Da quando abbiamo pubblicato L’arte di stupire (Sperling&Kupfer 2014), molti ci chiedono chi riesca ancora a meravigliare noi. Tra gli illusionisti, il primo nome che ci viene in mente è quello del mentalista contemporaneo più importante del mondo: Derren Brown.

Derren ha rivoluzionato l’illusionismo in chiave psicologica, cambiando volto alla magia della mente e diventando un (ingombrantissimo) punto di riferimento per tutti i mentalisti contemporanei.

Di lui ho scritto tra le pagine di Te lo leggo nella mente, La magia della mente e La magia dei numeri, e da sempre lo considero una sofisticata e inesauribile e fonte di ispirazione intellettuale per il mio lavoro da Wonder Injector.

Lasciandoci per l’ennesima volta senza parole, Derren ha dedicato al nostro libro L’arte di stupire una splendida recensione che pubblichiamo qui di seguito in traduzione italiana.

Secondo una scuola di pensiero, attribuita a uno straordinario illusionista di nome Paul Harris e abbracciata da molti altri maghi in tutto il mondo, l’esperienza vissuta di fronte alla magia ci riporta a uno stato di meraviglia tipico dell’infanzia. Secondo tale lettura, quando eravamo bambini abitavamo un mondo in cui ogni cosa era nuova. Vedevamo tutto per la prima volta. Poco alla volta, con l’abitudine e l’apprendimento, il naturale stato di meraviglia si è via via estinto. Compito del mago è di riportarci a quell’atteggiamento di apertura e meraviglia con cui, da bambini, accoglievamo ogni cosa. La famosa opera di Harris The Art of Astonishment (“L’arte dello stupore”) offre al prestigiatore varie soluzioni per ripristinare quella naturale condizione che il pubblico ha tristemente estirpato, un pezzo alla volta, dalla sua esistenza.

Forse, nelle mani giuste, una buona performance magica può condurci verso un piacevole panorama di meraviglia, dove godere – per un momento – della vertiginosa sensazione di non-sapere, mentre enormi distese di sorpresa e delizia ci si spalancano dinnanzi. Ricordo quando “muleggiavo” (una parola che ho scoperto esistere) ai piedi dei monti Atlanti; la tutt’altro-che-testarda Paprika e io stavamo percorrendo sentieri aridi e ventosi, fiancheggiati da rocce, timo selvatico e terra rossa marocchina. Ci eravamo arrampicati attraverso un passaggio stretto e bruciacchiato quando, svoltato l’angolo, scoprimmo che il terreno finiva senza preavviso, rivelando uno spettacolare panorama: sotto di noi, un villaggio berbero si adagiava su un’ampia conca verde, coronata a grande distanza dal monte Toubkal sullo sfondo, bianco come il latte, e attraverso l’aria il flebile suono di una chiamata alla preghiera si faceva indelebilmente strada verso di noi. Fui assalito dalla pelle d’oca e mi accorsi che stavo sperimentando l’istante più stupefacente di cui abbia memoria. Forse la magia può offirci quella sensazione.

Ma ne dubito. Solo due volte mi è capitato di restare senza parole per la meraviglia durante uno spettacolo di magia: una volta durante un congresso in Inghilterra, quando un grande mago di nome Tommy Wonder coprì con un foulard una gabbia per uccelli e la fece sollevare in volo; un’altra volta a Las Vegas, quando Teller – dal duo Penn & Teller – materializzò tra le dita la prima moneta della sua routine Silverfish. Ma si tratta di illusionisti rari: autentici artisti in un mondo di artigiani. La maggior parte dei maghi si esibiscono davanti a te, come se fosse più importante dimostrare quanto siano bravi piuttosto che condurti in un luogo che potrebbe lasciarti sbalordito. Nella letteratura magica chi osserva la performance di un mago viene spesso chiamato “spettatore”, e spesso si sente il mero osservatore di un elaborato enigma, cui reagire elogiando educatamente il mago per aver fatto un buon lavoro.

Non vedo alcuno stato di meraviglia infantile in tutto questo. La triste verità è che se un illusionista è maleducato, gli puzza l’alito o ha un tono di voce fastidioso, l’esperienza della magia per il suo pubblico sarà quasi certamente irritante. La magia ha luogo esclusivamente nella mente di ciascun membro del pubblico; non ha alcun valore intrinseco né alcun potere trasformativo, a meno che il mago in questione non sia in grado – con quella performance, in quel momento e per quella persona – di comunicare un’esperienza del genere. Altrimenti i maghi, che ottimisticamente cercano un qualche valore artistico in una forma di artigianato basata sulla disonestà, non dovrebbero parlare con tanta solennità di meraviglia. Un quadro non è buona arte solo in virtù del fatto di essere un quadro.

La meraviglia, dunque, è una questione intricata. Evitando in modo ammirevole la trappola, Mariano e Ferdinando non la affrontano con questo atteggiamento, preferendo un approccio rispettoso e obliquo. Come un arcobaleno che scompare quando ci si avvicina troppo, alcune cose si devono affrontare indirettamente. Gli esempi e gli argomenti proposti in questo libro compongono un omaggio a uno stato della mente elusivo, che in parte è infantile e primordiale, ma spesso richiede un coinvolgimento intellettuale adulto per stimolarci con più forza. Sono lusingato dal fatto che abbiano incluso alcuni miei contributi all’interno di queste pagine; se spesso una carriera magica non è all’altezza delle proprie aspettative, è bello quando qualcuno apprezza i tuoi tentativi, per quanto inadeguati.

Derren Brown
Londra, 23 aprile 2014

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