Da tempo il mio allievo e io ci eravamo accorti che l’ambra, il vetro, la cera, e diversi altri corpi, una volta strofinati, attiravano delle pagliuzze mentre altri corpi no. Per caso ne troviamo uno che ha una virtù ancora più singolare, quella di attrarre a poca distanza da sé, e senza che lo si sia strofinato, la limatura e altri pezzettini di ferro. Per quanto tempo ci divertiamo con questa qualità, senza riuscire a vedervi nient’altro! Alla fine, scopriamo che è una qualità che si comunica anche al ferro, in un certo senso magnetizzato.

Un giorno andiamo alla fiera. Un giocatore di bussolotti attira con un pezzetto di pane un’anatra di cera galleggiante su una vasca piena d’acqua. Assai sorpresi, noi non diciamo: «È un mago», perché un mago non sappiamo nemmeno cosa sia.

Continuiamo a essere colpiti da effetti di cui ignoriamo le cause e, senza aver fretta di giudicare alcunché, ce ne restiamo tranquillamente nell’ignoranza, fino a quando non troviamo l’occasione di uscirne.

Tornati a casa, a furia di parlare dell’anatra della fiera, ci mettiamo in testa di imitarla. Prendiamo un ago ben magnetizzato, lo ricopriamo di cera bianca alla quale, come meglio possiamo, diamo forma di un’anatra, in modo che l’ago attraversi il corpo e la capocchia faccia da becco. Poi mettiamo l’anatra sull’acqua, avviciniamo al becco l’anello di una chiave e con una gioia facile a comprendere vediamo che la nostra anatra la segue, proprio come quella della fiera seguiva il pezzetto di pane. Un’altra volta potremo osservare in quale direzione l’anatra si ferma sull’acqua quando la si lascia lì. Per il momento, tutti presi dal nostro esperimento, non vogliamo saperne di più.

La sera stessa ritorniamo alla fiera con in tasca un po’ di pane preparato. Appena il giocatore di bussolotti ha finito il suo spettacolo, il mio piccolo dottore, che a malapena si contiene, si rivolge a lui dicendogli che non è affatto una prova difficile e che lui stesso può fare altrettanto. Viene preso in parola. A quel punto, tira fuori dalla tasca il pane in cui è nascosto il pezzo di ferro. Il cuore gli batte mentre si avvicina alla tavola. Mostra il pane quasi tremando, l’anatra si avvicina e lo segue. Il bambino si mette a gridare e a far salti di gioia. Agli applausi e alle acclamazioni del pubblico, gli gira la testa, è fuori di sé. lnterdetto, il saltimbanco, interdetto, si avvicina per abbracciarlo e complimentarlo e lo prega di fargli l’onore della sua presenza anche l’indomani, aggiungendo che avrà cura di riunire molta più gente per applaudire alla sua abilità. Il mio piccolo naturalista inorgoglito vorrebbe discutere subito. Ma io gli chiudo la bocca e me lo porto via colmo d’elogi.

Sino all’indomani, il bambino conta i minuti con una ridicola inquietudine. Invita tutte le persone che incontra, vorrebbe che tutto il genere umano fosse testimone della sua gloria. Aspetta l’ora a fatica, l’anticipa, infine voliamo all’appuntamento il locale è già pieno. Entrando il suo giovane cuore si allarga. Altri numeri devono precedere il suo spettacolo. Il giocatore di bussolotti supera se stesso e fa cose sorprendenti. Di tutto questo, il bambino non vede nulla: si agita, suda, respira

appena, passa i minuti a smaneggiare il pezzo di pane che ha in tasca, fremendo d’impazienza. Finalmente arriva il suo turno. Il maestro l’annuncia al pubblico in pompa magna. Il giovane si avvicina un po’ timido, tira fuori il suo pezzetto di pane... Vicissitudine delle cose umane! L’anatra tanto addomesticata il giorno prima, adesso è diventata selvatica. Invece di mostrare il becco gira la coda e se ne va, evita il pane e la mano che lo offre, con la stessa precisione con cui prima li seguiva. Dopo mille vani tentativi che vengono sempre fischiati, il bambino comincia a lamentarsi, dice che qualcuno lo inganna, che l’anatra non è la stessa del giorno prima, e sfida il giocatore di bussolotti ad attirare questa qui.

Senza rispondere, il saltimbanco prende un pezzo di pane, lo mostra all’anatra, e subito questa si mette a seguire il pane, si avvicina alla mano che lo tira indietro. Il giovane, allora, prende lo stesso pezzetto di pane, ma invece di riuscire meglio di prima, vede che l’anatra si prende gioco di lui e fa delle piroette intorno alla vasca. Alla fine, si allontana confuso, senza più osare esporsi ai fischi.

A quel punto, il giocatore di bussolotti prende il pezzetto di pane che aveva portato il bambino e lo usa con lo stesso successo con cui prima aveva usato il suo. Poi ne estrae il ferro davanti agli occhi di tutti: al che segue un’altra risata alle nostre spalle. Con quello stesso pezzo di pane ormai vuoto, riesce persino ad attirare l’anatra come prima. Con un altro pezzetto di pane che ha fatto tagliare davanti a tutti da un’altra persona, fa la stessa cosa, e quindi la ripete col suo guanto e

con la punta del suo dito. Alla fine si allontana passando in mezzo alla sala, e col tono enfatico tipico di questa gente, dichiara che la sua anatra obbedirà alla sua voce, come dichiara che la sua anatra obbedirà alla sua voce, come obbedisce al suo gesto. Le rivolge la parola e l’anatra obbedisce: le dice di andare a destra, e quella va a destra, di tornare indietro e quella torna indietro, di girare e quella gira. Il movimento è rapido tanto quanto l’ordine. Gli applausi che si moltiplicano sono altrettanti affronti rivolti a noi. Senza farci notare, ce la squagliamo, e ci chiudiamo in camera invece di andare a raccontare in giro i nostri successi, come avevamo progettato.

L’indomani mattina, qualcuno bussa alla porta. Vado ad aprire e trovo l’uomo dei bussolotti. Modestamente, egli prende a rammaricarsi della nostra condotta: cosa mai ci ha fatto per spingerci a volerlo screditare e a volerlo privare del suo mezzo di sostentamento? Cosa c’è di così meraviglioso nell’arte di attirare un’anatra di cera per ambire a quest’onore a spese di un pover’uomo? «Credetemi, signori, se avessi avuto qualche altro talento per vivere, non mi sarei affatto gloriato di quello lì. Dovevate pensare che un uomo che ha passato tutta la sua vita a esercitarsi in questa attività meschina ne sa molto più di voi, che ve ne siete occupati solo per un attimo. Se non vi ho fatto vedere subito i miei colpi da maestro, è perché non bisogna affrettarsi a mettere stupidamente in mostra tutto quello che si sa: ho sempre fatto attenzione a conservare i miei numeri migliori per la buona occasione, e oltre a questo ne ho altri con cui ingannare i giovani indiscreti. Del resto, signori, vengo con le migliori intenzioni di svelarvi il segreto che tanto vi ha messo in imbarazzo, chiedendovi di non usarlo per nuocermi e di essere più discreti la prossima volta.»

Ci mostra dunque il suo marchingegno, e ci accorgiamo con sorpresa che si tratta di un pezzo di ferro calamitato che viene mosso sotto il tavolo da un bambino nascosto.

Poi riprende l’attrezzo, e dopo averlo ringraziato ed esserci scusati, ci mostriamo disposti a fargli un dono; ma lui rifiuta: «No, signori, non intendo ricevere nulla da voi; è la mia unica vendetta: restare a credito di un dono. Sappiate inoltre che si trovano persone generose dappertutto: io mi faccio pagare per gli spettacoli, non per le lezioni.»

Tratto da Jean-Jacques Rousseau, L’Emilio o dell’educazione, 1762.

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