Tra il XVII e il XVIII secolo, chi voleva diventare illusionista doveva procurarsi uno e un solo libro: l’Anatomia della Prestigiazione (1634). Il testo descriveva tutti i principali sotterfugi elaborati fino a quel momento per mettere in scena sofisticate illusioni. Il suo autore si nascondeva dietro lo pseudonimo “Hocus Pocus Junior”, e fino a oggi la sua identità è rimasta segreta. Da anni si è messo sulle sue tracce un ricercatore torinese: autentico Sherlock Holmes della magia, Mauro Ballesio è a caccia di tutti gli indizi che il mago ha lasciato dietro di sé, forse addirittura scritti in codice nel suo libro.

Una copia originale dell’Anatomia varrebbe oggi migliaia di euro: mai tradotto in italiano, il libro è la pietra angolare su cui è stato costruito l’edificio della magia moderna, che – a partire dai “professeurs de physique” del Settecento e attraverso i “magnetizzatori” ottocenteschi – è arrivato agli illusionisti moderni, fino ai “mentalisti scientifici” contemporanei.

Dall’incontro di un rigoroso detective come Mauro e un tecno-negromante come me è nata l’idea di una strana rievocazione medianica: abbiamo così contattato lo spirito di Hocus Pocus Junior, convincendolo ad aprire un blog. Nella nostra epoca. Trecentottant’anni dopo la pubblicazione del suo libro.

Hocus Pocus ha accettato l’invito e Mauro si è offerto di tradurne in italiano le parole.

Grazie a questa rievocazione, resa possibile dall’incontro tra le più moderne tecnologie e l’enorme impegno di Mauro su logore carte secentesche, l’illusionista del Seicento “Hocus Pocus Junior” ha potuto compiere un autentico viaggio nel tempo, sfruttando la Rete per conquistare il pubblico dei nativi digitali e infondere la scintilla della magia agli apprendisti del Terzo Millennio. Io e Mauro abbiamo deciso di corredare ciascuno dei suoi post con appunti personali, approfondimenti e stimoli che vengono dalla nostra conoscenza di ciò che è avvenuto durante i quattro secoli che ci separano dal nostro magister. Nei prossimi mesi, dunque, un autore morto quasi quattro secoli or sono curerà insieme a noi questo blog:

The Anatomie of Legerdemain

Il modo migliore per introdurre il lettore alle meraviglie dell’Anatomia della Prestigiazione è lasciare che sia Mauro Ballesio ad accompagnarlo tra le pieghe di un mistero magico ancora irrisolto.

Mariano Tomatis

Suggestioni e mistificazioni dalle pagine di un antico manuale di magia

Hocus Pocus Junior è un antico libro di prestigi, pietra miliare e preziosa rarità della letteratura magica. Con questo “titolo” i bibliofili catalogano un sottile pamphlet dato alle stampe in Londra per la prima volta nel 1634 e comunemente riconosciuto come il primo manuale sull’Arte della prestigiazione scritto in lingua inglese, corredato da illustrazioni tecniche, e interamente dedicato al suo insegnamento.

Molti prestigiatori incontrano la magia grazie a un libro scoperto magari in giovane età che, anche a distanza di tempo o di una lunga carriera, rimane nel cuore e viene ricordato con fanciullesca nostalgia. Hocus Pocus Junior fu lo strumento di iniziazione di molti artisti del XVII e XVIII secolo dei quali si è persa traccia tra le pieghe del tempo; tuttavia i suoi antichi giochi e i metodi descritti sono ancora il fondamento di spettacoli moderni e raffinati e sono giunti integri nel principio fino al nostro secolo. Lo si dovrebbe dunque guardare con meraviglia e ammirazione poiché siamo eredi di quei prestigiatori che per mezzo suo sono diventati tali, e quand’anche abbiamo avuto la fortuna di imparare dal vivo le lezioni di un professore dell’Arte, abbiamo imparato e studiato da un libro a cui un collega ha ceduto i suoi segreti. Questo è quel che fece tra i primi e meglio dei suoi predecessori l’autore di Hocus Pocus Junior, ma purtroppo oggi non possiamo rendergli compiutamente merito se non riferendoci ad esso con un soprannome.

Hocus Pocus Junior infatti non è il titolo del libro, ma lo pseudonimo a cui si attribuisce la sua paternità. Il titolo, così come compariva in quasi tutte le sue edizioni, era questo:

The Anatomie Of Legerdemain
Or The Art of Jugling
set forth in his proper colours, fully, plainly, and exactly, so that an ignorant person may thereby learn the full perfection of the same, after a little practise.

ovvero “Anatomia della Prestigiazione Ovvero L’Arte de giuochi di destrezza disvelata ne i suoi dettagli, completamente, chiaramente ed esattamente, tal che un profano con un poco di pratica possa impararla alla perfezione”

L’intestazione superiore di ogni pagina riportava invece la dicitura The Art of Legerdemain discovered (“L’Arte dei prestigi disvelata”): ciò rafforzava ulteriormente l’idea che Hocus Pocus Junior non fosse il titolo ma si riferisse invece al suo autore, un personaggio tuttavia non meglio identificato.

La teoria di Philip Butterworth

Nel 2002 Philip Butterworth, ricercatore di storia medievale all’Università di Leeds, aveva ricomposto i tasselli mancanti del quadro storico-magico a cui il mistero faceva da cornice. Il disegno finale suggeriva che il manuale fosse opera di un famoso giocoliere e prestigiatore itinerante, tale William Vincent, alias “Hocus Pocus” di Londra, in attività tra il 1619 e il 1642. (1)  Lo studioso aveva trovato documenti che legavano il giocoliere al suo nome d’arte, e quest’ultimo al libretto chiamato Hocus Pocus Junior. Il suo lavoro di ricerca quindi fu presentato al Magic Circle di Londra, che lo pubblicò sul suo organo di informazione ufficiale – The Magic Circular – nel novembre del 2002.

A partire dall’articolo di Butterworth, mi sono appassionato alla storia di William Vincent (2)  e ancor più al suo presunto manuale di magia. Approfondendo i significati nascosti, le allusioni e le suggestioni evocate dalle pagine di Hocus Pocus Junior, la tesi di Butterworth mi è apparsa sempre più fragile: gli indizi che associavano Vincent a Hocus Pocus Junior erano discutibili poiché, in sintesi, si basavano sull’omonimia tra autore e titolo e sulla supposizione di un isolato commentatore dell’epoca. (3)  Mi è parso una contraddizione in termini affermare che Vincent avesse usato il nome d’arte per nascondere al lettore la propria identità e non farsi riconoscere: tutti all’epoca lo conoscevano con questo pseudonimo, mentre il vero autore del libro dichiarava l’esplicita intenzione di restare anonimo in modo assai lapidario al termine del trattato (sebbene la frase fosse stata aggiunta solo nella seconda edizione):

Se vi fossero alcuni che domandassero ’l mio nome, dite loro che non son tenuto a farlo.

Firmare l’opera come “Hocus Pocus” l’avrebbe immediatamente fatto identificare come William Vincent, tanto più che il collegamento tra i due nomi era documentato da diverse registrazioni di pagamenti a credito del prestigiatore. Si legga poi l’annuncio con cui l’autore concludeva il suo libretto:

...e se il tempo mi concederà il piacere dedicherò il mio intelletto ad un soggetto migliore.

È difficile credere che un prestigiatore popolare e in piena attività come Hocus Pocus potesse esprimere un impegno del genere: William Vincent, infatti, aveva proseguito nell’esercizio della sua professione di giocoliere e intrattenitore per almeno una decina di anni dopo la pubblicazione del suo presunto manuale. È altresì difficile credere che un giocoliere itinerante trovasse anche il tempo e le risorse per dedicarsi a opere letterarie, come sottintende la frase; è più verosimile che l’autore fosse qualcuno che dal proprio prestigioso ruolo sociale e culturale aveva ceduto temporaneamente a un Arte minore le proprie facoltà intellettuali, ritenendo questa al contempo un soggetto su cui era meglio evitare ulteriori coinvolgimenti.

William Vincent, alias Hocus Pocus di Londra, sembrava nutrire un’alta stima e considerazione di sé stesso e del proprio lavoro. Si legga infatti la definizione che il famoso artista inglese si attribuiva nelle parole di Thomas Ady, suo contemporaneo e autore del trattato demistificatorio A Candle in the Dark (1656):

Intendo parlare di un uomo più eccellente in quell’arte di altri, che visse sotto Re Giacomo e fintanto che fu in vita si fece chiamare il più eccellente Hocus pocus di Sua Maestà, e così pure fu chiamato poiché eseguendo ogni trucco egli usava dire “hocus pocus, tontus talontus, vade celeriter jubeo”, un’oscura composizione di parole per offuscare gli occhi degli spettatori e far passare il suo trucco indenne dall’essere disvelato. (4) 

Nell’usare il suo nome d’arte egli era magniloquente e sembrava voler alludere alla licenza che re James I Stuart (già Re di Scozia e successore al trono di Inghilterra della Regina Elisabetta I Tudor) gli aveva assegnato e che gli consentiva di esercitare l’arte della prestigiazione entro i confini del Regno e in piena legalità. (5) 

James I fu un sovrano colto e amante delle arti e delle lettere ma anche facile alla concessione di discutibili privilegi regali. Perché mai quindi il più eccellente prestigiatore di Sua Maestà avrebbe dovuto firmarsi modestamente Junior e nascondersi dietro un epiteto diminutivo di dubbia efficacia? Sembra più ragionevole che lo pseudonimo Hocus Pocus Junior nascondesse invece l’identità di qualche altro misterioso e più modesto “prestigiatore”, il cui nome non era opportuno rivelare.

Dunque, per queste e altre ragioni che esporrò sotto, ho creduto che la tesi di Butterworth non fosse sostenibile.

L’ombra del mago sconosciuto

Chi si celava dunque dietro l’omonimia tra il titolo e il nome d’arte di Vincent? La ricerca di una risposta a questo enigma ha come strumento privilegiato le pagine stesse del libro, a cominciare dalle suggestioni evocate dall’Epistola al lettore nella sua versione originaria dell’edizione del 1634:

Cortese Lettore, vi fu un tempo in cui assistevo con ammirazione non meno d’altri alle meraviglie di codesta Arte: per cui volendo fare altrettanto, divenni spettatore di vari maestri, e infine fu mia soddisfazione apprendere le tecniche della manipolazione, e una volta imparate, con un po’ di pratica ne divenni esperto, ed essendomi esibito in tali prodigi davanti ad amici e conoscenti, essi vollero persuadermi che era impossibile per chiunque eseguire tali cose senza illecito ausilio, e per di più qualcuno cominciò a farmi pressioni a riguardo. Orbene per chiarire la mia posizione e dar loro compiacimento, promisi che qui ne avrebbero avuto ampia dimostrazione. Dunque per quanto la mia abilità me l’ha permesso, ho scritto questo breve Trattato, in cui chiaramente e completamente disvelo tutti i segreti dell’Arte: di cui se avete piacere, potete usufruirne, altrimenti ammenda e così sia.

Dunque si può sostenere che l’autore fosse effettivamente un prestigiatore, come le sue parole facevano intendere, pur non attribuendosi esplicitamente tale professione. (6)  Aveva imparato qualche trucco del mestiere osservando i professionisti, o almeno aveva imparato delle tecniche di manipolazione e si era esibito per la cerchia ristretta di amici e conoscenti. Non parlava di sé con magnificenza, come di un famoso e abile prestigiatore che si esibiva in fiere e mercati, teatri e case padronali – quale era invece William Vincent. A quel tempo costui doveva essere all’apice della carriera, ma i toni di chi scriveva erano quelli di un modesto appassionato apprendista che si dichiarava tuttavia esperto della materia.

Forse la specialità manipolatoria che l’autore aveva imparato era proprio quel gioco dei bussolotti con cui si apriva il manuale: la sua trattazione a riguardo superava qualunque cosa pubblicata in letteratura magica prima di allora ed era il materiale inedito di maggior pregio. William Vincent, d’altro canto, veniva menzionato da commentatori e verseggiatori dell’epoca specialmente in merito a numeri ginnici (chiamati feats of activity) o a numeri legati all’ingurgitare e vomitare spade e stiletti così come lunghi nastri colorati. Nel manuale le descrizioni di trucchi legati a queste abilità “fagocitatorie” erano relegate in due o tre brevi capitoli, nemmeno inediti e copiati insieme a molto altro materiale. Mentre alcuni noti prestigiatori suoi contemporanei erano ricordati esplicitamente per le abilità nella manipolazione e nello specifico nel gioco dei bussolotti (soggetto del manuale), William Vincent alias Hocus Pocus era invece citato di solito come “mangiatore di spade”.

“Hocus Pocus” non era solo un nome d’arte, ma anche una formula tradizionale e il sinonimo con cui – imitando burlescamente il latino – veniva definito il prestigiatore e il giocoliere nell’Inghilterra del XVII secolo, così come pure veniva usato nell’espressione riferita da Thomas Ady:

egli si faceva chiamare il più eccellente Hocus pocus di Sua Maestà, e così pure fu chiamato. (7) 

Dunque tale formulazione enigmatica poteva alludere alla figura di un prestigiatore inglese in modo generico, e così pure lo si sarebbe potuto attribuire ad uno qualunque degli artisti ai cui spettacoli l’autore aveva assistito e dai quali aveva imparato. A ben ragione dunque egli si auto-titolava modestamente “Junior”, un appellativo che ne sottintendeva in una metaforica gerarchia il grado di “minore”. Comunque lo si consideri – titolo o pseudonimo – l’autore decise di utilizzare l’espressione in modo caricaturale e allusivo con l’evidente intento di mascherare la propria identità.

Forse la pubblicazione di un’opera monumentale dal titolo The Anatomy Of Melancholy (1621) di un intellettuale inglese, tale Robert Burton – che scrisse con lo pseudonimo di Democritus Junior – potrebbe aver ispirato l’autore nel formulare il titolo del libro e lo pseudonimo dietro cui celarsi. (8) 

Parodiando l’opera ben nota di Burton, egli avrebbe potuto indurre a leggere tra le righe del suo manuale una giocosità e una frivolezza di fondo, alludendo al confronto tra la “leggerezza” delle sue sessanta dilettevoli pagine e il “peso” delle oltre novecento del voluminoso trattato sulla “melancolia” (o depressione) di Burton. Questa verosimile ipotesi è comunque solo un intrigante congettura.

Tuttavia il gioco di parole e allusioni, lo pseudo-titolo appositamente creato, ebbe un successo inaspettato, e da molti altri autori fu adottato in seguito in libri sul medesimo soggetto: l’uso del nome d’arte di un collega era un millantato credito, affermato indossando “gli abiti di scena” di un famoso prestigiatore allo scopo di attirare un pubblico di curiosi lettori e ricavarne successo commerciale. Successo che in effetti il libro del 1634 ebbe.

In definitiva, la composizione enigmatica con cui si firmava questo “apprendista” prestigiatore ribattezzatosi “Hocus Pocus Junior” sembrava un gioco di parole per parodiare William Vincent, sia esso stato il suo mentore oppure no: il titolo “Hocus Pocus Junior” appariva come una caricatura con l’intento di evocarne la popolarità, che fa ulteriormente dubitare del fatto che dietro vi fosse il vero William Vincent. Ma in fondo, i lettori che si aspettavano un libro sui segreti di Vincent non ne sarebbero stati affatto delusi.

Ma perché dunque, nonostante il successo editoriale, il nome dell’anonimo prestigiatore continuava a mantenersi segreto? Scrivere sotto pseudonimo era di moda, ma potevano anche esserci motivazioni tali da renderlo necessario. Quali misteriose ragioni impedivano all’autore di sottoscrivere fama e prestigio legandosi al successo popolare del suo libretto didattico-demistificatorio? Forse una parziale risposta è da leggere tra le righe della sua Epistola iniziale. Riflettendo su quelle righe e ponendole in relazione con altri fatti, l’anonimato appariva opportuno per almeno tre diversi ragioni.

La prima ragione: il marchio d’infamia

La prima motivazione risiedeva nell’origine del contenuto del libro. L’Anatomia non era opera inedita per almeno due terzi del suo contenuto. Ma il marchio di infamia – per così dire il suo “peccato originale” – non era tanto il presunto plagio in sé stesso, quanto il fatto che il materiale proveniva da The Discovery Of Witchcraft (1584) di Reginal Scot: un libro già sgradito al superstizioso James I, all’epoca Re di Scozia, che aveva ordinato la distruzione di tutte le copie presenti nel suo Regno e ne aveva combattuto le tesi, compilando a sua volta il trattato Daemonologie (1597); se William Vincent fosse stato davvero l’autore del manuale di magia, sarebbe stato il divulgatore di materiale che l’assegnatario dei suoi privilegi professionali aveva invece censurato e bandito, con il conseguente rischio di subire la revoca dei suoi privilegi. Ciò appare quanto mai insensato – anche se Charles I re di Inghilterra aveva già ereditato il trono dal padre James I nel 1625 quando il libro fu pubblicato: infatti il suo stretto collaboratore e consigliere era l’arcivescovo di Canterbury William Laud, particolarmente sensibile alle critiche e fervente repressore dei suoi oppositori, specie in materia religiosa. L’ipotesi di Butterworth di attribuire la paternità del libretto a William Vincent appare poco ragionevole anche alla luce di queste considerazioni. Infatti copiando l’opera di Scot se ne mutuava di riflesso il suo intento: smentire le accuse di stregoneria mosse ingiustamente su cittadini innocenti, dimostrando che in realtà tali pratiche erano mistificazioni e che fenomeni contro natura e magici erano dimostrabili con trucchi di destrezza e illusioni ingegnose del tutto terrene. Ma spiegare come realizzare effetti soprannaturali era a propria volta sospetto e in odore di inganno malefico.

Spiegare che trucchi diabolici avevano una giustificazione razionale poteva essere considerata una presa di posizione in difesa della stregoneria; e chi difendeva le streghe era altrettanto colpevole. Specialmente se si opponeva alle tesi di un re superstizioso. Se Scot non fosse morto prima, probabilmente sarebbe bruciato egli stesso sul rogo e il suo libro in effetti poté essere ristampato per la prima volta solo dopo più di mezzo secolo: la seconda edizione di The Discovery Of Witchcraft è datata 1651.

È curioso osservare che anche gli altri libri da cui l’autore copiò o derivò materiale furono pubblicati con pseudonimi o firme ambigue:

- The Art Of Juggling Or Legerdemain (1622) fu scritto (copiando a propria volta completamente da Scot) da un non meglio identificabile Sa.Rid, probabilmente Samuel Rid (9) 

- Récréation Mathématicque (1627) (tradotto in inglese nel 1633) recava una dedica dell’autore firmata Henry Van Etten, probabilmente pseudonimo del gesuita Jean Leurechon(10) 

Se non altro possiamo dedurne ancora che l’autore di Hocus Pocus Junior doveva essere uomo di buona istruzione, sia per le sue capacità letterarie, sia per la possibilità di accedere tempestivamente a tali volumi di non facile reperibilità.

La seconda ragione: una polizza d’assicurazione

La seconda motivazione per ritenere prudente l’uso di uno pseudonimo era spiegata esplicitamente dall’Epistola. Le pressioni per avere spiegazioni e le accusa mosse da amici e conoscenti di far uso di mezzi illeciti per realizzare i prodigi eseguiti (ovvero stregonerie) aveva richiesto al prestigiatore una dimostrazione formale: la rivelazione dei trucchi del mestiere. Tuttavia questa spiegazione poteva non essere persuasiva. Un prestigiatore ben comprende questa situazione: in tempi meno bui e più disincantati quante volte capita che davanti all’esecuzione di un gioco di prestigio qualche spettatore si convinca che il prestigiatore possieda veramente facoltà paranormali? Questo atteggiamento ricorre in tutta la storia della magia e dell’illusionismo fino ai giorni nostri. Per questa categoria di pubblico l’ammissione dell’esecutore di usare dei trucchi non è ritenuta sincera. Al contrario, ne rafforza la convinzione che egli abbia veramente qualcosa da nascondere, ovvero dei poteri soprannaturali che non vuole ammettere, e nessuna spiegazione razionale del trucco ha il potere di dissuaderlo da questa idea. Si può ben immaginare quattro secoli fa cosa potesse accadere e come sarebbe stato difficile procurare una dimostrazione convincente a chi voleva credere alle streghe a tutti i costi, specie se questo era il pensiero dominante.

Il manualetto era dunque scritto con l’intento dichiarato di dissipare ulteriori dubbi sull’origine delle abilità esibite dall’autore dandone compiutamente dimostrazione, e l’anonimato era per questo una precauzione opportuna nel caso la “polizza d’assicurazione” costituita dalle spiegazioni non fosse apparsa del tutto convincente ai lettori “scettici”. Del resto il lettore veniva spesso avvisato del rischio che correva nel mettere in pratica quanto spiegato: al termine di molti capitoli veniva ribadito che facendo quanto descritto si sarebbe fatto credere che fosse operato con l’ausilio di forze magiche e soprannaturali suggerendo e ricordando agli apprendisti prestigiatori che dovevano fare i conti con una maligna consigliera del pubblico, la superstizione, che sempre avrebbe presenziato alle loro esibizioni, come l’esperienza in prima persona aveva insegnato.

La terza ragione: la vendetta dei confratelli

La terza motivazione che induceva a non farsi identificare come l’autore di un tale libro era forse la più persuasiva poiché chi scriveva stava mettendo letteralmente in piazza i segreti di una categoria di professionisti (per lo più gente di strada che aveva per teatro le fiere e i mercati affollati, artisti della truffa e dell’inganno che da questo traevano profitto) che all’epoca potevano essere personaggi poco raccomandabili, i cui mezzi e le cui arti segrete era meglio temere – specie se usate con intento offensivo, per punire ad esempio il tradimento di un “confratello” che divulgava i segreti del mestiere ai profani, fino ad allora mai così bene illustrati al pubblico. Questo atto era quanto di più riprovevole e dannoso potesse esser compiuto per la categoria, che gelosamente custodiva i propri segreti. Lo stesso Scot, che per primo l’aveva fatto, comprendeva che

una volta appreso il segreto, il prodigio appare annullato all’occhio dello spettatore. (11) 

Scot era consapevole di arrecare danno a coloro che praticavano per professione e spettacolo l’arte dei prestigi. Ma nel suo caso rivelare dei segreti aveva avuto un nobile intento e un pubblico colto e limitato. L’Anatomia, invece, era diretta a un ampio ed eterogeneo pubblico di lettori, proprio quello delle fiere e dei mercati di piazza dove Iugler e Legerdemain si esibivano con profitto. Meglio dunque non far conoscere la propria identità e correre il rischio di essere considerato traditore e colpevole di aver annullato l’interesse del pubblico e la reputazione dei colleghi.

L’anonimato era dunque la precauzione e l’assicurazione che l’autore sottoscriveva con una “firma falsa”, ma anche il prezzo che aveva dovuto pagare per il grande successo letterario che il libro ebbe tra il XVII e il XVIII secolo. E indipendentemente da chi fu scritto e come lo si consideri, il suo pseudonimo nel titolo fu a ragione il più importante tributo letterario al popolare prestigiatore inglese del tempo: William Vincent, alias Hocus Pocus di Londra.

Smentire la questione del plagio

Dunque Hocus Pocus Junior si era macchiato di almeno due colpe: l’aver divulgato i segreti dei prestigiatori al pubblico di strada e di averlo fatto copiando materiale da un libro proibito.

Questa è l’idea comunemente accreditata e diffusasi tra gli storici della magia: che Hocus Pocus Junior fosse una copia verbatim dei cinque capitoli dedicati alla prestigiazione dell’opera magistrale di Scot. Benchè sia fuor di dubbio che due terzi dei giochi descritti traessero evidentemente origine da The Discovery Of Witchcraft, da The Art Of Jugling Or Legerdemain e da Récréation Mathématicque, ci si chiede se tale materiale non inedito – per così dire “plagiato” – fosse stato copiato “testo alla mano” o invece fosse giunto alla penna dell’autore in virtù d’una tradizione prestigiatoria tardo medievale, di cui costituiva l’eredità artistica.

Un certo insieme di effetti e il metodo usuale con cui venivano realizzati doveva essere del resto il repertorio classico dei giocolieri dell’epoca. Annotando e studiando numerose esibizioni di prestigiatori inglesi (come dichiarato nell’Epistola della prima edizione) e in seguito rielaborando i metodi, le tecniche e le presentazioni dei giochi in base alla propria esperienza e inventiva, sarebbe stato inevitabile per l’autore ottenere un sottoinsieme degli stessi trucchi descritti da Scot, ed evidentemente anche un super insieme contenete altri giochi inediti fino ad allora, al quale appartenevano ad esempio la routine con i bussolotti, l’imbuto magico (comedy funnel), la salamella retrattile (primo attrezzo telescopico in metallo descritto in letteratura magica), la pila di monete cava (coin shell) per sparizioni e trasformazioni di piccoli oggetti, il metodo di taglio e ricomposizione della corda in quattro parti e lo stesso vanishing doll chiamato Bonus Genius.

Dunque sarebbe scorretto parlare di “plagio e ruberizia”, e il valore dell’Anatomia in quanto manuale illustrato di antichi giochi di prestigio acquisterebbe invero una sua particolare originalità.

I risultati della mia revisione

Ho sottoposto a revisione storica la questione del plagio comparando i due principali testi di magia (quello di Scot e quello di Hocus Pocus Junior) e facendo alcune considerazioni in merito alle loro similitudini e discrepanze. Innanzitutto i giochi che compaiono in entrambi non sono mai trascritti alla lettera – come invece in The Art Of Juggling Or Legerdemain – ma vi sono certamente similitudini notevoli. Tuttavia le variazioni nelle descrizioni, l’aggiunta di elementi di presentazione inediti, la fusione di metodi diversi in effetti nuovi o perfino le lacune e le omissioni nel riportare spiegazioni che compaiono invece complete nel testo di Scot fanno pensare che l’autore non avesse a disposizione in prima persona The Discovery Of Witchcraft. Una vera copia “testo alla mano” non spiegherebbe quella mancanza di passaggi fondamentali o anche di interi metodi e istruzioni che giudicante in modo superficiale sembrerebbero copiate direttamente dal testo di Scot, talvolta perfino più esplicativo. In alcuni casi infatti sembrava che l’autore non fosse stato in grado di descrivere metodi, artefatti o l’esecuzione dei giochi con la stessa precisione fornita dall’esperto prestigiatore che fu il consulente di Scot, tale John Cauthares, come se effettivamente egli l’avesse solo visti eseguire e ne avesse intuito da solo i procedimenti, o come se qualcuno gli avesse insegnato i trucchi riportando una spiegazione di seconda mano basata sui metodi “classici” conosciuti dai prestigiatori (come in effetti si dice nell’Epistola). Per contro Hocus Pocus Junior era molto più attento nel descrivere la presentazione scenica, le frasi da usare (storie o formule “magiche” del tutto originali) e le tecniche per attuare la misdirection necessaria.

L’idea che il testo di Scot non fosse stato effettivamente disponibile per intero – e quindi copiato – nasce in origine dalla considerazione che tutti gli effetti con le carte che si trovano nel suo Capitolo 27 del Libro XIII non erano stati assolutamente menzionati in Hocus Pocus Junior. Invece il suo autore si limitava a un sommario resoconto dell’esistenza di carte e dadi truccati e di cosa fosse possibile fare con questi (perfino omesso nella prima edizione). Del resto egli dichiarava esplicitamente di aver riportato

tutti i giochi e i trucchi a lui noti, ed anche altri mai prima eseguiti se non da egli stesso.

Perché dunque trascurare un argomento così importante come i prestigi con le carte, pur avendone diversi a disposizione? E perché ignorare materiale così prezioso senza ragione apparente, quando

trovarne altro era costato viaggi e fatica, come ancora egli riferiva? Per approfondire ulteriormente la questione si prenda ad esempio l’effetto della “carta nella noce”. Sappiamo da altre cronache che apparteneva al repertorio classico seicentesco, quindi noto a chi fosse del mestiere. La spiegazione del trucco infatti veniva data in entrambi i trattati, ma Scot spiegava anche come forzare ad uno spettatore la carta desiderata da far poi ritrovare nella noce e come accrescere l’effetto con il ritrovamento di un biglietto predittivo, mentre Hocus Pocus Junior non faceva menzione di tali tecniche e varianti, in qualche modo fondamentali. Questa omissione si spiegherebbe se l’autore avesse solo visto eseguire il trucco o lo avesse imparato da qualcuno, ed avesse invece ignorato il funzionamento della tecnica di forzatura della carta e le sue possibilità successive non avendo a disposizione il testo originario in cui si davano quelle spiegazione supplementari.

È evidente tuttavia che alcuni passaggi furono effettivamente trascrizioni di qualche sorta del Libro XIII del trattato di Scot. Ad esclusione del Capitolo 23, dedicato alle manipolazioni delle palline le cui tecniche di base erano state completamente rielaborate e trasformate nella “routine” del gioco dei bussolotti o usando una pietra “magica” al posto delle biglie di sughero, i Capitoli 24, 25 e 26 dedicati alle manipolazioni delle monete si riflettevano con aderenza nei capitoli e nei metodi del medesimo argomento illustrati da Hocus Pocus Junior. Lo stesso dicasi per il Capitolo 31 che descriveva la costruzione e l’uso di scatole per apparizioni e trasformazioni di cereali: la sequenza di frasi e passaggi era sinottica con quella di Scot, ma integrata da affabulazioni per accompagnarne l’esecuzione. Anche il Capitolo 32 dedicato ai giochi con le corde e i nastri era riproposto in modo identico. Invece il Capitolo 33, in cui si illustrava il metodo costruttivo del blow book, costituiva di nuovo un’anomalia: pareva quasi interrompersi bruscamente nello spiegare l’uso dell’artefatto, ma più anomalo era il fatto che le tecniche per realizzarlo descritte nei due libri fossero completamente differenti; sembrava apparentemente che la fonte dell’autore per questo gioco fosse stata un’altra. Proseguendo la comparazione, si osserva che la busta di carta per scambi era spiegata in modo incomprensibile in Hocus Pocus Junior in cui si ometteva per altro un secondo metodo più elaborato descritto invece da Scot. Dal Capitolo 34 stranamente non era stato riportato il gioco col coltello truccato di cui Scot forniva anche una delle sue poche illustrazioni: consisteva in una lama divisa in due parti tenute insieme solo da un sottile archetto di metallo e con cui era possibile fingere di tagliarsi la lingua o il braccio, e diverso rispetto a quello utilizzato per fingere di tagliarsi il naso. È curioso anche in questo caso che – pur avendo per ipotesi il testo a disposizione – l’autore non avesse mutuato il trucco come aveva fatto con altro materiale.

Riguardo all’impiego di complici durante gli spettacoli, Hocus Pocus Junior elencava diversi effetti magici che si potevano eseguire con assistenti dispersi in incognito tra il pubblico e già descritti da Scot (ma che del resto si potevano vedere eseguiti in qualunque spettacolo di piazza) tuttavia non spiegava l’astuto codice segreto che permetteva al prestigiatore e al suo complice di comunicare, e che invece era ben descritto in The Discovery of Witchcraft.

Se appare che in effetti puntualmente molto vi sia in comune con il trattato di Scot, fintanto da apparire un vero plagio, complessivamente invece le interessanti e non scontate discrepanze fanno pensare che il libretto sia il risultato a sua volta di una appassionata ricerca magica, di trascrizioni e annotazioni del suo autore, e che le sue fonti siano state effettivamente altri prestigiatori – visti esibirsi presso fiere e mercati – anche dove il materiale sembrava derivato da Scot. Di certo il testo di Scot fu consultato in qualche modo per comprendere il funzionamento di molti trucchi (magari attingendo a sua volta a trascrizioni di seconda mano) ma le descrizioni sembrano essere state integrate e rielaborate sulla base di un esperienza “dal vivo” dell’autore. Questo spiegherebbe le aggiunte inedite, le presentazioni e le affabulazioni di accompagnamento, e il corredo di numerose formule d’arte, di cui invece Scot era in generale carente. E questo era tanto più vero per i giochi del manuale che risultavano originali e mai prima pubblicati.

Bisogna inoltre considerare il fatto che il testo di Scot era un libro proibito, di cui poche copie della prima edizione si salvarono probabilmente dalla distruzione; le trascrizioni di Hocus Pocus Junior dovevano avere in qualche modo l’intento di salvarne il contenuto e di metterlo a disposizione di un pubblico più vasto. In tal senso il suo contributo alla storia della magia è assai meritorio. Rileggendo Hocus Pocus Junior ci si accorgerà della quantità di giochi, metodi e trucchi che – seppur antichi e superati per la magia moderna – sono comunque sopravvissuti al tempo e giunti fino ai nostri spettacoli: questi ci sono stati mutuati grazie a quel leggero pamphlet, e non attraverso il libro di Scot, che certo ebbe pure ben altri meriti.

Dunque Hocus Pocus Junior interpretato attraverso questa chiave di lettura, pur conservando caratteristiche di copiatura e non originalità – ma da considerarsi “annotazioni e trascrizioni” – assume una connotazione completamente nuova: quella di una raccolta di antichi giochi di repertorio e formule d’arte tradizionali, trucchi rielaborati ed inediti con le descrizioni di come questi venivano presentati; il materiale per così dire “copiato” era costituito da trascrizioni e appunti di libri andati apparentemente perduti o di difficile reperibilità, quale ad esempio il testo di Scot forse realmente studiato dall’autore, o scovato in altri testi di argomento affine (come il “barrique magico” carpito a un trattato di matematica ricreativa), materiale sempre e comunque compendiato con note personali e una grande quantità di dettagliate illustrazioni mai prima pubblicate. Questo formava nell’insieme il quaderno di appunti di magia di un sedicente prestigiatore, magari effettivamente l’apprendista di qualche artista celebre dell’epoca di cui non veniva fatta menzione esplicita (ma forse proprio quel William Vincent, alias Hocus Pocus di Londra) – e dunque a ben ragione ambiguamente taciuto.

Molta confusione, poca considerazione

Con la sua origine ambigua, l’incerta paternità e il gioco di parole intrinseco ed enigmatico, l’Anatomia ha sempre confuso bibliofili, collezionisti, storici della magia e anche prestigiatori famosi. Di per sé è l’origine stessa della formula “Hocus Pocus” a generare confusione e a far discutere, forse corruzione di una formula liturgica latina, ma l’uso che ne facevano guitti e giocolieri era effettivamente per confondere gli osservatori.

Storici della magia del calibro di Sydney W. Clarke e lo stesso Harry Houdini si lasciarono ingannare da Hocus Pocus Junior, confondendolo con altre opere coeve. Ad esempio in una lettera indirizzata a Paul Fuchs (12) , il jail breaker americano affermava di possedere nella sua collezione privata due edizioni del 1635, ma di credere invece che l’edizione realmente preziosa e di valore fosse la prima del 1631. In realtà Houdini aveva fatto confusione e la lettera conteneva un doppio errore: primo, egli scriveva invero del libro di Henry Dean, The Whole Art of Legerdemaine Or Hocus Pocus in Perfection (1722) riferendosi invece alle edizioni dell’Anatomia; secondo, non esisteva un’edizione datata 1631, né del primo né tanto meno del secondo libro.

Storici, antiquari e collezionisti come Evans, Burlingame, Stanyon e perfino Leo Rullman ritenevano che non esistessero più copie della prima edizione fino a quando Harry Price, noto collezionista e ricercatore di scienze occulte, mostrò quella in suo possesso nel 1929. (13)  Anche Price era convinto erroneamente che questa fosse la più rara edizione pari solo a The Art Of Juggling Or Legerdemain di Sa.Rid (di cui esistono solo quattro copie) quando invece esistono edizioni successive ancor più rare e preziose. (14) 

Clarke riteneva che la dicitura “Hocus Pocus Junior” facesse parte del titolo, e anch’egli si confondeva con Henry Dean: scrivendone nel suo Annals Of Conjuring datava l’editio princeps del manuale al 1622 solo perché sbagliava a riportare la data di pubblicazione del Dean del 1722; e anche l’italiano Carlo Rossetti (ma lui come altri) riportava fedelmente nomi e date errate, e questo solo per citare qualche autorevole confusione. (15) 

Il fatto che traeva in inganno era questo: così come l’autore dell’Anatomia aveva “copiato” dai suoi predecessori (ma usando per primo la formula magica nel titolo) così avevano fatto i suoi successori (imitandone il titolo con altrettanto successo) dando inizio ad una lunga serie di “plagi e ruberizie” che produsse nel tempo una gran quantità di libri e manuali recanti in copertina l’emblematico nome di Hocus Pocus.

Errori simili ricorrono spesso in letteratura e storia della magia, alimentando così miti e leggende che se per certi versi possono essere suggestivi, per altri sono ingannevoli e storicamente non accettabili. L’effetto è quello di confondere con maggior persuasione se l’errore è perpetuato da un personaggio autorevole: naturale predisposizione all’inganno (non solo dei semplici, ma anche dei colti) che Hocus Pocus Junior nell’ultimo secolo sembra aver praticato molto, tanto che qualcuno si è dimenticato perfino di considerarlo. (16) 

Mauro Ballesio


Note

1. La data 1619 corrisponde all’anno di emissione di una licenza per l’esercizio dell’arte della Legerdemain nel Regno di Inghilterra concessagli da James I. La data 1642 coincide con la registrazione dell’ultimo pagamento per un suo spettacolo tenutosi a Coventry.

2. Per dettagli sulla vita di William Vincent si veda Bawcutt N.C., “William Vincent, alias Hocus Pocus,a traveller entertainer of the seventeenth century” in Theatre Notebook, N. 54.3, pp. 130-137 (2000).

3. Philip Butterworth, Magic in the early English stage, Cambridge University Press, 2005, p. 24.

4. Thomas Ady, A Candle In The Dark, Londra, 1656, Libro I, p. 33: “I will speak of one man more excelling in that craft than others, that went about in King James his time, and along since, who called himself, The Kings Majesties most excellent Hocus pocus, and so was he called, because at the play of every Trick, he used to say, hocus pocus, tontus talontus, vade celeriter jube, a dark coposure of words , to blind the eyes of the beholders, to make his Trick pass the more currently without discover”.

5. Si vedano i lavori di Butterworth e Bawcutt. Il documento recita: “A Licence to William Vincent under the Signet, to exercise the art of Legerdemaine in any Townes within the Realme of England & Ireland during his Mats pleasure.”

6. In altri brani del manuale l’autore dichiara esplicitamente di essere un Prestigiatore. Si veda il trucco per fare ghiacciare col fornello o il brano di chiusura.

7. Si veda anche Thomas Ady, Candle in the Dark, Londra 1656, Libro I, p. 34: “And now for illustrating of the History of Pharaons Magicians, I will parallel this Hocus Pocus, or English Jugler, a little with them.”

8. All’ipotesi fa riferimento Trevor Hall, Old Conjuring Book, Duckworth 1972.

9. Harry Price scrisse: “Il frontespizio ci informa che l’autore è S.R. ed è stato suggerito che sia opera di Samuel Rid o Robert Greens. Ma tra i bibliofili è opinione comune che il libro sia una delle minestre riscaldate di Samuel Rowlands”. Si suggerisce che Rid sia una abbreviazione di Samuel Rand, il libraio che lo vendeva nel suo negozio sull’Holborne Bridge“ in Goldston’s Magical Quarterly, Vol. 1, N. 4, Ed. Spring 1935, p. 132.

10. Albrecht Heeffer, Wonder to those that are ignorant in the cause, A critical English edition of “Récréation Mathématicque” (1624), with a glossary and commentaries, Archimedes Series, Springer, Heidelberg 2012 e Albrecht Heeffer, “Récréation Mathématicque (1624). A Study on its Authorship, Sources and Influence”, Ghent University, Ghent 2004.

11. Reginald Scot, The Discovery Of WitchCraft, Libro XIII, Cap. 23.

12. Il Catalog of the Magic Collection Herb Zarrow and featuring rarities from the collections of Paul Fox and Dai Vernon, Potter&Potter Auction, 23.10.2010, Lotto n. 287 contiene un’edizione di Hocus Pocus Or The Whole Art Of Legerdemaine in Perfection accompagnata da una copia della suddetta lettera di Houdini.

13. Harry Price, Short-Little Catalog, p. 180.

14. Esistono quattro copie note della prima edizione conservate in altrettanti istituti pubblici, ma più rare sono la seconda edizione di cui si contano tre copie, e la terza e la dodicesima di cui solo due copie parrebbero esistere.

15. Carlo Rossetti, Il trucco c’è... ma non si vede. È un libro molto diffuso e disponibile al pubblico non specialistico. Ha il pregio di riservare diversi capitoli alla storia della magia e dimostra come informazioni errate possono essere largamente divulgate in modo autorevole in buona fede.

16. Lascio al lettore interessato la facile ricerca di scoprire dove e quanto spesso.

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