Adel Mustafà vende elettrodomestici in una piazzetta di Betlemme. Fa orario serale e mi spiegano che è facile incontrarlo sul lavoro. La vettura che mi accompagna ha la targa verde, ma il negozio è al di qua del check point: se si trovasse oltre il muro, potrebbe essere impossibile raggiungerlo a quest’ora.

La rivendita è come le altre in zona: non esistono scaffali, tutto è ammassato contro le pareti, lasciando un enorme spazio centrale. Parla poco e male l’inglese, ma non ne ha bisogno per mostrarmi l’arte per cui sono andato a trovarlo. Adel fa il prestigiatore.

Accende una sigaretta, poi la fa sparire e riapparire più volte. Una pallina si moltiplica: prima è una, poi sono due, tre, quattro. Iniziano ad uscire dalla bocca una dopo l’altra. Non si tratta di giochi meccanici: si muove come un manipolatore da palcoscenico, e i gesti sono ampi, studiati.

La velocità con cui fa sparire una moneta mi lascia interdetto: conosco il movimento, ma raramente l’ho visto eseguire con tanta agilità. La mia mente vede il trucco ma gli occhi non ci riescono. Sperimento, per l’ennesima volta, la sconcertante autonomia dei due sistemi cognitivi.

Non esiste mercato per i prestigiatori in Palestina. Bisogna andare in Israele, dove qualche festa da animare si trova – ma per arrivarci ci vuole un’auto con la targa gialla.

Il momento più divertente è ai check point, quando i soldati gli chiedono la carta d’identità e lui finge di sbagliarsi, consegnando una carta da gioco. Solo dopo qualche insistenza la carta si trasforma nel documento richiesto.

Mi chiede di mostrargli qualche gioco anch’io e l’incontro diventa uno scambio. I clienti entrano indisturbati e diventano il nostro pubblico. Nessuno parla inglese e devo esprimermi a gesti. Due bambini entrano nel negozio con una bottiglia di aranciata fresca. Adel li ha incaricati dell’acquisto senza che me ne accorgessi: è un incontro magico da celebrare e il tavolo da lavoro si riempie di bicchieri di plastica. Allo spettacolo segue consumazione.

Annuncia che si esibirà in un gioco mai visto prima. Gli servirebbe un secchiello opaco, ma non siamo al Théâtre Robert-Houdin di Parigi. Si accontenta di un frullatore e chiede l’aiuto di un bambino che si era affacciato incuriosito per lo strano capannello.

Adel mi fa estrarre tre carte, mi chiede di sceglierne una e le strappa tutte in quattro parti. Poi butta i dodici frammenti nel frullatore.

Adel Mustafà in azione (Betlemme, 29 marzo 2008).

Senza guardare (ma alle feste si fa bendare, spiega) tira fuori uno alla volta quattro pezzetti. Sono i quattro frammenti della mia carta.

Dove ha studiato illusionismo? Resta sul vago. Libri? No, è analfabeta. Scoprirò la mattina successiva che l’ha imparato da qualcuno in Egitto.

Non vedo Adel dal marzo 2008, ma quando in Cisgiordania la tensione sale, è lui il primo a tornarmi in mente. Il passo da Sim Sala Bim a Salām, purtroppo, è tutt’altro che breve.

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