Nell’agosto 2015 ho dedicato un lungo post su Giap al difficile rapporto tra la verità oggettiva e il sentimento civile. Qualche giorno fa Christian Raimo torna sul cuore della questione su Internazionale con un fulminante esempio tratto da un libro di Franca d’Agostini (a sua volta ispirato a Dietrich Bonhoeffer).

Scrive Raimo:

[C’è] un passaggio del libro di Franca D’Agostini [Introduzione alla verità, 2011] che può esserci utile [...] È quando parlando del vero autentico, D’Agostini cita Dietrich Bonhoeffer: “Bonhoeffer riferisce il caso del maestro che chiede agli alunni di parlare dei propri genitori. Uno dei bambini, figlio di un disoccupato alcolizzato, racconta un bel po’ di menzogne su suo padre, qualche compagno lo smaschera, e il maestro lo rimprovera di non aver detto il vero.”
Ecco che forse riusciamo a mostrare come nel dibattito sulla post-verità sia sottovalutato un aspetto, quello morale. Se noi disgiungiamo l’ethos dal logos – ossia se in quest’esempio non teniamo conto del nostro sentimento civile che ci fa apprezzare la non verità del bambino e considerare ingiusta la richiesta di verità da parte dell’insegnante – dimentichiamo un pezzo importante di verità.
Facciamo come l’insegnante, ciechi rispetto alla verità completa della situazione: non vediamo l’affetto del padre nei confronti del bambino, non vediamo il bisogno del bambino di essere rispettato dai compagni, non vediamo l’umanità, non riconosciamo la condizione di finitezza che ci accomuna. (1) 


Note

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