È uscito il numero 24 della rivista di cultura ludica Tangram.

Ho contribuito con un mio articolo dedicato agli ambigrammi, riprodotto qui di seguito.

Inversioni

Note brevi di un artigiano degli ambigrammi

Scoprii gli ambigrammi da bambino, incontrando – grazie a Martin Gardner – i lavori di Peter Newell (1862-1924). L’artista americano aveva realizzato alcune serie di fumetti che, dopo essere letti dalla prima pagina all’ultima, potevano essere ruotati di 180° per proseguire il racconto dall’ultima alla prima pagina. Ogni singola vignetta poteva essere letta nelle due direzioni, e i due protagonisti – Topsys e Turvys – si tramutavano l’uno nell’altro quando venivano invertiti.

L’ultima pagina della serie pubblicata nel 1893 presentava un effetto dello stesso tipo che però coinvolgeva… una parola! Puzzle si trasformava in The End grazie al particolare carattere scelto. (1) 

Da allora, mi sono innamorato dei lavori di Scott Kim e John Langdon, i due migliori artisti degli ambigrammi in circolazione. Il primo è straordinario nell’evocare, in ogni suo lavoro, un preciso senso di autoreferenzialità – come quando le parole Synergy si integrano sinergicamente o è la parola mirror (“specchio”) a consentire una riflessione a specchio. (2)  Dal suo canto, Langdon ha un tratto che riesce a fondere l’essenza della simmetria a un elegantissimo stile barocco; gli ambigrammi del romanzo di Dan Brown Angeli e demoni ne sono splendidi esempi.

Naturalmente, nessuno ha mai superato, in qualità di analisi, i lavori teorici sull’argomento di Douglas Hofstadter, che nel suo libro Ambigrammi (3)  approfondisce i legami tra la realizzazione delle “parole invertibili” e la creatività.

Alla ricerca di elementi inediti sull’argomento, mi sono occupato della relazione tra gli ambigrammi e i palindromi, imbattendomi in situazioni curiose. Quale di queste due sequenze è palindroma?

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Per quanto possa essere controintuitivo, è la seconda delle due sequenze ad essere palindroma. La prima è invece un ambigramma a simmetria verticale. L’occhio vede ordine nella simmetria della prima sequenza, mentre la mancanza di simmetria della seconda dà l’impressione di una serie disordinata.

Ho inoltre approfondito l’uso del colore negli ambigrammi. Per far percepire con maggior efficacia le singole lettere di una parola, le tonalità cromatiche possono essere utili, ma non funzionano più quando la parola viene ruotata di 180°. Ecco un esempio con il titolo di questa rivista:

Se dovessi utilizzarlo nell’ambito di una animazione, creerei una struttura vuota contenente il contorno delle lettere, da far ruotare su uno sfondo colorato fisso. In questo modo, quando la parola si trova in una delle due posizioni orizzontali, il gioco dei colori funziona, mentre durante la rotazione le lettere sono attraversate da un curioso magma multicromatico. La sfida sarebbe dunque quella di trovare una texture sufficientemente semplice per lo sfondo, tale da creare le tonalità giuste quando la parola si trova in orizzontale.

Ma quale utilità pratica potrebbe avere un ambigramma? Vi siete mai chiesti come si realizzano i calendari composti da due cubi?

Il problema è meno banale di quanto sembri: dovendo consentire di comporre i numeri 11 e 22, entrambi i cubi devono riportare entrambi i numeri. Restano quattro facce libere su ogni cubo. La necessità di comporre il 10, il 20 e il 30 impone di collocare lo 0 su un dado e i numeri 1, 2 e 3 sull’altro. Dunque un dado dovrà presentare le facce 0, 1, 2 e l’altro 1, 2, 3. Restano soltanto sei facce complessive per i sette numeri restanti. Impossibile da risolvere senza ambigrammi: infatti, il numero 6 capovolto si legge 9!

Ecco che i due dadi potrebbero essere così strutturati: il primo 0, 1, 2, 3, 4, 5 e il secondo 0, 1, 2, 6, 7, 8. Qualcuno abbastanza curioso può cercare le altre nove permutazioni dei numeri che offrono soluzioni a questo problema.

In occasione di un incontro con Hofstadter a Pragelato, sulle alpi piemontesi, lo scrittore mi ha fatto dono di questo ambigramma, realizzato in pochi minuti:

Dal confronto con la mia “firma storica”, da me realizzata nei primi anni Novanta, emergono alcune delle varianti che costituiscono il processo creativo di un ambigramma.

L’immagine di Hofstadter ruota intorno alla lettera I isolata, mentre il mio presenta al centro le due lettere R e I, l’una rotazione dell’altra. Mentre la mia M è “ridondante” a sinistra, quella di Hofstadter è più essenziale, ma sconta questo punto di forza con una lettera A un po’ schiacciata – specie se confrontata con la successiva. Molto brillante la sua R che diventa A.

Un punto va tenuto in considerazione: il confronto è impari, perché lui ha avuto a disposizione pochi minuti, mentre la mia soluzione è frutto di mesi di ritocchi e ripensamenti. Hofstadter resta il teorico più profondo che abbia mai scritto sull’argomento; magistrale la sua risposta alla domanda che tutti gli artisti di questo ambito si sono sentiti rivolgere: “Sapresti ambigrammare qualunque parola?”. Lo scrittore rispondeva così:

Dammi un nome qualsiasi, e ti mostrerò una sua proprietà che non conoscevi.

Poi spiegava:

E questo è uno dei trucchi che sono a disposizione dell’ambigrammista: egli esplora molte strade per trovarne infine una che comporti una soluzione soddisfacente; rivela allora questo risultato ma senza menzionare le altre innumerevoli vie che sono risultate vicoli ciechi. Al destinatario rimane pertanto l’impressione che quella sia stata la sola via intrapresa (benché l’ambigrammista non l’abbia mai detto in modo esplicito). Certo sembra un colpo di fortuna!

Ma si tratta dello stesso colpo di fortuna di cui diceva negli anni Settanta il giocatore di golf Gary Player: “Più mi alleno, più sono fortunato”


Note

1. Peter Newell, Topsys & Turvys, New York, The Century, 1893, p.35.

2. Scott Kim, Inversions: a catalog of calligraphic cartwheels, Byte Books, 1981.

3. Douglas R. Hofstadter, Ambigrammi: Un microcosmo ideale per lo studio della creativita, Firenze, Hopefulmonster, 1987.

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