istante la assale alle spalle come farebbe un brigante. Prima la chiude in un sacco, poi la fa letteralmente a pezzi.

La storia deve avere qualcosa di irresistibile. Sembra impossibile metterne in discussione dinamiche e personaggi. Neppure Alice Guy Blache (1873-1968), la prima regista donna, si azzarda a invertire i generi. Nel suo film Scene d’escamotage (1898) è ancora un uomo a far sparire l’assistente, non prima di averla trasformata in uno scimmione.

Sono gli anni del Grand Guignol, il teatro che mette in scena violenze e torture sempre più audaci. Nato a Parigi, tocca il suo apice a Londra negli anni Venti. Ed è qui che nel 1921 Percy Selbit (1881–1938) presenta per la prima volta una delle performance più scioccanti di tutti i tempi. L’illusionista immobilizza una donna, legandola con delle corde. La chiude in una bara, che sega in due da parte a parte. Quando la cassa è riaperta, la donna ne esce incolume. (1) 

La “donna tagliata in due” consolida, anche nel nome, lo stereotipo sessista, e ispira centinaia di trucide varianti. Ma perché nessuno confonda i ruoli, sui cataloghi per i prestigiatori la vittima designata è sempre e chiaramente una donna. (2) 

È una donna quella che sparisce. (3)  È la donna a essere fucilata… (4)  …a essere impalata. (5)  …trafitta dalle spade. (6) 

Siamo all’inizio del XX secolo. Lo stereotipo fotografa una società patriarcale, dove il suffragio femminile è stato appena concesso. In quegli anni le sostenitrici del voto alle donne vengono trattate come pericolose terroriste. Come provocazione, Selbit offre 20 sterline alla loro leader Sylvia Pankhurst perché si faccia tagliare in due. (7) 

The Magician Monthly, N. 2, Vol. XVII, gennaio 1921.

La donna rifiuta sdegnata, ma i giornali non perdono l’occasione per fare dell’ironia:

Che occasione sarebbe per Selbit poter dire di aver segato in due la formidabile Sylvia, non una ma molte volte! (8) 

Per Selbit e il suo pubblico, segare in due una donna è un messaggio politico. Infierire su di lei significa tenere a bada una figura che pretenderebbe gli stessi diritti di un uomo.

Cos’è cambiato, a un secolo di distanza? Pressoché nulla. Quarant’anni fa la signora Pankhurst si augurava che il 1973 sarebbe stato l’anno della liberazione delle donne che lavorano nella magia. (9)  Oggi le donne continuano a essere trafitte, impalate, seppellite coi i topi e schiacciate tra gli applausi. Come se il tempo non fosse trascorso.

Oggi, però, uno sguardo innocente su torture del genere non è più possibile. Non parlare di corda in casa dell’impiccato, diceva un vecchio proverbio. Oggi il telegiornale mi porta in casa la storia di Hanè Gjelaj, ammazzata a coltellate dal marito. Di Ilaria Leone, stuprata e uccisa a 19 anni. Di Antonia Bianco, trucidata dall’ex compagno con un punteruolo nel cuore.

Hanè Gjelaj, Ilaria Leone e Antonia Bianco.

E quando cambio canale, non riesco a non pensarci mentre osservo un illusionista infierire sulla sua assistente. Non riesco a non provare imbarazzo per una virilità espressa in queste forme. Che cosa rivela l’ostensione del potere, attraverso lo scempio simbolico di una donna? Quali remote insicurezze porta alla luce? Quale rapporto col femminile mettono in scena questi tableau?

Che cosa ci racconta uno qualsiasi tra i tanti illusionisti in cui ci si può imbattere? C’è un uomo di mezza età che si accompagna a una giovane donna. Il fondale è quello di una scena domestica. Sembra un crudele rimando al luogo dove più spesso si consumano le violenze. I due non si scambiano una parola, ma lei mostra di saper bene cosa deve succedere. Vi si presta sedendosi e aggiustandosi imbarazzata il vestito. Ha gli occhi del pubblico addosso, mentre lui le chiude la testa in una scatola. Difficile non solidarizzare con lei, incappucciata come un condannato al patibolo. Poi lui estrae un coltello, e con nonchalance glielo infila nella testa.

Non c’è un prima e non c’è un dopo. È la rappresentazione gratuita e insensata di un femminicidio.

Senza punti di riferimento, ci chiediamo se la scena incarni l’infame massima maschilista: “Quando torni a casa, picchia tua moglie; tu non sai perché, ma lei sì.” Ma qui la violenza è portata all’eccesso. Non una, ma due, tre, tante coltellate. La scena è ancora più alienante per la mancanza di resistenza. La spontanea reazione di una donna di fronte alle minacce di un uomo è isterica, di terrore puro. Qui tutto grida l’assoluta, grigia normalità. Poco dopo compaiono in scena dei ceppi, altro strumento di tortura cui la malcapitata si presta con altrettanta docilità. Ha lo sguardo costretto a terra, e noi spettatori non abbiamo alcun indizio sulla colpa che sta scontando. Una spada ne trafigge il collo, poi le braccia. La ragazza ne uscirà indenne, ma siamo sicuri che la lama non lasci ferite? Mi torna in mente Lorella Zanardo e il suo documentario Il corpo delle donne (2009):

Ci si può far infilare sotto un tavolo di plexiglas, si può assumere la funzione di gambe del tavolo, passare molto tempo lì sotto accucciata, mantenendo la leggerezza di un gioco? Senza che da qualche parte recondita del nostro corpo non si produca una ferita? E cosa sentiamo noi, di qua dallo schermo? …Lì alla tv c’è una donna che un uomo sta mettendo al posto delle gambe di un tavolo. (10) 

Neanche Lucy Fischer crede che si tratti di un gioco. In un articolo sul ruolo della donna nella magia si chiede:

Se l’uomo avesse voluto solo giocare con la donna, perché ha concepito una tale camera degli orrori? (11) 

Al termine della rappresentazione, la giovane sa che gli applausi sono per l’uomo. Lei è solo un oggetto di scena. Un corpo da profanare per il divertimento di chi applaude. Lo strumento che conferma il potere di un uomo.

Scene come questa si ripetono tutti i giorni, sui palchi di tutto il mondo. La dinamica è entrata così profondamente nell’immaginario da non sollevare alcuna obiezione. Non uno spettatore che si alzi a gridare quanto siano becere e fuori dal tempo le dinamiche rappresentate.

Che cosa ci intrappola dentro storie così violente e volgari? Il punto non è proibire la messa in scena del femminicidio. Forse, però, abbiamo bisogno di parole che offrano storie più raffinate.

Educare alla complessità

Edgar Allan Poe (1809-1849) scriveva che

la morte di una bella donna è senza dubbio l’argomento più poetico del mondo. (12) 

Il corvo della sua più nota poesia tormenta il suo protagonista. Sospettiamo che l’uomo abbia ucciso la compagna, e l’animale ne incarna la voce della coscienza. C’è una donna, c’è un assassino, ma c’è anche una voce interiore, un’angoscia che non dà pace al carnefice. C’è una storia che ci educa alla complessità.

Giocare con gli stereotipi

Non ci è preclusa neppure l’opportunità di giocare con questi temi, ma la ricerca del giusto equilibrio è difficile. Loredana Lipperini scrive che

giocare con i simboli, e con gli stereotipi, presuppone una consapevolezza […] potente e […] granitica del gioco medesimo. (13) 

Gli esempi sono pochi. Ne La nave della morte (1944) Orson Welles (1915-1985) e Marlene Dietrich (1901-1992) mettono in scena una rappresentazione ricca di raffinate e ironiche sfumature.

La donna acconsente a farsi segare in due, mantenendo un innaturale sguardo sornione. L’uomo delega due marinai a svolgere per lui il lavoro di fatica. Welles è ritratto in secondo piano, mentre mima un prestigiatore compulsivo: non riesce a smettere di fare magie, in un’infantile ricerca di conferme dei suoi poteri. Completato il taglio, la Dietrich scoppia a ridere: la lama le ha appena fatto il solletico. Le gambe se ne vanno per conto loro, e il numero si conclude. Nella scena successiva, la situazione si capovolge, ed è la Dietrich ad avere la meglio. Welles cerca di ipnotizzarla, ma è lui a finire in catalessi.

Lo shock come denuncia

Poi c’è chi ha scelto lo shock per denunciare la crudeltà dietro questi spettacoli. Gli illusionisti di Las Vegas Penn & Teller hanno portato nella magia quello che Quentin Tarantino ha portato al cinema: una violenza così eccessiva da diventare parodia di se stessa. Quando i due mettono in scena la morte di qualcuno, questa è irreversibile, come la morte vera.

In una recente esibizione segano in due una donna e non si sognano neanche di ricongiungerla. (14)  Come nella pornografia, la scena è iperreale, e lo spettacolo talmente truculento da essere vissuto come un pugno nello stomaco. Come fa notare Francesca Coppa (15) , Penn & Teller costringono gli spettatori a fare i conti con l’insensata crudeltà del numero, ma ancor più con la crudeltà che contraddistingue il pubblico stesso. «Ti rendi conto di quello che applaudi?», sembrano chiedergli con le loro performance.

Raccontare storie diverse

Oggi non ci è più concesso uno sguardo ingenuo. Dobbiamo interrogarci a fondo sulle storie che raccontiamo, e provare a raccontare storie diverse. Come scrive Iaia Caputo:

Siamo, in fondo, animali narranti. Ignari delle nostre storie, smemorati di racconti, ci condanniamo ad assistere atterriti al dispiegarsi di una violenza che, se non viene educata o sublimata, ha il volto dell’ordinaria barbarie quotidiana del nostro tempo. (16) 

È ora, per noi uomini, di resistere a tale barbarie, e strapparci dalla carne il richiamo della violenza e il gusto della sopraffazione. Sarebbe l’unico potere di cui andare fieri. (17) 

Per condividere il cortometraggio usa questo link: http://tinyurl.com/donneameta


Note

1. La storia della donna tagliata in due è analizzata estesamente in Jim Steinmeyer, “Above and Beneath the Saw” in Art & Artifice and Other Essays on Illusion, Carroll & Graf Publishers, New York 2006, pp. 77-106.

2. Joseph Dunninger, Complete Encyclopedia of Magic, The Hamlyn Group Ltd., New York 1967, p. 68.

3. Joseph Dunninger, op. cit., p. 223.

4. Joseph Dunninger, op. cit., p. 102.

5. Joseph Dunninger, op. cit., p. 271.

6. Joseph Dunninger, op. cit., p. 279.

7. The Magician Monthly, N. 2, Vol. XVII, gennaio 1921.

8. Ibidem.

9. Abracadabra, Vol. 54, dicembre 1972, p. 498.

10. Lorella Zanardo, Il corpo delle donne, Feltrinelli, Milano 2011, p. 197.

11. Lucy Fischer, “The Lady Vanishes” in Film Before Griffith, University of California Press, Los Angeles 1983, p. 345.

12. Edgar Allan Poe, “The Philosophy of Composition” in Graham’s American Monthly Magazine of Literature and Art, Philadelphia, aprile 1846.

13. Loredana Lipperini, Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano 2010 cit. in Lorella Zanardo, op. cit., p. 197.

14. Fu Richiardi Jr. – al secolo Aldo Izquierdo (1923-1985) – il primo a concludere il numero della donna segata in due senza ricomporre le due metà. L’artista fu molto criticato per il livello di realismo e violenza dei suoi spettacoli di illusionismo.

15. Francesca Coppa, “The Body Immaterial: Magician’s Assistants and the Performance of Labor” in Francesca Coppa, Lawrence Hass e James Peck, Performing Magic on the Western Stage, Palgrave MacMillan, New York 2008, p. 100.

16. Iaia Caputo, Il silenzio degli uomini, Feltrinelli, Milano 2012, p. 189.

17. La donna di picche che chiude il documentario è un riferimento a questo.

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